Google Stadia e gli altri. È addio alle console?
La PlayStation ha appena compiuto 25 anni. E si può dire che è invecchiata bene, considerando che la sua quarta iterazione – la PS4, a sei anni ormai dal lancio – ha superato i 100 milioni di esemplari venduti. Un po’ meno bene, almeno in termini assoluti, l’Xbox (ora Xbox One), ma comunque con numeri di tutto rispetto, più di 43 milioni di case in cui ha trovato posto il gioiello di Microsoft; ottimi anche i risultati della Nintendo Switch, a circa 42 milioni di copie, senza contare i “piccolini” come il Nintendo 3DS, che sfiorano la bellezza di 75 milioni.
Eppure c’è chi vuole spazzare tutto questo, facendo notare che le console sono costose, vanno aggiornate spesso per rimanere al passo con i tempi, e soprattutto sono un oggetto fisico: vanno attaccate a un televisore (e se in casa non c’è perché si guarda tutto tramite PC o tablet?), sono poco adatte a chi viaggia molto (e visto che tra i giocatori si contano fasce d’età sempre più avanzate, è un problema) e sono ingombranti. Il tutto senza contare che si tratta di mondi che tra loro non comunicano, e anzi la lotta per le esclusive tra le diverse piattaforme è in grado di orientare milioni di acquisti in un senso o nell’altro.
Il gioco in streaming, detto anche cloud gaming o gaming on demand, promette di porre fine a tutto questo. Il sistema sulla carta è estremamente semplice. Grazie alle performance della fibra ottica sia in termini di velocità che di latenza (ovvero di lag, “ritardo” nella percezione di un’istruzione data dal giocatore, elemento fondamentale soprattutto per il multiplayer), oggi è pensabile ospitare i giochi su dei server remoti, a cui i giocatori si connettono mediante i loro dispositivi – computer, ma anche smartphone o tablet – senza cioè che sia necessario acquistare una console tutta per sé. Insomma: Netflix applicato ai videogiochi. Apple, con Apple Arcade, e soprattutto la nuova creatura di Google, Stadia, hanno esordito nelle scorse settimane. Ma è davvero possibile dire addio alle console (e ai tentativi di giustificarne l’acquisto con ”è anche un ottimo lettore blu-ray”)?
L’on demand di Xbox e PS4
Sulla carta, l’idea è assai allettante anche dal punto di vista dei produttori: senza contare gli abbonamenti, fonte costante di guadagno, quanti giochi in più si venderebbero espandendo la possibilità di giocare anche ai PC, che ancora più delle console hanno bisogno di essere aggiornati regolarmente in quanto a scheda grafica, processore, RAM e così via per rimanere competitivi? Per questo non stupisce che sia Sony che Microsoft abbiano lanciato un servizio di game streaming, disponibile sia per la console (e per chi non vuole spendere 60-70 euro per ogni gioco nuovo) che per i computer.
Anzitutto c’è da fare chiarezza: con la formula di “Netflix dei videogiochi” si può fare riferimento a due diverse modalità di fruizione. Con la prima, non c’è gioco in streaming, ma l’abbonamento mensile permette di accedere a una libreria di decine di giochi e scaricarli sul computer o sulla console. Il primo servizio di questo genere ad arrivare in Italia nel 2017 è stato Xbox Game Pass, disponibile sia su Xbox One che su PC, a un costo 9,99 euro al mese per una libreria con più di 100 titoli giocabili.
La seconda modalità è appunto quella del vero e proprio gioco in cloud, che si integra alla prima, offrendo la possibilità di giocare senza scaricare il titolo in locale (eventualità che comunque di norma è prevista, per chi la preferisse) e scegliendo da un carnet di giochi piuttosto nutrito. Un abbonamento di questo tipo è quello offerto da PlayStation Now, arrivata quest’anno in Italia allo stesso prezzo della concorrenza (9,99 euro al mese).
Tutto troppo bello per essere vero: a un prezzo annuale pari più o meno al costo di due giochi appena usciti è possibile accedere a un catalogo di centinaia di titoli, e per di più con la possibilità di utilizzare il proprio PC. Ma ci sono anche degli svantaggi.
Malgrado i progressi della fibra ottica e il costo sempre più basso (basta dare un’occhiata al comparatore di SosTariffe.it per rendersene conto), ci sono ancora delle limitazioni tecniche; per esempio, PlayStation Now funziona a una risoluzione di 720p, con un evidente peggioramento della resa a video rispetto al Full HD (e ovviamente al 4K). In secondo luogo il catalogo non è sempre freschissimo: per quanto vasto, raramente ospita le esclusive per un sistema o per l’altro o i più recenti “tripla A”, quindi chi non vuole aspettare dovrà sempre comprarsi il gioco. I giochi hanno una scadenza – ne vengono aggiunti, ma anche tolti – e, naturalmente, tutto dipende dalla qualità della propria connessione.
La sfida di Stadia
E Stadia dove si colloca, in questo panorama? Anche Google ha scelto la formula ormai standard per diversi servizi, i 9,99 euro al mese (arriverà nel 2020 anche una modalità gratuita), ma soprattutto ha imparato dalla concorrenza per evitare alcuni dei problemi di cui si è parlato qui sopra. Il sistema della cosiddetta “latenza negativa” messo a punto a Big G nasce con l’obiettivo di contrastare il temuto lag e la risoluzione è fino a 4K, tanto che per Madj Bakar, VP of Engineering di Google, «entro un anno o due avremo giochi che potranno essere eseguiti in modo migliore e con una risposta più rapida sul cloud rispetto a quanto avverrà in locale, indipendentemente da quanto potente sia la macchina».
Il tasto dolente in questo caso è rappresentato dal fatto che si paga soltanto per il servizio di streaming, cioè i giochi bisogna comprarli – a caro prezzo. Insomma, siamo agli antipodi del servizio Xbox, dove i titoli non si acquistano ma non c’è lo streaming. E al momento si può giocare sulle tv con Chromecast Ultra, sugli smartphone Google Pixel e sui computer con browser Chrome.
Secondo la recensione di Wired, è meglio aspettare febbraio, quando ci saranno le prove gratuite (ora come ora c’è solo Stadia Premiere Edition, a 129 euro – non pochi – con controller, Chromecast Ultra e 3 mesi di abbonamento a Stadia Pro): al momento, malgrado un ottimo gameplay per i giochi che non hanno particolari pretese in termini di latenza, il lag sembra ancora chiaramente avvertibile per gli sparatutto in prima persona (che sono, va ricordato, una parte molto cospicua del mercato attuale).
E poi c’è il problema della proprietà dei giochi, che di fatto svanisce, rendendo ogni titolo un’esperienza effimera, che si giocherà al più una volta e difficilmente potrà essere recuperata in futuro. Ma l’assalto a chi con sussiego continua a ritenere i videogiochi una cosa da bambini, magari perché sotto sotto si vergogna di comprarsi una console. Anche se è un eccellente lettore blu-ray.