Clamoroso! Una pronuncia della Cassazione (del 2003) ESCLUDE la configurabilità del reato contestato a Salvini (di Paolo Becchi e Giuseppe Palma)

Articolo di Paolo Becchi e Giuseppe Palma su Libero di ieri, 15 febbraio 2019:

È ormai abbastanza chiaro che il Senato non darà l’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro Salvini. C’è solo qualche mal di pancia nel M5S perché «il sì è nel Dna del Movimento». Ma quale Movimento? Ormai il partito di Di Maio è un partito come gli altri e Grillo è talmente “elevato” che ha perso contatto con la realtà, non rendendosi conto che formalmente sarebbe ancora il “garante” e che non ci vorrebbe molto a proporre un voto della rete, cogliendo due piccioni con una fava: il no sicuro all’ autorizzazione (dal momento che ormai molti “grillini” sono diventati leghisti) e, per dirla così, “la difesa del Dna”. Sarebbe stato sufficiente spiegare in rete che la situazione è unica nel suo genere. Come del resto lo è. Vi sono infatti stati in passato altri casi di ministri per i quali era stata chiesta l’autorizzazione a procedere, ma non si era mai verificato il caso di un ministro che deve rispondere per fatti compiuti nell’esercizio legittimo delle sue funzioni.

Detto questo, vorremmo evidenziare un punto. Forse è il caso di distinguere il discorso politico da quello giuridico. Di che cosa è accusato Salvini? Secondo il Tribunale dei Ministri di Catania il ministro dovrebbe rispondere del reato di sequestro di persona, punito dall’art. 605 del codice penale, aggravato perché il fatto sarebbe stato compiuto da un pubblico ufficiale «con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni». Ora sotto il profilo penale non ha alcun senso dire che questa specifica condotta imputata a Salvini possa essere estesa all’intero governo, perché la responsabilità penale è personale. Ma il punto su cui vogliamo insistere è un altro. Regge l’accusa mossa a Salvini sotto il profilo squisitamente penale?

Ora, poiché si possa giungere ad una condanna in sede penale, devono sussistere sia l’elemento “oggettivo” che quello “soggettivo” del reato. Mentre il primo elemento potrebbe in astratto configurarsi – i migranti per cinque giorni non son potuti sbarcare -, il secondo è inesistente. Vediamo perché. Nella condotta punita dall’ art. 605, l’elemento soggettivo sussiste quando c’ è la consapevolezza dell’infrattore di infliggere alla vittima una illegittima privazione della libertà personale. La Corte di Cassazione, con sua pronuncia n. 1808 del 2003 (sesta sezione penale), ha chiarito questo punto stabilendo che si deve escludere la configurabilità del reato nel caso in cui la privazione della libertà costituisca il risultato di una condotta che, «sebbene oggettivamente illegittima, sia contrassegnata soggettivamente dalla finalità di realizzare l’esercizio di un potere del quale l’agente sia legittimamente investito e non si caratterizzi come comportamento privo di ogni legame con l’attività istituzionale».

Il punto è questo. Se il processo si facesse, in corso di dibattimento l’accusa non reggerebbe. Nel caso Diciotti, Salvini ha tenuto una condotta contrassegnata dalla finalità di realizzare l’esercizio di un potere in quanto – nella sua veste di ministro dell’Interno – ne era legittimamente investito. E il suo comportamento è stato caratterizzato da un forte e diretto legame con la sua attività istituzionale, che è quella – nel caso del titolare del Viminale – di garantire un diritto rilevante come la sicurezza nazionale, che lascia ampio spazio di discrezionalità all’azione dei membri del governo.

Insomma Salvini, qualora il Senato concedesse l’autorizzazione a procedere, si troverebbe nella situazione di dover rispondere di un reato che nel suo caso – stando all’interpretazione della Suprema Corte – non esiste. È pur vero che in un sistema di civil law come il nostro le sentenze non costituiscono un precedente vincolante, ma è altrettanto vero che l’Autorità Giudiziaria procedente non può non tenere conto della funzione nomofilattica della Suprema Corte, cioè della tipica funzione uniformatrice nell’interpretazione delle leggi. Insomma, la magistratura vuole un processo politico. E allora la politica lo blocchi.

di Paolo Becchi e Giuseppe Palma

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