Il 23 settembre 1971 viene rubato il dipinto “Lettera d’amore” di Jan Vermeer
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Se l’arte italiana dal Rinascimento in poi era tutta eroi e santi, in Olanda c’era invece una pittura che si concentrava sul piccolo del quotidiano. E gli interni di Jan Vermeer (1632 – 1675) ci parlano di tutto questo. Rinnoviamo così il tentativo – e l’omaggio – cesellando l’ombra di un’arachide: perché questa, infatti, è una vicenda di oggetti piccoli, di storie piccole, di fatti storici – anche importanti – quasi dimenticati. Per cui entriamoci a passo lento, come se indossassimo un paio di pesanti zoccoli olandesi.
Anche questo furto ha avuto come protagonista una piccola arma quotidiana: si tratta di un pelapatate, che era nelle tasche di Mario Pierre Roymans quando rubò (e poi recise) la cornice di “Lettera d’Amore” perché non passava dalla finestra del museo di Bruxelles (dove si trovava in prestito dal Rijksmuseum di Amsterdam). Il quadro sarà prima arrotolato nei pantaloni del ladro, poi nascosto in un bosco, poi sotto il materasso dell’hotel dove il giovane lavorava. C’è stato anche un riscatto ma, caso raro quasi quanto le 36 tele di Vermeer sparse nel mondo, questo non era a beneficio del sequestratore: Roymans era rimasto impressionato dal genocidio in corso in Pakistan durante la guerra di liberazione del Bangladesh. Per cui, chiese al Rijksmuseum di organizzare una raccolta fondi a tale scopo. Non ci riuscì, venne acciuffato e messo in prigione; ma ciò non toglie che il suo sia stato un messaggio a cuore aperto e a latitudini lontane.
E, forse, non c’è contenuto più bello per quella enigmatica “lettera d’amore” lasciataci in eredità dal pittore.
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