Minori online e lo sharenting
Questo articolo fa parte di una serie di approfondimenti sul tema della sovraesposizione dei dati personali online a cura di Marta Zeroni. Il testo esplora il fenomeno dello sharenting, analizzando i rischi e le implicazioni dell’eccessiva condivisione di informazioni sui minori da parte dei genitori sui social media.
Già nel 2018, in occasione del Safer Internet Day, l’UNICEF riportava come in rete un utente su tre fosse minorenne; nel frattempo, circa 175.000 bambini e ragazzi nel mondo si connettevano a internet per la prima volta (in media, uno ogni mezzo secondo), diventando il gruppo d’età più rappresentato online [1].
Secondo un report di Save The Children del 2023, in Italia il 78,3% di bambini tra gli 11 e i 13 anni utilizza internet tutti i giorni. Dopo la pandemia COVID-19, inoltre, si è registrato un aumento significativo di bambini tra i 6 e i 10 anni che ogni giorno utilizzano lo smartphone [2].
Sharenting: definizione e diffusione del fenomeno
Non è solo per propria scelta – benché di scelta certo non si possa giuridicamente parlare –, tuttavia, che i minori compaiono online. La pratica dei genitori di condividere informazioni (foto, video o dati diversi) riguardanti se stessi e i propri figli – definita sharenting – è sempre più diffusa [3].
I contenuti che coinvolgono i minori generano di regola più engagement rispetto a quelli che non li includono, così i figli degli influencer sono diventati parte integrante delle strategie di marketing e comunicazione della c.d. creator economy [4]: l’esempio italiano paradigmatico è quello arcinoto dei coniugi Lucia Ferragni, i cui follower hanno la possibilità di seguire in tempo reale la crescita e le vicende dei due figli, compresi alcuni momenti estremamente intimi e delicati della loro vita emotiva [5].
Un’influencer meno nota – e tuttavia molto seguita, contando ad oggi 2 milioni di follower su Instagram e altrettanti su YouTube – con l’aiuto del partner ha filmato e condiviso le varie fasi del proprio parto, dal momento della rottura delle acque, alle contrazioni, sino al primissimo allattamento [6]. A sua volta Giulia Cutispolo, nota sui social come “Disperatamentemamma”, ha fatto della condivisione della propria vita familiare accanto ai figli la sua principale attività d’impresa [7].
Baby influencer: il caso estremo dello sharenting
Un discorso a parte andrebbe poi fatto per i baby influencer, forse manifestazione più estrema dello sharenting [8].
In questo caso la rappresentazione dell’immagine del minore online non si limita a rientrare, più o meno incidentalmente, nel piano editoriale dei genitori, bensì ne costituisce l’unico soggetto, come nel caso della famiglia Brunacci Di Vaio: ognuno dei quattro figli ha un proprio profilo Instagram recante “account managed by dad & mom”. Nel complesso, soltanto su Instagram, questi account contano qualche migliaio di post tra foto e video e sono seguiti da centinaia di migliaia di utenti [9].
Nel frattempo, negli Stati Uniti, a soli 4 anni Wren Eleanor è l’intestataria di diversi account gestiti – non senza critiche da parte degli utenti [10] – dalla madre Jacquelyn. Su TikTok Wren ha più di 17 milioni di follower e oltre mille video nei quali la bambina è ritratta in svariate situazioni di vita quotidiana.
Le conseguenze dell’esposizione dei minori online
Alla luce degli esempi brevemente prospettati, i rischi per i minori potrebbero (o dovrebbero) apparire ovvi o perlomeno intuitivi, e tuttavia basterà una rapida ricerca per parole chiave all’interno di qualunque social network per accorgersi che per un gran numero di utenti così non è.
Se, nel 2018, molti dei commenti sotto foto e video del primogenito della famiglia Lucia Ferragni esprimevano critiche e perplessità sull’esposizione al pubblico del bambino, lo stesso non si può dire sia avvenuto tre anni dopo quando hanno iniziato ad essere pubblicati contenuti riguardanti secondogenita [11].
Sensibilità e costume sono cambiati radicalmente, e gli influencer hanno senza dubbio contribuito a dare l’esempio e a normalizzare la percezione da parte del pubblico, parte del quale è sempre più propenso a minimizzare o negare i rischi dello sharenting (c.d. “diniego del danno”) [12].
Sharenting: le dimensioni del fenomeno
Per farsi un’idea della dimensione attuale del fenomeno, basti pensare che la condivisione delle immagini delle ecografie – comprese quelle in 3D, nelle quali risultano già molto ben visibili i lineamenti del neonato –, è diventata una pratica abituale per circa 1 genitore italiano su 10 [13]; ed uno studio del Journal of Pediatrics ha stimato che, ad appena un anno di vita, le foto del bambino online potrebbero già arrivare a 300 [14].
Uno studio sul tema delle ricercatrici Lavoragna e Tartari [15] propone la classificazione del “genitore social” in tre categorie a seconda del rapporto con lo sharenting: 1) l’utente disinibito condivide senza preoccupazione alcuna contenuti sui figli, generalmente anche per costruire un senso della propria identità online; 2) l’utente moderato – sui quali si concentra il loro studio – adotta qualche misura di mitigazione, filtrando i contenuti e schermandoli dietro un account privato ma in definitiva non esimendosi dalla pubblicazione; 3) l’ultima categoria considerata è quella dell’utente che si oppone allo sharenting, evitando quindi la pubblicazione di qualsivoglia contenuto.
Le motivazioni alla base dello sharenting
Ad oggi non è possibile trarre conclusioni certe sulle motivazioni alla base dello sharenting [16], che si presenta come una delle varie manifestazioni fisiologiche delle nuove abitudini social, facilitato ed incoraggiato da una serie di fattori, quali ad esempio l’elevata usabilità delle piattaforme, l’ambivalente laissez faire adottato da queste ultime, la scarsa alfabetizzazione digitale degli utenti e i meccanismi di emulazione e social rewarding [17] che potrebbero spiegare almeno in parte l’adesione virale a determinati trend.
A proposito di trend, sia sufficiente richiamare l’esempio dell’Egg Crack Challenge. Nell’estate del 2023 medici e psicologi statunitensi chiesero pubblicamente ai genitori di smettere di frantumare uova sulle teste dei figli: la tendenza del momento, tra i #ParentsofTikTok [18], prevedeva, per l’appunto, la rottura a sorpresa di un uovo crudo sulla fronte dei figli, per poi pubblicarne il video [19].
Il rischio paventato dai sanitari nel caso di specie era quello di salmonella, ma, com’è evidente, le possibili ripercussioni sui bambini vittime dello “scherzo” non si limitavano ai danni fisici[20]. Il già citato studio del Journal of Pediatrics prospetta infatti per i minori sovraesposti rischi di diversa natura, complessi e non del tutto prevedibili[21].
Digital kidnapping e furto d’identità
Quando Meredith Steele ha testimoniato sui giornali il furto d’identità di cui sono stati vittime i suoi due figli, ma anche lei stessa e il marito, ha parlato di “digital kidnapping”. È stato un amico di famiglia ad avvisarla, dopo essersi imbattuto per caso in un paio di foto della famiglia in rete.
Quando poi Steele ha verificato da sé, si è trovata di fronte all’account di uno sconosciuto che stava utilizzando trenta delle sue fotografie per inscenare una vita fittizia online, avendo peraltro già accumulato qualche migliaio di follower. Le immagini rubate erano state originariamente condivise dalla donna nei suoi profili social[22].
Tanto più i dati, condivisi e ricondivisi, circolano online, quanto più semplice risulterà per i terzi malintenzionati perpetrare il c.d. digital kidnapping. Secondo gli analisti di Barclays Bank, da qui al 2030 potranno verificarsi più di sette milioni di furti d’identità a causa della sistematica sovraesposizione di minori nei social [23].
Il pericolo nascosto dei social network
Infatti con lo sharenting si creano, spesso inconsapevolmente, veri e propri dossier digitali sui propri figli estremamente dettagliati e facili da reperire: un patrimonio informativo inestimabile non solo per truffatori e ladri d’identità ma anche per altre categorie di malintenzionati. Il rischio psicofisico può così diventare molto più tangibile.
Un potenziale adescatore non ha neppure la necessità di adottare particolari tecniche d’ingegneria sociale per raccogliere un gran numero di informazioni riguardanti la sua vittima: abitudini, luoghi più frequentati, attività ed orari, gusti e preferenze, persino modi di dire[24]; tutti questi elementi, correttamente catalogati e sfruttati, aumentano quella che nel linguaggio della cybersecurity chiameremmo “superficie di attacco” e possono consentirgli di avvicinarsi con estrema facilità al minore [25].
Sussiste, inoltre, la concreta possibilità che le immagini dei minori finiscano all’interno dei database di materiale pedopornografico; e questo a prescindere dalla natura delle immagini stesse.
L’autorità indipendente australiana per la salvaguardia dei minori online ha infatti riportato che almeno la metà delle immagini presente nei siti web di image-sharing pedopornografici proviene direttamente dai social network, dove sono state condivise dagli stessi genitori[26].
È evidente come tali foto e video non potessero considerarsi contenuti pedopornografici in re ipsa ma lo siano diventati alla luce del diverso contesto in cui sono stati trasferiti e dei commenti di natura esplicitamente sessuale apposti dagli utenti.
Impatto reputazionale e danni a lungo termine dello Sharenting
Anche dal punto di vista reputazionale, non è difficile immaginare quelle che, in un futuro non troppo lontano, potrebbero essere le ripercussioni di video imbarazzanti, o peggio lesivi della dignità di chi vi è ritratto[27]. In ogni caso, non disponiamo ad oggi di sufficienti informazioni per pronosticare quali potranno essere nel lungo termine i danni morali ed esistenziali derivanti dalla sovraesposizione dei minori.
È indubbio però che nel caso dello sharenting – in particolare nelle sue forme più estreme qui descritte – risulta tradita in primo luogo quella pretesa minima di controllo sul dato sulla quale ci si era interrogati nel capitolo 3.
I genitori, in qualità di titolari della c.d. privacy stewardship [28], dovrebbero gestire l’identità digitale del minore in modo avveduto e nell’interesse del minore stesso, tutelandola da ingerenze di terzi e non mancando di considerare le possibili conseguenze.
Ma la condivisione (o, in altre parole, la diffusione), anche con le migliori intenzioni[29] di estese e dettagliate informazioni riguardanti il figlio equivale di fatto a rinunciare al controllo sui dati personali, non avendo alcun modo di prevedere ed eventualmente arginare quelli che saranno i futuri riutilizzi da parte di terzi, e negando in ogni caso al minore la possibilità futura di auto-determinare efficacemente la propria identità sociale online.
Linee guida per la protezione dei dati dei minori: l’opinione del Garante
Rendendo un’opinione indipendente sul tema, il componente del collegio del Garante Guido Scorza ha affermato che, come regola generale, sarebbe auspicabile che genitori e tutori si astenessero dalla pubblicazione dei dati dei figli online, salvo casi di eccezionale ed effettiva necessità (ad esempio per la ricerca di un minore scomparso) [30].
Un’impostazione tanto netta potrebbe apparire in una certa misura rigida ed irrealistica [31], pur tuttavia risultando, nella sua semplicità, innegabilmente efficace nel preservare le future possibilità di controllo sui dati personali da parte del minore.
Abbiamo esplorato il fenomeno dello sharenting, evidenziando i rischi significativi associati alla condivisione eccessiva di informazioni sui minori online da parte dei genitori. Nel prossimo articolo della serie, affronteremo il tema delle vittime di pornografia non consensuale e revenge porn. Per un’analisi più approfondita di queste tematiche e altre questioni legate alla privacy online, vi invitiamo a scaricare il white paper completo “Sovraesposizione e controllo sui dati personali nell’ecosistema informativo online” a cura di Marta Zeroni.
Note:
[1] Safer Internet Day 2018, una guida sull’uso sicuro del web per i bambini (UNICEF Italia). Ultimo accesso il 5 febbraio 2024.
[2] Infanzia: si abbassa sempre di più l’età in cui si utilizza uno smartphone e il 43% dei bambini tra 6 e 10 anni nel sud e nelle isole lo usa tutti i giorni (Save The Children). Ultimo accesso il 10 febbraio 2024.
[3] BLUM-ROSS A., LIVINGSTONE S., Sharenting: parent blogging and the boundaries of the digital self in Popular Communication, 15, 2, 2017, p. 112.
[4] LUCARELLI S., Mariana di Vaio e i figli di tutti (Il Sottosopra – Chora Media). Ultimo accesso il 10 febbraio 2024; BONANOMI G., TEDx Talks – Sharenting: perché le foto delle mie due figlie non sono online | Gianluca Bonanomi | TEDxLegnano (YouTube). Ultimo accesso l’11 febbraio 2024.
[5] SIGNORELLI A.D., Il Truman Show di casa Ferragnez (Wired Italia). Ultimo accesso l’11 febbraio 2024.
[6] NAZ, LA NASCITA DI DANTE – IL PARTO (YouTube). Ultimo accesso l’11 febbraio 2024.
[7] Disperatamentemamma – Julia Elle (Instagram). Ultimo accesso l’11 febbraio 2024.
[8] RANE Z., The Terrifying Rise of the Child Influencer and the Parents Who Profit (One Zero – Medium). Ultimo accesso l’11 febbraio 2024.
[9] Si rimanda ai soli account dei genitori: MARIANO DI VAIO (Instagram) e Eleonora Brunacci di Vaio (Instagram). Ultimo accesso l’11 febbraio 2024.
[10] DICKSON E.J., A Toddler on TikTok Is Spawning a Massive Mom-Led Movement (Rolling Stone). Ultimo accesso l’11 febbraio 2024.
[11] MELIGRANA E., SCORZA G., La privacy degli ultimi, Rubbettino Editore, 2022, pag. 43.
[12] LAVORGNA A., TARTINI M., La sovraesposizione digitale dei minori. Un approccio multidimensionale al fenomeno dello sharenting, Franco Angeli, 2023, pp. 80-81.
[13] UBBIALI G., Sharenting, i genitori violano il diritto alla privacy dei figli sui social? (Alley Oop – Il Sole 24 Ore). Ultimo accesso il 5 febbraio 2024.
[14] FERRARA P., Online “Sharenting”: The Dangers of Posting Sensitive Information About Children on Social Media in The Journal of Pediatrics, 257, 2023.
[15] LAVORGNA A., TARTINI M., ibidem.
[16] LAVORGNA A., TARTINI M., op. cit, p. 51.
[17] FARERI D. S., DELGADO M. R., The Importance of Social Rewards and Social Networks in the Human Brain in Neuroscientist, 4, 2014, pp. 387-402.
[18] Introducing the #ParentsofTikTok (TikTok). Ultimo accesso il 5 febbraio 2024.
[19] Egg Crack Challenge (Know Your Meme). Ultimo accesso il 5 febbraio 2024.
[20] BISSET V., Doctors to parents: stop smashing egg on your kids’ heads on TikTok (The Washington Post). Ultimo accesso il 5 febbraio 2024.
[21] FERRARA P., op. cit.
[22] Indagini su casi analoghi hanno evidenziato come l’uso improprio e non autorizzato delle altrui foto di famiglia sia in genere posto in essere da adolescenti e giovani donne nel contesto di giochi di ruolo in cui si fingono madri. WILLIAMS A., Digital Kidnapping: Your Kids and Social Media Privacy (Protect Young Eyes). Ultimo accesso il 10 febbraio 2024.
[23] COUGHLAN S., ‘Sharenting’ puts young at risk of online fraud (BBC News). Ultimo accesso il 10 febbraio 2024.
[24] Già nel 2011 l’FBI esortava i genitori alla prudenza, in quanto i dati condivisi potevano rivelare dei veri e propri “pattern of life”: Cyber Alerts for Parents & Kids (FBI). Ultimo accesso il 10 febbraio 2024.
[25] Per un esempio provocatorio sul punto: FLORA M., Ciao Internet con Matteo Flora. 220. Come rapire Martina, 5 anni, ai giardinetti… (YouTube). Ultimo accesso il 10 febbraio 2024.
[26] BATTERSBY L., Millions of social media photos found on child exploitation sharing sites (The Sydney Morning Herald). Ultimo accesso il 10 febbraio 2024.
[27] Come nel caso del figlio dei coniugi Glembin, avvolto “per punizione” nella plastica per alimenti, in lacrime ed evidentemente confuso, mentre i genitori lo filmano e lo scherniscono. Il video è stato poi pubblicato su TikTok. KATELARIS E., I didn’t know what we did to our son was bad until cops knocked at our door (The New York Post). Ultimo accesso il 10 febbraio 2024.
[28] KUMAR R., SCHOENEBECK S., The modern day baby book: Enacting good mothering and stewarding privacy on facebook in CSCW 2015 – Proceedings of the 2015 ACM International Conference on Computer-Supported Cooperative Work and Social Computing, 2015, pp. 1302-1312.
[29] Come evidenziato da Lavorgna e Tartini, l’esercizio dello sharenting da parte dei genitori può essere funzionale, ad esempio alla partecipazione attiva all’interno dei gruppi e comunità di sopporto oppure alla riconfigurazione dell’identità individuale della madre dopo il parto. LAVORGNA A., TARTINI M., op. cit., p. 85-86.
[30] Come evidenziato da Lavorgna e Tartini, l’esercizio dello sharenting da parte dei genitori può essere funzionale, ad esempio alla partecipazione attiva all’interno dei gruppi e comunità di sopporto oppure alla riconfigurazione dell’identità individuale della madre dopo il parto. LAVORGNA A., TARTINI M., op. cit., p. 85-86.
[31] SCORZA G., FLORA M., #Sharenting: tutto quello che dovreste sapere prima di mettere online le foto dei vostri figli… ultimo accesso il 5 febbraio 2024

Consulente Privacy e IT Law, auditor, Data Protection Officer e formatrice in materia di protezione dei dati personali e società digitale. Laureata magistrale in giurisprudenza all’Università degli Studi di Padova, con perfezionamento in criminalità informatica e investigazioni digitali alla Statale di Milano e master di secondo livello in Informatica Giuridica presso La Sapienza di Roma.
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