Biblioteche e archivi di Stato: ecco la giungla per i ricercatori

Dopo 77 giorni di chiusura, si aprono di nuove le porte degli Uffizi a Firenze. Musei e gallerie sono finalmente a disposizione dei visitatori (contingentati) nelle zone gialle d’Italia, ma le direttive sulle aperture e chiusure dei luoghi di cultura non sono chiare ai più. Se all’inizio della lunga vicenda pandemica la regola era quella dell’equiparazione, i destini oggi non sono gli stessi per archivi, biblioteche, musei, gallerie, sale cinematografiche e teatri.

LE BIBLIOTECHE

Quasi un anno fa, la serrata generalizzata del lockdown ha condannato le biblioteche alla desertificazione, con un consequenziale e mai davvero considerato impatto sull’andamento nazionale della ricerca in ambito umanistico. Nei tre mesi di quarantena severa a seguito del primo dpcm, biblioteche comunali, statali, universitarie e archivi di ricerca hanno chiuso le porte al pubblico – specializzato e non – per riaprire all’inizio dell’estate. La riorganizzazione degli spazi ai fini dell’adeguamento alle norme del distanziamento sociale ha richiesto tempo e risorse. Dal momento della pubblicazione del dpcm che sanciva il via libera, è passato anche più di un mese prima dell’effettivo ingresso del pubblico. Ogni istituto ha gestito e organizzato la riapertura in maniera autonoma e l’esito è stato quello di una situazione caotica. Dopo la fase di chiusura generalizzata, l’apertura limitata è stata inizialmente concessa solo nella zona gialla con numerose restrizioni. Attualmente è possibile anche nella zona arancione, una conquista venuta solo con l’ultimo dpcm. Nel corso del mese di dicembre, le biblioteche sono state invece chiuse.

Per gli utenti, non è stato semplice adeguarsi alle richieste sempre diverse, racconta V., dottoranda di ricerca per il Dipartimento di Lettere della Sapienza: «Ogni biblioteca al momento della riapertura ha scelto le proprie linee per l’adeguamento al distanziamento sociale. La Biblioteca Nazionale Centrale di Roma ha riaperto le sale di consultazione piuttosto tardivamente, all’inizio era possibile solo il prestito, ma molti volumi non possono uscire dalla biblioteca. Ad oggi non si è ancora tornati all’orario completo di fruizione, si può accedere solo per 4 ore al giorno, ovvero dalle 9.30 alle 13.30, mentre prima della pandemia le sale erano aperte fino alle 19.30. Gli spazi sono davvero molto grandi, ma gli accessi sono limitatissimi. È possibile accedere alle sale di consultazione solo previa prenotazione effettuata 24 ore prima sul portale della biblioteca. È una vera e propria gara quotidiana alla conquista del posto: le prenotazioni si aprono alle 7.30 del mattino, in genere attorno alle 8.30 è già impossibile prenotare poiché i posti sono terminati». In altre biblioteche, invece, la prenotazione avviene tramite l’invio di una mail al servizio informazioni bibliografiche. In genere, è possibile avere accesso esclusivamente ai libri richiesti in anticipo. Ciò significa che se uno studioso si accorge della necessità di un volume leggendone un altro, potrà accedervi solo a distanza di due giorni, dati i tempi e le complessità della prenotazione anticipata.

Attualmente non è ancora possibile impiegare le sale lettura delle biblioteche comunali di Roma, che in effetti sono chiuse a partire dalla pandemia. Le università in zona gialla si stanno adeguando un po’ alla volta al prolungarsi dell’emergenza, ormai divenuta condizione quasi normale, aprendo delle sale studio con accesso contingentato su prenotazione come già da alcuni mesi avviene presso l’Università degli Studi di Roma Tre e da breve tempo è invece possibile presso La Sapienza. In generale, è possibile impiegare le sale studio solo ed esclusivamente per la consultazione di materiale librario proprio della biblioteca stessa ed è vietato l’accesso con volumi propri (così, ad esempio, presso la Biblioteca Angelica di Roma). Per quanto riguarda l’uso dei dispositivi atti alla prevenzione del contagio, obbligatoria ovunque è la mascherina, non vale lo stesso per i guanti.

Sul piano nazionale, l’efficienza non è la stessa in tutte le regioni. F., anche lei impiegata a La Sapienza lavora ad un progetto di ricerca che richiede anche la consultazione di documenti settecenteschi conservati presso l’Archivio di Stato di Roma. Il complesso sistema di turnazione degli studiosi e la riduzione degli accessi stanno influenzando molto negativamente i risultati della sua indagine: «Riesco ad ottenere circa un appuntamento per la consultazione al mese. Prima dell’emergenza Covid, capitava che io frequentassi l’Archivio di Stato anche tutti i giorni. Ad oggi possono accedere solo 8 utenti al giorno, un numero davvero esiguo». A., che porta avanti un progetto affine ma in Lombardia, spiega che all’Archivio di Stato di Milano l’organizzazione è ben diversa: «Devo ammettere che la difficoltà di accesso ai materiali archivistici varia di struttura in struttura, ma anche di regione in regione. La scorsa settimana ho prenotato dei materiali presso l’Archivio di Stato di Milano e mi è stato dato un appuntamento dopo soli due giorni. Sicuramente su questo incide anche il numero di richieste pervenute». In generale, la complessità di accesso alle biblioteche spinge gli studiosi a comprare libri piuttosto che consultarli in biblioteca, dove quasi sempre è impedito il servizio di deposito: «Il deposito è un servizio fondamentale – spiega ancora A. – se non si riesce a concludere una lettura, come spesso accade, il volume viene tenuto da parte per lo studioso che lo richiede e può essere consultato anche nei giorni successivi. Con la nuova organizzazione non è possibile. La lettura a singhiozzo rende davvero inefficiente la ricerca. Per questo spesso molti volumi vengono comprati. La borsa di un dottorando di ricerca è davvero molto esigua e i volumi che si impiegano per la ricerca sono piuttosto costosi. Non è semplice proseguire così. Ovviamente con i materiali archivistici antichi, come ad esempio i manoscritti dei secoli passati, la situazione è anche più complessa, perché di certo non possono essere acquistati, né uscire dai luoghi di conservazione».

CINEMA, TEATRI, MUSEI, GALLERIE 

Cinema, teatri e sale di concerto sono ormai in condizione di quasi totale chiusura a partire dall’inizio della pandemia. La breve riapertura estiva, bloccata poi drasticamente il 25 ottobre 2020 ed entrata in vigore il 26 ottobre, permetteva comunque un ingresso a capienza grandemente ridotta, tale da impedire la copertura delle spese di gestione. Numerose sono state nei mesi le proteste dei lavoratori dello spettacolo. La chiusura di “sale cinematografiche, sale teatrali e sale da concerto” riguarda intere filiere di produzione, a cui partecipano infiniti profili professionale: attori, compagnie teatrali, produttori, distributori, costumisti, fonici, truccatori e molti altri ancora. Nel corso dell’estate, alcune strutture hanno cercato di ovviare al problema con nuove soluzioni che in realtà guardano al passato. È il caso del Cineland-Cinema Paolo Ferrari di Ostia, che, sfruttando i suoi ampi spazi esterni, ha offerto per tutta la stagione estiva il servizio del cinema drive-in. La situazione è però ben più critica per le strutture più piccole, con un numero di posti già limitato, la cui riduzione di accessi impedisce di adeguarsi alle richieste rimanendo in positivo con i bilanci.

Vincenzo Bordoni, stand-up comedian di Roma in arte V-Klabe, racconta che ormai è passato un anno dalla sua ultima volta in scena: «Lavoro da sempre anche sul web, ma lavoro principalmente con gli spettacoli dal vivo. Anche nel breve periodo di riapertura delle sale teatrali la situazione non è stata di certo delle migliori. Il distanziamento richiede una platea semi-vuota, questo comporta due grandi problemi: il primo è quello dei costi, che non vengono coperti con un numero così ristretto di biglietti; l’altro è una questione di percezione. Uno spettacolo, soprattutto di stand-up comedy, non può esistere davanti ad una sala vuota. Manca il momento della condivisione, della vicinanza. Il teatro è anzitutto un luogo di aggregazione. Le sue percezioni si perdono in qualsiasi tentativo di riprodurlo tramite web o all’aperto è un palliativo estemporaneo. Viene a mancare il rapporto con il pubblico, un esempio banale sono le reazioni alle singole battute, che vengono gestite dall’attore in maniera diversa dal vivo o in video. A distanza, per uno stand up comedian, si perdono le redini delle persone che ti sono davanti. Non c’è condivisione di una risata, di un applauso, della mente».

Mentre U.N.I.T.A, associazione di attori italiani che ha tra i suoi fondatori Cristiana Capotondi e Marco Bonini, propone di effettuare tamponi all’ingresso di sale cinematografiche e teatrali, adeguandosi a un sistema di screening già in vigore per i programmi televisivi, sembra non esserci alcuna apertura da parte del governo. Al fronte poi della possibile presenza del pubblico nel corso dell’annuale Festival di Sanremo, non mancano le polemiche in tutto il settore della cultura.

Un segnale positivo viene dall’ambiente dei musei e delle gallerie che a differenza di cinema e teatri, con l’ultimo dpcm in vigore dal 16 gennaio, saranno riaperti nelle regioni a cui è attribuito lo stato di “zona gialla”. Restano invece in uno stato di chiusura totale nelle zone arancioni e rosse. Anche in questo caso, si tratterà di un’apertura graduale e contingentata, ma soprattutto ancora vietata nei giorni festivi e prefestivi, rendendo di fatto impossibile l’accesso alla maggioranza degli abituali frequentatori impegnati dal punto di vista lavorativo nel corso della settimana. L’obbligatoria prenotazione anticipata scoraggia secondo molti l’impiego del servizio. Resta ancora molta la strada da percorrere per consentire al settore della cultura di convivere pacificamente con la realtà pandemica.

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