Netflix in crisi? Gli utenti cambiano più velocemente della tecnologia

Cambiano più gli utenti della tecnologia. Sembra questa la lezione da decifrare dalla crisi di Netflix.

Probabilmente, come capita sempre nel fluido e incostante mondo delle soluzioni digitali, che sono sempre una risposta e mai la causa dei comportamenti sociali, la brusca frenata indotta dalla trimestrale che ha visto un’emorragia di 200 mila abbonati sui circa 222 milioni raccolti, è più il segnale di una trasformazione dell’infosfera, diciamo l’ennesima mediamorfosi, piuttosto che una défaillance contabile.

La scivolata di Netflix

I numeri in rosso segnalano non tanto un’emergenza finanziaria – siamo ancora largamente in attivo nel gruppo che possiede la piattaforma – quanto un’insoddisfazione rispetto alla disponibilità a spendere.

Il contesto in cui è avvenuta la scivolata, costata alla piattaforma di streaming tv un terzo della propria capitalizzazione in borsa, è effettivamente particolare, con i postumi della pandemia e una crisi geo politica ed economica che prelude ad un surriscaldamento del mercato di consumo in generale.

Siamo ad una vigilia di trasformazioni, anche traumatiche, come solo un’evenienza bellica può produrre.

Le soluzioni di cui si parla per tamponare gli sbandamenti del mercato, offerte più rigide e pubblicità, sembrano palliativi momentanei, che danno più rassicurazione agli azionisti che ai clienti. In realtà, è in incubazione una svolta più radicale.

Rete balcanizzata

La balcanizzazione della rete digitale, con la separazione del mercato lungo la faglia est ed ovest, ridisegnerà tutte le attività e i servizi che oggi scorrono globalmente. Nulla sarà più universale per molto tempo, e tutto verrà localizzato in ambiti regionali.

Infatti nel conto delle disdette degli abbonamenti di Netflix conta la quota del mercato russo – circa 700 mila clienti – da cui il gruppo guidato da Reed Hastings si è ritirato dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina.

Crisi economica e geo politica

Crisi economica e contrapposizioni geo politiche sono indubbiamente due fattori che influenzano un bene di consumo così voluttuario quale appunto l’intrattenimento di alto livello che propone Netflix.

Ma probabilmente conta ancora di più una certa maturazione ed emancipazione proprio degli utenti a cui si rivolgono le piattaforme di streaming.

Rispetto alla Tv generalista o alle stesse piattaforme pay, i modelli di fruizione dei flussi di offerta di streaming tv attivano un ruolo più coinvolgente dello spettatore che deve organizzare la visione dello spettacolo che sceglie in base alla composizione della platea, al proprio stato d’animo, alle necessità di vedere o sapere esattamente quel contenuto in quel momento.

Chi sei? La domanda dell’algoritmo

Tutto questo processo viene costantemente monitorato dalle piattaforme mediante sofisticati algoritmi che scansionano il comportamento emotivo del cliente creando una vera e propria cartella clinica. Quando iniziamo la nostra esperienza, ad esempio su Netflix, la prima domanda che incontriamo è infatti: Chi sei?

Un quesito non banale, come sappiamo da sempre, che Netflix rende ancora più sensibile e pregiato elaborando i dati che raccoglie per legare il cliente ad un’offerta sempre più personalizzata.

Ma inevitabilmente creando questa forma di complicità, più o meno consapevole, la piattaforma spinge l’utente ad assumere una responsabilità ed una presenza sempre più vigile nel momento della selezione.

Usando queste piattaforme – insieme a Netflix ci sono Amazon prime o Disney+ per citare quelle emergenti – inevitabilmente  ci si addestra  a scegliere.

L’utente entra in un tirocinio, in cui diventa sempre più abile ed esigente nell’uso dei menù, e acquisisce una furbizia abilitante che gli permette di comparare, valutare, offerte e opportunità, misurando  il proprio grado  di soddisfazione.

Micro asta quotidiana

Possiamo dire che ogni sera vada in scena una specie di micro asta per la propria attenzione, in cui ognuno di noi cerca l’opportunità più rispondente alle condizioni in cui ci troviamo esattamente in quel momento.

Nomadismo digitale

Negli Usa, mercato ancora trainante, vediamo da tempo che ormai si realizza una sorta di nomadismo digitale, in cui gli utenti seguono i singoli programmi, abbonandosi istantaneamente alle piattaforme che trasmettono quella serie o quella fiction, per poi uscirne alla conclusione.

A questo punto la svolta che il mercato sta richiedendo, ed è già stata teorizzata nei provvedimenti di regolazione dell’Unione Europea per i social, riguarda l’introduzione di forme di interoperabilità.

Brokeraggio di servizi audiovisivi

Il motore del mercato non diventa più l’offerta del palinsesto, con le diverse proposte personalizzate e nemmeno la singola piattaforma che le rende fruibili, ma un sistema di brokeraggio dei servizi audiovisivi in cui si accede ad una molteplicità di fruizioni. Qualcosa che torna ad assomigliare alle piattaforme satellitari, tipo Sky, con il servizio Q, che si propone come un hub, una scorciatoia per arrivare ai programmi di una serie di marchi che aderiscono al servizio.

Palinsesti momentanei

L’utente, la sua volubilità o complessità di desideri e ambizioni diventa il centro di innumerevoli palinsesti momentanei che si creano combinando le offerte delle diverse piattaforme. Sarà così possibile scegliere una fiction di Netflix e poi vedere subito un reportage su Amazon o un film su Disney, con un unico abbonamento. In questa logica, si delineeranno alleanze e federazioni editoriali che cercheranno come sempre il primato, se non proprio il monopolio.

Ma sempre di più l’interoperabilità scavalcherà steccati e recinti proprietari.

Si conferma il principio che nel mercato dell’abbondanza di offerta decide non chi parla ma chi ascolta.

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