Metaverso, e se alla gente non interessasse nemmeno in futuro?

Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

«Ma tu hai capito che cos’è ‘sto metaverso?»: una domanda che prima o poi abbiamo posto in molti  (o che ci siamo sentiti rivolgere da amici e parenti, solitamente con un’aria perplessa). Chi è pratico, dopo un po’ si ritrova a parlare di avatar, mondi virtuali interconnessi, realtà aumentata, perdendo progressivamente il suo interlocutore: ma la realtà è che il metaverso, su cui punta tutto Mark Zuckerberg con Facebook – anzi, Meta, come l’azienda è nota dal 2021 – per il futuro, è ancora un oggetto misterioso, per quanto articoli, servizi ai telegiornali e pubblicità in tv non disdegnino di utilizzare il termine ogni volta che possono.

Il primo rischio: che rimanga sempre soltanto un gioco

In apparenza, il metaverso non è nulla di troppo complicato: un mondo virtuale 3D, un po’ come Second Life qualche anno fa. Quello che è più difficile è come il metaverso (o i metaversi, più propriamente) di oggi siano differenti da quei primi esempi, e soprattutto a che cosa servano. L’esempio di metaverso di maggior successo è Minecraft, il videogioco sandbox lanciato nel 2011 e che ha fruttato così tanti soldi al suo creatore, lo svedese Markus Persson, da permettergli appena tre anni dopo di pagare in contanti una villa da 70 milioni di dollari a Beverly Hills, soffiandola a Jay-Z e Beyoncé. Minecraft è un mondo virtuale caratterizzato da una libertà quasi assoluta, che permette ai suoi utenti di creare qualsiasi tipo di contenuto (c’è chi ha creato computer perfettamente funzionanti su Minecraft), ha sviluppato col tempo una sua valuta interna e soprattutto ha creato un fortissimo senso di comunità: tutte cose che Zuckerberg vorrebbe utilizzare per la sua personale idea di metaverso. Eppure, il suo entusiasmo non pare essere ancora condiviso dalla maggior parte delle persone: anche per la difficoltà di spiegare in poche e chiare parole che cosa sia, il risultato, secondo la società newyorkese BlueLabel, è che «a nessuno interessa il metaverso», come recita il titolo della ricerca, condotta attraverso interviste a 1008 persone.

Alla ricerca dell’utile e del divertente

Tenendo conto che si parla di Stati Uniti, e quindi di un Paese assai più avanzato del nostro per quanto riguarda l’alfabetizzazione digitale, il primo risultato del sondaggio è che più di metà degli intervistati – il 52% – ha dichiarato di non avere a che fare con il metaverso in alcun modo, e anche chi lo fa ha un approccio orientato soprattutto ai videogiochi: appunto il citato Minecraft, seguito da Fortnite e da Roblox. Al momento, la percentuale di chi usa il metaverso per lavoro è un esiguo 3%, ma non solo: il 64% è quasi certo che non si troverà a usare il metaverso in alcun modo per ragioni professionali.

Sempre parlando del futuro, il 29% degli intervistati crede che il metaverso rimarrà una realtà stagnante fin quando non arriverà qualcosa di universalmente utile e divertente allo stesso tempo; il 21% crede, invece, che col tempo scomparirà. Si parla, insomma, ancora di una realtà di nicchia, che potrà forse diventare più popolare quando le connessioni a banda ultralarga e il 5G saranno ancora più diffusi (su SOSTariffe.it, come sempre, si possono trovare le promozioni più vantaggiose), ma che dovrà contare soprattutto su un cambio di paradigma che ancora non c’è stato.

Gli occhiali più scomodi del mondo

Parte della responsabilità per lo scarso interesse attuale nel metaverso – e della propensione a considerarlo un gioco un po’ strambo – dipende anche dal suo basarsi su una tecnologia hardware che, storicamente, avrebbe buone ragioni per essere the next big thing ma stenta a decollare: la realtà virtuale videoludica attraverso i visori. Ogni anno si vedono presentazioni e dimostrazioni di visori sempre più futuristici, ma la percentuale di gamer che ne fa uso è ancora irrisoria. Anche l’idea di convertire l’uso dei visori dal semplice intrattenimento a occupazioni professionali, come le videoconferenze “in presenza virtuale” o il lavoro di precisione collaborativo, rischia di essere travolta dalle critiche che questi apparecchi continuano a raccogliere: sono scomodi, pesanti, fanno venire il mal di testa, il setup è tutt’altro che semplice e c’è il problema della gestione dell’IPD, l’interpupillary distance, cioè quel parametro che, in soldoni, ci fa vedere male se teniamo gli occhiali troppo vicini o troppo lontani dagli occhi. Un disagio che di norma è risolvibile con un gesto, ma che è assai più complesso quando si ha un visore legato al volto.

Com’è noto, nel 2014 il papà di Facebook ha comprato per la ragguardevole cifra di due miliardi di dollari Oculus VR, l’azienda del giovanissimo Palmer Luckey. A sedici anni, nel suo garage-da-startup d’ordinanza, Luckey aveva creato il primo prototipo dell’Oculus Rift,  il visore che – si credeva – avrebbe dovuto cambiare tutto (e forse dice qualcosina delle ossessioni di Luckey anche il fatto che un paio di mesi fa abbia costruito, un po’ per provocazione goliardica un po’ come una sorta di installazione artistica, una versione del suo visore che uccide nella vita reale il suo utilizzatore quando muore il suo personaggio in uno spazio virtuale). Non è ancora successo nulla di tutto ciò: i visori continuano a essere molto costosi e poco diffusi, nonché difficili da implementare, tanto che non manca sfiducia perfino tra gli stessi dipendenti di Meta (secondo un sondaggio interno, il 40% degli ingegneri del colosso tech sono perplessi sulle attuali strategie dell’azienda nel lungo periodo).

L’attuale prodotto di punta dell’azienda per il metaverso, Horizon Worlds, che è un videogioco basato sui visori Oculus, stenta a decollare, i bug non si contano e le recensioni sono tutt’altro che positive. E sempre più si diffonde tra gli scettici il dubbio che il metaverso sia un immenso specchietto per le allodole, creato per nascondere sotto il tappeto parecchia polvere (del resto anche il cambio di nome dice molto: “Facebook”, dopo gli scandali degli ultimi anni, era diventato un marchio molto poco spendibile, al contrario del più anonimo Meta).

Le cose per tutto il settore hi-tech sono andate molto male nel 2022, e a Zuckerberg fanno buona compagnia altri miliardari come Elon Musk, Jeff Bezos o Tim Cook: ma l’impressione è che se non arriverà in breve tempo quell’innovazione “utile e divertente” in grado di convincere i tantissimi poco interessati, il metaverso possa creare più problemi di quanti non ne abbia ancora risolti.

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