L’economia dei festival cinematografici in Italia. Tanti (oltre 600) ma mal sostenuti dallo Stato
Giorgio Gosetti (già Presidente dell’Associazione Festival Italiani di Cinema) interviene rilanciando le provocazioni di IsICult sulla poca attenzione dello Stato verso i festival: “molti di noi sono sul bordo del fallimento…”, ma, “senza di noi, il cinema in sala fatica e forse morirà con noi”
“… e allora, virgola, ce la vedremo!”. Cosi cantava Renato Rascel al tempo dei nonni, ma queste strofe mi sono tornate in mente leggendo l’acre commento di Angelo Zaccone Teodosi sulla “Festa del Cinema” e sul “sistema-festival” nel suo complesso (vedi “Key4biz” di venerdì della scorsa settimana, 20 settembre 2024, “Presentata oggi la 19ª ‘Festa del Cinema’ di Roma: il neo Presidente Salvo Nastasi (anche Presidente Siae) lamenta budget modesto, 8,5 milioni di euro”).
Posto che la “carica dei 600” (questa la stima prudenziale delle rassegne cinematografiche censite ad oggi dall’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult nel progetto “Italia dei Festival”, ma ancora in crescita) apre un dibattito analogo a quello dei film annualmente prodotti in Italia – troppi, molti, pochi? – lascia indubbiamente pensare che i contributi destinati dallo Stato al comparto promozione siano appena 7 milioni di euro l’anno.
Soltanto l’1 % dei fondi pubblici stanziati annualmente dallo Stato a favore del cinema e audiovisivo è destinato ai festival cinematografici
Ovvero, come ben dice Zaccone Teodosi, l’1 % dei fondi pubblici stanziati annualmente a favore del cinema e dell’audiovisivo.
Onestà vuole che questi fondi promozionali nutrano per lo più realtà medio-piccole, con qualche eccezione come il Giffoni Film Festival, il Cinema Ritrovato a Bologna, il Torino Film Festival e – solo in parte – la Festa del Cinema/Alice nella Città a Roma.
La Mostra di Venezia fa caso a sé e non rientra nel conto, così come altre rassegne pubbliche finanziate separatamente, per non parlare dei fondi regionali o locali che danno ossigeno a tantissime iniziative e incidono comunque sulle tasse dei cittadini.
Ma il tema è di più ampio respiro e sorprende che l’analisi di “Key4biz” resti ancora una voce isolata quando, legittimamente, si assiste a un “restyling” dei sostegni a tutto questo settore che coinvolge cultura, industria, turismo e valorizzazione dei territori.
E sulla promozione? Nulla
Quando ho cominciato a fare il mestiere dell’organizzatore di festival, la maggior parte delle risorse disponibili si concentravano sulla realizzazione del “prodotto festival”, spesso perfino sacrificando il materiale umano (dal direttore al più umile operatore i salari restavano bassi), e la promozione del prodotto passava sempre in seconda linea.
Ma oggi, al tempo della pubblicità e del marketing culturale, una carenza di visibilità condanna inesorabilmente alla marginalità, proprio mentre c’è un bisogno primario di attrarre nuovo pubblico oltre il normale circuito commerciale.
I festival medio-piccoli alla scoperta di titoli “extra-mercato”: il caso di “Vermiglio” di Maura Delpero
Un veloce “screening” delle opere privilegiate dai festival medio-piccoli dice che questa realtà territoriale si concentra sulla scoperta di titoli extra-mercato e sulla valorizzazione di un prodotto italiano/europeo altrimenti condannato all’oblio, perché non redditizio oltre un primo weekend di distribuzione.
Si potrà obiettare che, dal momento in cui un’opera arriva alla sala, se non genera incassi immediati, è poco interessante.
Ma l’altra faccia della medaglia dice invece che, nell’ambito di un festival/rassegna/premio, quelle stesse opere suscitano interesse e riempiono le sale.
Un esempio attuale è “Vermiglio” di Maura Delpero, amato e premiato a Venezia, faticosamente sorretto dall’esercizio e invece capace di produrre il “tutto esaurito” (a pagamento) quando viene ripreso nel piccolo festival di Capalbio.
Analoga narrazione si potrebbe adattare a moltissimi film che non hanno la fortuna di generare un’onda di consensi immediati, come accaduto all’esordio di Paola Cortellesi un anno fa.
Poiché nella “guerra tra poveri” che annualmente si scatena al momento del “riparto” delle risorse statali, la promozione viene sempre per ultima e si accontenta delle briciole, sarebbe tempo che produttori, distributori, esercenti riflettessero un po’ su quanto è giusto chiedere ai legislatori e allo Stato.
Non si tratta tanto di chiedere di più (anche se l’industria dell’audiovisivo è cruciale per la nostra immagine internazionale e genera risorse indirette almeno per due volte e mezzo l’investimento), quanto di dividere la “torta rustica” in modo più lungimirante.
I festival sono la spina dorsale del consumo cinematografico sul territorio
Senza i festival – ormai una spina dorsale del consumo cinematografico sul territorio – i primi a soffrire saranno gli autori e i produttori; senza i festival i consumatori finali (chiamiamoli così gli spettatori) saranno più poveri, resteranno prigionieri del marketing internazionale, perderanno il “gusto degli altri”.
Basta leggere in filigrana i risultati della promozione estiva del cinema (la campagna del Mic “Cinema Revolution”) per notare come si accentui sempre di più una polarizzazione a favore dei blockbuster predigeriti grazie al marketing multinazionale.
Altra cosa è la valutazione del merito: non tutti i film sono buoni per la sala, non tutti si fanno solo per generare incassi.
Allo stesso modo, non tutti i festival aiutano davvero l’industria e la cultura audiovisiva, preferendo in alcuni casi la semplice passerella di volti noti, a scapito delle opere.
Ma le invocate “commissioni di esperti” dovrebbero servire proprio a questo, a distinguere il grano dall’oglio, proprio come fanno i buoni selezionatori di festival quando compongono i loro programmi.
I 148 festival sostenuti dal Ministero della Cultura nel 2023 (su 265 istanze) sono davvero gli unici meritevoli? Molti di noi sono sull’orlo del fallimento…
Oggi sappiamo solo che, in paziente attesa delle decisioni ministeriali (siamo a fine settembre e la nebbia non si è ancora diradata), molti di noi sono sull’orlo del fallimento.
Che siamo buoni o no, è tutto da dimostrare, anche se l’associazione dei festival (Afic – Associazione Festival Italiani di Cinema), che ho contribuito a far nascere e crescere, ha prodotto una prima autoregolamentazione. Sempre perfettibile, ma oggettiva e valutabile.
In questo quadro, non mi sento di gettare la croce addosso alla Festa di Roma che invoca maggiori supporti dal settore privato.
Una sana gestione delle risorse dovrebbe attrarre investimenti privati e il modello virtuoso mi appare quello che trova un reale equilibrio tra la mano pubblica, a mio parere doverosa, e capitale privato in cerca di visibilità.
Di certo è un’iperbole retorica affermare, parlando della Festa del Cinema, che “ci sono festival molto più piccoli che hanno budget quattro volte più alti” (così ha sostenuto Salvatore Nastasi, neo Presidente della Fondazione Cinema per Roma, venerdì scorso, in occasione della presentazione della edizione n° 19 della “Festa del Cinema” di Roma; nota della redazione).
Ma è un dato reale che i festival dovrebbero avere più fantasia e intraprendenza per convincere le imprese a partecipare all’“impresa cultura”.
A patto però che lo Stato dimostri per primo di crederci, non continuando a guardarli come una inevitabile ma fastidiosa “mosca cocchiera”.
Siamo una realtà viva e dinamica; senza di noi, il cinema in sala fatica e forse morirà con noi.
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