Democrazia Futura. La Stagione della maturità
Demorazia futura offre a conclusione del suo fascicolo numero 5 un contributo di Guido Barlozzetti che proseguendo l’analisi della comunicazione del Presidente del Consiglio avviata nel maggio 2021 esamina ora La stagione della maturità. Ritornando sull’immagine e sul discorso di Mario Draghi, definendo il nostro Premier “come il Nocchiero, sicuro e affidabile, della nave del governo, consapevole della rissosità reale e potenziale dell’equipaggio e tuttavia capace non solo di confinare le polemiche sotto coperta ma, grazie alla persistente autorevolezza, di rimuovere anche la possibilità che qualcuno della plurale compagine governativa si affacci e pretenda un ruolo di interlocutore/provocatore o addirittura antagonista nei suoi confronti”. Fra le “Progredienti novità” Barlozzetti indica il “consolidamento dell’immagine, sia una maggiore competenza dei meccanismi della comunicazione – tempi e rituali – sia del rapporto di volta in volta da gestire”, una “crescente competenza nella comunicazione” e “un’attenzione inedita agli effetti della comunicazione, con la consapevolezza che l’esercizio della parola deve essere sorvegliato e adeguato” dando prova appunto di una “progrediente maturità”.
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Un Nocchiero ancora affidabile
Una meteora o una cometa?, ci chiedevamo poco meno di un anno fa a proposito del Presidente del Consiglio Mario Draghi[1]. E la domanda riguardava la consistenza e la durata della sua immagine, superficie complessa all’incrocio di comportamenti che diventano comunicazione e di comunicazione che attesta comportamenti, via via mettendo insieme appunto l’immagine “Mario Draghi”[2].
Intanto, potremmo rispondere che se non è ancora una cometa – e pensando alle durate istituzionali della Penisola, se ne potrebbe anche arrischiare l’ipotesi – di certo siamo di fronte a una meteora molto, ma molto resistente.
A dispetto delle fibrillazioni telluriche intervenute tra dicembre 2021 e gennaio 2022 nel periodo dell’elezione del Presidente della Repubblica e nonostante l’impressione di turbolenze nel back stage del governo, l’evidenza dell’immagine dice di una stabilità che continua ad associarsi alla figura/volto/parola del Presidente Draghi.
Su questo fronte non ci sono novità sostanziali: rispetto ai potenziali competitors continua a presentarsi come il Nocchiero sicuro e affidabile, della nave del governo, consapevole della rissosità reale e potenziale dell’equipaggio e tuttavia capace non solo di confinare le polemiche sotto coperta ma, grazie alla persistente autorevolezza, di rimuovere anche la possibilità che qualcuno della plurale compagine governativa si affacci e pretenda un ruolo di interlocutore/provocatore o addirittura antagonista nei suoi confronti.
Nessuno, per il momento, è riuscito ad assumere una posizione che metta in aperta discussione quella del Presidente. Draghi resta certamente il primus e attorno a lui gli altri restano pares, costretti in una gabbia-ricatto governativa rispetto a cui i motivi per continuare a partecipare restano più forti di quelli che spingerebbero a prese di distanza e distinguo.
Manca poco meno di un anno alle elezioni – e ovviamente bisognerà vedere cosa andrà ad accadere man mano che si avvicinerà l’appuntamento, quando la pressione del consenso si farà sentire sulle componenti politiche del ministero – e Draghi resta solido come la Colonna Traiana davanti a Palazzo Chigi. E tuttavia alcune novità sono intervenute e per un verso hanno articolato l’aureola di prestigio con cui è entrato sulla scena politica del Paese, dall’altro, dimostrano e confermano una virtù nel fare esperienza e nello spostare certi comportamenti, sorprendenti, in particolare sul piano della comunicazione, con cui si era presentato nell’assumere l’incarico presidenziale.
Progredienti novità
Sono novità che riguardano sia un processo di consolidamento dell’immagine, sia una maggiore competenza dei meccanismi della comunicazione – tempi e rituali – sia del rapporto di volta in volta da gestire.
L’immagine. Sul primo versante, Draghi sembra aver ulteriormente consolidato la propria immagine di leader non vincolato a uno schieramento politico di parte, garante di un’azione politica fondata su larghe intese a loro volta generate da una condizione di emergenza, il Covid prima e adesso la guerra in corso nell’Ucraina, e di punto di riferimento internazionale, sia per quanto riguarda l’Unione Europea, sia nella partita delle relazioni diplomatiche che si intessono sul tema, spinoso, controverso ma ineludibile, della Pace sullo sfondo della complessità geopolitica. Draghi ribadisce una posizione di forte adesione atlantica e di autorevolezza europea, nella consapevolezza dell’asimmetria dei due piani.
Parla con il Presidente americano Joe Biden e nei modi e nelle posture non come un alleato subordinato venuto a prendere istruzioni, anzi manifestando la convinzione che “L’Europa è l’alleato degli Stati Uniti, quindi le visioni europee non sono in contrasto con quella degli Stati Uniti. Sono però in fase di cambiamento ed è per questo che occorre affrontare questa diversità, che si manifesterà tra poco, ma non siamo ancora a livello di contrasto. Quello di cui abbiamo parlato oggi è una riflessione preventiva”[3].
Parla con il Presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelenskyj che si collega con il Parlamento italiano in seduta comune alla Camera. Riconosce la dignità dell’Ucraina a difesa della pace, della libertà e dell’ordine multilaterale, rivendica la solidarietà e l’accoglienza dei profughi sul piano umanitario, ribadisce l’utilità delle sanzioni e degli aiuti “anche militari” – li nomina, ma con nessuna particolare enfasi, va sottolineato.E telefona al Presidente Vladimir Putin che – come rendiconta nella conferenza stampa del 26 maggio 2022 – lascia che si diffonda su “temi di politica generale”, salvo circoscrivere la discussione sulla “questione più definita” che gli interessa, lo sblocco del grano ucraino. Spiragli di pace? – gli chiedono – la risposta è secca come gli accade in uno stile discorsivo che privilegia l’essenzialità didascalica, anche con la chiarezza di argomentazioni tecniche specie quando si tratta di economia e finanza, ma non esita a esprimersi con sintesi senza appello. “No!”
La stessa sintesi che, nella conferenza stampa del 2 maggio, usa a proposito delle dichiarazioni del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov nell’intervista a Rete 4: “In Italia c’è libertà di espressione. In Russia non c’è. L’Italia permette al ministro Lavrov di esprimere le sue opinioni, anche se false e aberranti. La parte su Hitler poi è davvero oscena”.
E, in questo caso, va sottolineata una volta di più l’abitudine a una politesse del lessico, anche quando i giudizi sono estremi.
Autorevole, dunque, e capace di resistere alla durata: ecco un aspetto su cui soffermarsi, Draghi secondo un sondaggio Dire/Techné del 6 maggio 2022 su un campione di mille persone riscuote una fiducia del 53.5 per cento, non ai livelli dell’esordio ma comunque consistente e significativa. L’immagine, a distanza ormai di quasi un anno e mezzo dalla nomina presidenziale, non è entrata nel vortice di un processo di erosione, anche grazie a quello che mi pare un aggiustamento significativo che ha riguardato le strategie di comunicazione.
Una crescente competenza nella comunicazione
Si ricorderà il Silenzio che il Presidente aveva osservato nella prima fase dell’incarico, pochissime uscite, dichiarazioni solo in occasioni ufficiali, la prima conferenza stampa solo il 20 marzo 2021, quasi un mese e mezzo dopo l’assunzione dell’incarico. Un passaggio importante in questa rimodulazione dei tempi/modi della comunicazione avviene nella conferenza stampa del 10 gennaio 2022, cinque giorni dopo l’approvazione del decreto sull’obbligo di vaccinazione per gli over 50 e le critiche da più parti per non averlo illustrato subito agli Italiani.
Ebbene Draghi dimostra un’intelligente e pragmatica flessibilità: “C’è stata veramente – dice – da parte mia e di altri una sottovalutazione delle attese che tutti avevano per quella conferenza-stampa, per cui mi scuso e vi prego di considerare questo come un atto riparatorio”.
Questa “ammenda” si iscrive in un processo di graduale intensificazione dei rapporti con la stampa, sia in incontri appositamente organizzati a Palazzo Chigi, sia in occasione di visite istituzionali e di summit internazionali. E testimonia di una percezione nuova nei confronti della necessità di costruire in prima persona e con i rituali che lo contraddistinguono un processo di comunicazione che sia anche di informazione sia nei confronti degli operatori del sistema mediatico, sia verso “gli Italiani”.
Draghi parla e lo fa con il suo stile di comunicazione, che ha ulteriormente fatto corpo e viene padroneggiato con distaccata disinvoltura:
- attento alla referenzialità degli argomenti, senza divagazioni, Draghi conferma di stare sempre sul punto;
- con una consequenzialità che è quella di un ragionamento logico: “devo fare una premessa”, un livello generale da cui poi si deducono i possibili comportamenti / conseguenze particolari (es. le difficoltà delle banche centrali rispetto all’inflazione e le decisioni della Lagarde), “non voglio ipotizzare troppo…”, “non dobbiamo riposizionarci, perché la nostra posizione è sempre la stessa”, a proposito della pace, “ci sono tante possibilità, ma prima deve esserci lo sforzo di sedersi a un tavolo”, “a questo punto bisogna cominciare a riflettere su quelli che sono gli obiettivi di questa guerra. Su questa riflessione poi decidiamo cosa fare”;
- con esposizioni articolate per punti e sulla chiarezza di una vera e propria scaletta, nemmeno si trattasse del sommario di un Telegiornale (“E’ stata a una giornata molto intensa – dice nella conferenza-stampa del 26 maggio – e tutto sommato positiva per il governo e il Paese”, e ne mette in fila le notizie: l’incontro nella mattinata con il presidente dell’Algeria Tebboune, al pomeriggio la telefonata a Putin”, infine la riunione del Consiglio dei Ministri sugli obiettivi del PNRR), e ancora
“Due considerazioni (a proposito delle conseguenze negative della guerra, conferenza-stampa del 7 aprile) La prima è che non è soltanto da noi che questo avviene, e da noi però è avvenuto in maniera significativa. La seconda: noi sicuramente faremo tutto ciò che è necessario per aiutare famiglie, imprese, per preservare il potere d’acquisto dei salari, delle pensioni”.
Un esercizio che lascia intravedere una trama sillogistica che, senza voler semplificare, potrebbe anche avere una radice nell’educazione gesuitica, oltre che in un abito mentale;
- la riconduzione dei casi particolari a una linea maestra: “In un momento pieno di incertezza, di potenziali instabilità, di fragilità interne ed esterne, questo governo di unità nazionale continua a voler governare”.
Verso una maturità
E alcuni tratti sono così insistiti da farsi notare: non una discontinuità ma una progrediente maturità.
Anzitutto, Draghi manifesta un’attenzione inedita agli effetti della comunicazione, con la consapevolezza che l’esercizio della parola deve essere sorvegliato e adeguato.
Accade, ad esempio, che nella conferenza-stampa del 7 aprile 2022 si conceda una battuta-slogan – “Preferite la pace o i condizionatori accesi tutta l’estate? – che solleva critiche e anche pesanti ironie. Così, appena qualche giorno, torna a spiegare meglio sul Corriere della Sera.
È la prima intervista che rilascia alla stampa e anche questo è un segnale di apertura, sia pure su una testata storica della carta stampata, a fronte ad esempio di un’ostinata assenza dai social che ne attesta una considerazione negativa, a differenza della bulimìa con cui li praticano e vi si esibiscono tanti protagonisti della nostra scena politica:
“Volevo mandare due messaggi che ritengo importanti. Il primo, simbolico, la pace vale più dei sacrifici. Il secondo, più fattuale: il sacrificio, in questo caso, è contenuto, pari a qualche grado di temperatura in più o in meno. La pace è il valore più importante, indipendentemente dal sacrificio, ma in questo caso il sacrificio è anche piccolo”.
Anche in questo caso, di passaggio, non si può non notare l’articolazione/distinzione dei piani del discorso e la loro complementarietà.
E poi, lo abbiamo già accennato, il richiamo continuo al destinatario dell’azione del governo, l’unico che lo legittima, “gli Italiani”:
“Dovremmo tutti – dice sempre nell’intervista al Corriere – avere la forza di dire agli Italiani: guardate cosa avete realizzato in questi quattordici mesi. Penso alle vaccinazioni, alla crescita economica che abbiamo raggiunto nel 2021, al conseguimento degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Merito dei cittadini, ma anche delle forze politiche”.
È un populismo che non gli conoscevamo che fa tutt’uno con lo sforzo di non dare una connotazione di parte al governo e alla sua immagine di leader:
“Quando ho la possibilità di girare per l’Italia, e intendo continuare a farlo nei prossimi mesi, incontro tante persone che mi incoraggiano. Il rapporto con i cittadini è l’aspetto migliore di questo lavoro, è molto bello confortante affettuoso”[4].
Così pure quando ripete gli obiettivi del governo:
“Faremo tutto ciò che è necessario per aiutare famiglie, imprese, per preservare il potere d’acquisto dei salari, delle pensioni. Tutto quello che è necessario all’interno, naturalmente, di una cornice di decisioni europee, di equilibrio dei conti”.
Un populismo nazional-europeo che nulla ha a che vedere con certi nazionalismi iperpopulisti che emergono nell’Unione Europea.
E poi il tono e la sicurezza, Draghi acquista in forza persuasiva, diminuiscono le pause, cresce l’abitudine alle uscite e ai confronti pubblici. E se si manifesta qualche incertezza – “Qual’era l’altra domanda?” – non fa altro che personalizzare il discorso e contribuire a dargli un ulteriore distacco ironico.
L’impressione è che tutto sia comunque sotto controllo, anche quando sembra che intervenga un vuoto.
Nell’intervista al Corriere della Sera parla di “un’azione che tranquillizza l’Italia, che non crea ansia”. Mi pare un’affermazione che possa essere significativamente rovesciata su di lui: Draghi ha acquisito maturità comunicativa – nel contesto che si è dato e in coerenza con i tratti della sua immagine – e persegue un effetto-tranquillante di cui lui è il primo testimonial nel modo in cui parla e si rivolge al destinatario. Ancora in quell’intervista si lascia andare a una confessione che dice di un cammino percorso. Al direttore Luciano Fontana che gli ricorda la freddezza dei supertecnici nel rapporto con la gente e quello che di lui diceva all’inizio: “Sì, che ero distante. Non so, ora ho la sensazione di esserlo meno e io stesso ne ricavo gran conforto”.
Potrebbe esserci una componente di strategia discorsiva, ma nel discorso diventa l’enunciazione di “un fatto” e fa parte di questa esperienza per lui così gratificante, lo spazio che a questo punto sa aprirsi anche sui ricordi familiari e sul privato. L’immagine pubblica si apre all’intimità di una confessione in cui Draghi ricolloca in una stessa visione valoriale i diversi aspetti della sua vita.
Il privato e il pubblico
Davanti ai giovani studenti della “Dante Alighieri” di Sommacampagna che gli chiedono se ci sia “un idolo” nella sua vita, si domanda se
“devo qualcosa a qualcuno per quello che sono diventato, per quello che ero, per tutto” e cita “tre gruppi di persone”: i genitori, “non tanto devo dire dal punto di vista materiale, ma dal punto di vista spirituale, psicologico, formativo, l’amore per il lavoro”. Poi, “gli insegnati straordinari che ho avuto” in tutto il ciclo di scuole e perfezionamenti vari e giù con un elogio dello spirito di sacrificio e dell’aiuto che danno “a trovare con il sorriso la consapevolezza di voi stessi”.Infine, “la terza persona più importante a cui effettivamente devo gran parte di quel che ho fatto negli ultimi 40-50 anni è mia moglie. Ogni tanto mi viene in mente la quantità di fesserie che avrei fatto se non ci fosse stata lei. E anche alla capacità di capire il momento psicologico – ne ho attraversati tanti nella mia vita. E poi la famiglia che si è creata, i figli, i nipoti della vostra età. E’ tutta una storia bella che si centra su di lei, un applauso per lei”.
Non è una sede istituzionale, Draghi parla a degli studenti, ma un discorso del genere sarebbe stato impensabile un anno prima. E non a caso in un contesto che lo colloca in un ruolo paterno e didattico, svolge secondo un costume che gli appartiene una considerazione di principio che ha anche un risvolto etico:
“Spesso uno dice delle parole che poi non hanno riscontro nei fatti. Ecco, quello è uno dei doveri che abbiamo tutti noi: cercare di far sì che alle parole corrispondano i fatti. Che alle parole della Costituzione, che sono bellissime (..) corrispondano i fatti. È una cosa complessivamente semplice a capirsi, non è molto difficile, però richiede una partecipazione, una voglia di cambiare le cose”.
Un circuito che aggancia il dovere etico della verità – che può generarsi e coincidere solo con “i fatti” – all’azione che responsabilizza e modifica il mondo.
Stiamo dentro un discorso e la strumentalità retorica – e quindi politica – è sempre in agguato, ma intanto quello che possiamo osservare è la coerenza dei tratti che vanno a confluire in un’immagine: consapevolezza, valori, etica, un’idea non sofistica della verità agganciata a un riscontro oggettivo… Potrebbe essere un paradigma semplicistico e non particolarmente elaborato, ma questo è il perimetro ideal-valoriale in cui si colloca il discorso del Presidente. I rumori, se ci sono – e non possono non esserci – restano fuori.
Draghi e il potere
E il potere? Ricordiamo le ombre avanzate sullo “stato di eccezionalità” del governo, sulla funzione esorbitante e extrademocratica di Mario Draghi, messo nella posizione della Presidenza del Consiglio senza essere stato eletto, in una condizione di emergenza – la pandemia del Covid 19 – del Paese.
Ricordate? La minaccia di un leaderismo sottratto al controllo, alimentato da un sistema dei partiti incapaci di produrre una ragionevole e efficace dialettica maggioranza-minoranza.
Il tempo non ha cancellato queste preoccupazioni che attengono ai fondamenti e alla tenuta stessa di un sistema democratico, semmai ha introdotto ulteriori complicazioni con la neo-emergenza della Guerra, la crisi dell’energia, gli spettri di un allargamento del conflitto, la sfida per l’Europa presa tra Russia e Stati Uniti, superpotenza virtuale e mosaico di interessi e rivendicazioni.
Nell’intervista al Corsera Draghi ricorda che “non bisogna governare per il potere fine a sé stesso. Tra l’altro, chi lo fa perde potere. Bisogna governare per le cose che servono all’Italia”.
Una considerazione che, con quell’inciso che ricorda a rovescio quello andreottiano sul potere che logora chi non ce l’ha – e ci sarebbe da ragionare sulla differenza, sul rapporto tra cinismo e valori in politica – , nasconde un sottotraccia da Principe di Machiavelli e cioè l’ambiguità e il circolo vizioso forse indecidibile tra potere e etica.
Se c’è stato un momento in cui di questa ambiguità è rimasto vittima lo stesso Draghi è nel periodo del voto per il Quirinale.
Nella rituale conferenza-stampa di fine anno – il 22 dicembre 2021 – alla domanda se resterà alla guida del governo, dopo aver precisato che non ne accetterà altre sull’argomento, risponde ricordando i risultati del governo su vaccinazione e Pnrr:
“il governo ha creato queste condizioni, indipendentemente da quello che ci sarà, l’importante, le persone sono sempre importanti, l’importante è che il governo sia sostenuto da una maggioranza come quella che ha sostenuto questo governo”.
È chiaro, indirettamente Draghi apre alla possibilità che non sia più lui alla guida dell’esecutivo e la fonda sulla solidità che il governo ha acquisito e sulla stabilità della maggioranza su cui si regge. Per un momento, la sua immagine subisce una diffrazione che la scinde e la inserisce in un gioco di ruoli su cui rischia di allungarsi l’ombra di una personale ambizione che comporta il rischio di essere spiazzato.
Una mossa dettata da un eccesso di sicurezza? Una presunzione di troppo per un giocatore esperto e navigato?
Di certo, in quell’intervallo che precede il secondo mandato di Sergio Mattarella, l’immagine di Draghi soffre di un’incertezza, un arroccamento nel silenzio che però si tradisce, è condannata a tradirsi, perché l’immobilità a quel punto rispetto ad una partita che si è imprevedibilmente complicata non produrrà l’esito sperato.
Sono passate poco meno di due settimane dall’elezione di Mattarella e che gli umori possano prevalere sul controllo lo conferma la risposta tranchant a chi gli chiede se, finita la legislatura, sarà lui il federatore del centrodestra:
“Rispondo in maniera brutalmente chiara. Lo escludo”. E aggiunge: “Ho visto che tanti politici mi candidano a tanti posti in giro per il mondo mostrando grande sollecitudine, ma vorrei rassicurarli che se decidessi di lavorare un lavoro lo trovo da solo”.
Da allora, il profilo si è ricomposto e per nulla paradossalmente la Guerra è intervenuta a rilanciarlo, con la chance che gli ha dato di giocare la sua autorevolezza sul piano internazionale, anche – va detto – con il risalto che gli viene dal cono d’ombra in cui il Presidente della Repubblica gestisce il suo secondo passaggio al Quirinale. Ciò che gli ha ridato la serenità per mettere in distanza un qualunque impegno politico nel 2023:
“No. È estraneo alla mia formazione e alla mia esperienza. Ho molto rispetto per chi si impegna in politica e spero che molti giovani scelgano di farlo alle prossime elezioni, alle quali intendo tuttavia partecipare come ho sempre fatto: da semplice elettore”[5].
Circospetta sicurezza, perimetri del discorso definiti e ribaditi, che se si presentano anche con una nettezza che esclude, tuttavia non esauriscono il ventaglio delle possibilità che il profilo e un’esperienza come quella di Draghi hanno di fronte a sé.
Draghi è compos sui e resta in una partita che va al di là di Palazzo Chigi e del municipalismo italico. Padroneggia sempre miglio la sedia su cui è seduto e sa che è a scadenza e che forse ne arriveranno altre.
Per il momento, ha elaborato delusioni e governa, al di sopra di risse e mal di pancia dei compagni di strada che si è trovato. E a questo può pure permettersi di allontanare da sé l’aura di SuperMario buono per tutte le occasioni e toccasana universale come l’Orvietan, l’elisir prodigioso che fece furore alla corte di Luigi XIV: “Io non sono uno scudo contro qualunque evento, sono un umano, le cose avvengono”. [6]
Pragmatico e anche esistenzialista.
Una ricetta perfetta che sarebbe piaciuta a Thomas Hobbes e al Segretario della Repubblica Fiorentina.
[1] Guido Barlozzetti, “Una meteora o una stella cometa? L’apparizione di Mario Draghi nell’infopolitica italiana e europea”, Democrazia futura, I (2), aprile-giugno 2021 , pp. 287-302. Vedine l’anticipazione su Key4biz dell’11 maggio 2021:cfr. https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lapparizione-di-mario-draghi-una-meteora-o-una-stella-cometa/359846/.
[2] Non si useranno più le virgolette ogni volta che sarà citato Mario Draghi, ma su questo terreno si svolge il discorso.
[3] Conferenza-stampa a Washington, 11 maggio 2022.
[4] Intervista al Corriere della Sera, 16 marzo 2022.
[5] Intervista al Corriere della Sera, 17 aprile 2022.
[6] Conferenza-stampa 2 maggio 2022 a Washington.
https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-stagione-della-maturita/405797/