I giovani? Si informano su Instagram
In un’epoca di fake news, può lasciare perplessi l’idea che una vasta fetta di popolazione si faccia un’idea di quello che capita nel mondo su un social network destinato più che altro alle sponsorizzazioni di influencer e (post-pandemia) a foto di tramonti e bicchieri da cocktail. Eppure, è proprio così, Instagram regna sovrano su quotidiani blasonati e inchieste, a giudicare dai risultati del Reuters Institute Digital News Report 2020: anno di certo non facile, e che ci ha ricordato quanto sia importante poter contare su fonti affidabili.
Le voci incontrollate – “Il Covid non esiste”, “è tutta colpa del 5G”, “l’app Immuni invia i nostri dati a chissà chi”: ognuno ne ha ricevute, o peggio condivise, il più delle volte via WhatsApp o Telegram – sono state ancora più dannose del solito perché potenzialmente hanno legittimato comportamenti pericolosi durante la pandemia, mettendo a rischio milioni di persone.
I giornalisti non hanno più il monopolio dell’informazione
Il fatto è che – come ricorda il report del Reuters Institute in apertura – i giornalisti non hanno più il controllo dell’accesso all’informazione. In questi mesi in cui ognuno era personalmente interessato a ciò che stava succedendo nel pianeta, tutti hanno cercato dati e notizie molto più del solito (si pensi all’appuntamento, diventato quasi un rituale quotidiano, con il bollettino sui dati della Protezione Civile alle 18) e a registrare gli aumenti più significativi sono stati la televisione (che ha avuto un momento di respiro dalla crisi in cui ormai è piombata da tempo) e le fonti online. Per i giornali, invece, è andata peggio che mai: il lockdown ha minato fortemente la distribuzione fisica delle copie e anche i più ostinati e tradizionalisti tra i direttori di quotidiani e periodici si sono convinti che il futuro sarà tutto digitale, anche grazie al basso costo di Internet e della telefonia mobile (su SOStariffe.it è possibile mettere a confronto le diverse offerte).
Il gap generazionale e il ruolo delle celebrità
Ma la parte più interessante del report è quella che parla del rapporto tra media tradizionali e online. E qui il gap generazionale è impressionante: nel Regno Unito, ad esempio, il 90% (+7) degli under 35 ha utilizzato una fonte online per informarsi in una settimana-tipo di aprile 2020, contro il 68% (addirittura in discesa di un punto percentuale rispetto a gennaio 2020) degli over 55; per quanto riguarda la televisione il rapporto è inverso, 81% degli over 55 che hanno ascoltato Boris Johnson sul grande schermo (+7) contro il 57% degli under 35, che però sono aumentati (come per tutte le altre fonti di informazione, perfino i giornali cartacei) di 25 punti.
E i social media? Secondo il rapporto, ad aprile nelle sei nazioni oggetto dell’analisi – Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Spagna, Corea del Sud e Argentina – circa un quarto (il 24%) degli utenti ha utilizzato WhatsApp per cercare o diffondere notizie sul Covid-19, 7 punti percentuali in più rispetto a qualsiasi altra notizia durante il mese di gennaio. E, come sappiamo, gran parte di queste notizie erano false, in buona fede o meno.
Ma a farla da padrone è stato Instagram, a causa di un mutamento dei contenuti proposti dai vari influencer. Il lockdown ci ha propinato un’infinita teoria di celebrità di rango variabile che ci hanno mostrato i loro workout casalinghi, i loro tentativi di panificazione, in più di un caso hanno addirittura improvvisato show in diretta con tanto di videochiamate. E per forza di cose si è parlato anche e soprattutto di coronavirus, tra iniziative benefiche (le raccolte fondi a favore di ospedali e reparti di terapia intensiva, a partire da quella organizzata per il San Raffaele di Milano da Chiara Ferragni e Fedez) e liste di buone abitudini – lavatevi le mani, indossate la mascherina – in forma di decaloghi, aforismi, meme da parte di chi ha avuto a cuore la salute pubblica. Non tutti gli esempi sono stati così edificanti, e non è mancato chi ha utilizzato la presa su migliaia, se non centinaia di migliaia di persone, per diffondere fake news.
Secondo Reuters, quasi la metà degli utenti tra i 18 e i 24 anni in Argentina hanno usato Instagram per avere accesso a notizie sul Covid-19, il 38% in Germania, e perfino TikTok – sì, proprio il social network dei doppiaggi buffi e dei filmini coi filtri – ha avuto un suo ruolo: negli Stati Uniti, l’11% dei ragazzi l’ha utilizzato per scopi informativi sulla pandemia (il 14% Snapchat).
Verso un futuro di comunicazione “visiva”: Instagram erede della tv
La domanda da un milione di dollari, anzi un miliardo – quella che tutti si fanno, direttori di giornali in primis – è se questi numeri siano da imputarsi solo o per la maggior parte alla pandemia o siano semplicemente l’avanguardia di un movimento che già c’era, e che ha semplicemente accelerato. Così come molte aziende si sono rese conto che lo smart working non è poi così male, e che non è necessario controllare 8 ore al giorno il lavoro dei dipendenti affinché i risultati arrivino, in tanti, costretti a rinunciare al giornale insieme a cornetto e cappuccio al bar sotto casa, si sono rivolti alle fonti online – rispettabili o meno – e hanno scoperto che si trovano bene.
Fiducia nella stampa
In Italia, secondo il rapporto Reuters, la fiducia nella stampa tradizionale è particolarmente bassa, e il documento non le manda a dire sulle cause: «Questo trend di lungo corso deriva principalmente dalla partigianeria del giornalismo italiano e dalla grande influenza degli interessi economici e politici nelle aziende che offrono informazione». Per questo ANSA e Sky TG24, che sono percepiti come neutrali dalla maggior parte degli utenti, hanno elevati livelli di fiducia, mentre in fondo alla classifica ci sono Il Giornale, Porta a Porta, Libero Quotidiano e Fanpage. Il 10% degli italiani paga in qualche modo per l’informazione online (con una crescita di +1%), e lo smartphone è l’apparecchio più utilizzato per ricevere aggiornamenti: il 63% lo usa ogni settimana per accedere alle notizie online.
Per quanto riguarda i social italiani, il 56% utilizza Facebook per le news, il 29% WhatsApp, il 24% YouTube, il 17% Instagram (con una crescita del +4%, anche da noi la più elevata tra tutti), il 9% Facebook Messenger e il 9% Twitter, che da “social network dei giornalisti” sta patendo una contrazione evidente, anche per via di una comunicazione che, a quanto pare, sarà sempre più visuale e meno scritta.
Fonti: https://www.independent.co.uk/voices/instagram-news-twitter-millennials-generation-z-young-people-a9568336.html
https://reutersinstitute.politics.ox.ac.uk/sites/default/files/2020-06/DNR_2020_FINAL.pdf