La burocrazia italiana è tra le peggiori al mondo. La classifica

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In 20 anni siamo passati da 20esimi a terz’ultimi nella classifica Ocse

La parola chiave dei Recovery Plan di tutti i Paesi europei è “riforme”. Un punto su cui l’Europa ha insistito fin dal primo momento. Nel mirino delle riforme c’è innanzitutto la burocrazia italiana che va eliminata o, almeno, ridotta in modo che non faccia troppi danni al sistema economico. Anche nel Piano nazionale ripresa e resilienza italiano il tema della sburocratizzazione della pubblica amministrazione è ben presente e riguarda la giustizia, la transizione ecologica, la digitalizzazione, la scuola, la concorrenza e il fisco. Vaste programme, si potrebbe dire.

La burocrazia italiana della pubblica amministrazione

La riforma della Pubblica amministrazione è, in ogni caso, lo scheletro che dovrà sostenere lo sforzo della gestione dell’enorme quantità di soldi – il premier Draghi ha parlato di 248 miliardi – provenienti dall’Europa. Ecco perché Bruxelles ha posto lo snellimento della burocrazia italiana ed europea come riforma obbligatoria. Purtroppo l’Italia, pur essendo il Paese europeo che ha ricevuto più fondi, parte come uno dei Paesi più sfavoriti. La nostra Pubblica amministrazione, infatti, è una delle peggiori tra i Paesi Ocse, siamo 33esimi su 36 Paesi. Nel grafico sopra abbiamo estratto solo i valori dei principali Paesi.

La burocrazia in Italia rispetto agli altri Paesi

Come anticipato, i numeri italiani sono pessimi. Nel grafico possiamo vedere le valutazioni sulla qualità della burocrazia nella comparazione internazionale, ricavati dal Quality of Government Index dell’Università di Göteborg. Ma di che cosa si tratta? Stiamo parlando di un indicatore composto da tre pilastri: il livello di corruzione, le caratteristiche della legislazione unitamente all’osservanza della legge e la qualità della burocrazia in senso stretto. Un indice, quindi, che non tiene conto solo delle singole procedure burocratiche, ma valuta anche i loro effetti sui comportamenti e sulle performance sia dei cittadini che dei legislatori.

Perché la burocrazia italiana frena il Paese

Bene (anzi, male), l’Italia, su 36 Paesi Ocse, è terzultima in classifica. Nel grafico sopra, infatti, abbiamo estrapolato solo i valori dei Paesi più indicativi, ma da tener conto che l’Italia è passata dalla 20esima posizione del 2000 – comunque sotto la media – agli ultimi posti della classifica. Meglio di noi tutta Europa e, soprattuto, i Paesi del Nord Europa che occupano tutti e tre i gradini del podio. Germania, (13esima su 36) Regno Unito e Belgio hanno un punteggio superiore allo 0,8, mentre Francia, (20esima su 36) Portogallo e Spagna allo 0,7. L’Italia, sui tre parametri sopra elencati, ha un punteggio di 0,597.

Il costo della burocrazia che pagano i cittadini

Certamente tutto questo questo ha a che fare con i ritardi del nostro Paese sull’innovazione tecnologica e sul capitale umano della Pa, con inevitabili ricadute negative sulle performance della burocrazia italiana. Ma non si può non parlare delle ripercussioni economiche causate da una tale inefficienza. Basti pensare che, secondo un’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio, se l’Italia avesse la stessa qualità amministrativa della Germania, tra il 2009 e il 2018 la crescita cumulata sarebbe stata del 6,2% invece che del 2,3%. Il Prodotto interno lordo, inoltre, sarebbe più elevato di 70 miliardi di euro.

La riforma della Pubblica amministrazione di Brunetta

Insomma, la cattiva burocrazia frena la produttività delle imprese e ne ostacola la crescita. Ecco perché tra le riforme delle quali si è discusso per prima con l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi troviamo proprio quella della Pubblica amministrazione. Il ministro Brunetta, ministro della Pubblica amministrazione del governo Draghi, ora dimissionario, ha a disposizione 1,67 miliardi da spendere per questo scopo.

L’idea di Brunetta è (anzi, era, visto che anche lui è dimissionario insieme a tutto il governo) quella, per sintetizzare, di accendere un faro sui concorsi e le assunzioni creando una piattaforma unica e un Hr Management Toolkit. Poi un snellimento generale della macchina, con l’obiettivo finale di eliminare i vincoli burocratici e rendere più efficace l’azione amministrativa. A seguire la creazione di percorsi seri e strutturali di qualificazione e riqualificazione del personale. In  ultimo, ma non meno importante, la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione quale strumento trasversale per meglio realizzare queste riforme. Quest’ultimo punto, è da precisare, non rientra nei 1,67 miliardi perché gode di una voce a parte che ammonta a 50,07 miliardi.

I dati si riferiscono al: 2022

Fonte: Ocse, Mef, Confcommercio

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