Perchè il mercato Gas TTF dovrebbe essere chiuso e limitati gli scambi fra stati che NON sfruttano le loro risorse. Siamo in mano a un pugno di oligopolisti

Il prezzo nel finto mercato, non regolamentato, Dutch TTF del gas naturale europeo sta ormai esplodendo, a fronte di un’incertezza provocata ad arte sulle consegne e di governi che sono paralizzati nella ricerca di fonti energetiche alternative, anche interne.

Il mercato TTF vede ormai i prezzi totalmente v fuori controllo, eppure le riserve tedesche sono piene oltre il 75% e anche quelle italiane sono abbastanza rifornite, essendo al 64% al 14 agosto, con una proiezione del 72% al 31 ottobre, ma vedrete che sarà di più a quella data. Invece il prezzo è follemente alle stelle.

Che senso ha un mercato che non ha una seria regolamentazione e che presenta una volatilità da far apparire le criptovalute un investimento sicuro e stabile? Nessuna, se non quello di far arricchire un pugno, ristrettissimo, di grandi speculatori. Tra l’altro questi prezzi alti non spingono chi ne beneficia a nessuna spinta verso un aumento dell’offerta.

Come poneva bene in luce Reuters, a vedere sul mercato TTF sono soprattutto Equinor e Shell, con la società norvegese, quella che arricchisce, giustamente, i pensionati di lassù, che già a ottobre 2021 vendeva sul TTF il 70% del Gas estratto dal mare del Nord. Seconda la Shell. Questi soldi pagano la “Transizione ecologica”, si, qulla dei norvegesi, comunque già ricchissimi di energia idroelettrica, e solo in modo limitato vengono reinvestiti nell’estrazione del gas che allevierebbe la dipendenza europea da Mosca. Quindi costituiscono non una rendita per il futuro europeo, ma solo una per il ricco norvegese. Gazprom aveva invece un sistema di definizione dei prezzi più variegato: ad ottobre dello scorso anno solo il 10% era sul mercato spot, mentre il grosso era su prezzi definiti in modo mensile o trimestrale e il 13% addirittura con prezzi collegati al petrolio, quindi ora un po’ più stabili. Anche Shell invece vende soprattutto spot.

Quindi questi prezzi alle stelle, essendo goduti da aziende che comunque sfruttano un’aerea limitata, il Mare del Nord, o mercati da cui vogliamo distaccarci, la Russia, non comporteranno nessun miglioramento dell’offerta. A questo punto il TTF, come mercato è fallito: non incentiva nessuna efficienza produttiva, ma solo serve a tosare i cittadini europei attraverso una riduzione progressiva dell’offerta e un forzato aumento dei prezzi.

Ci troviamo di fronte a una crisi dell’offerta e i governi, se non vogliono un impoverimento dei cittadini e una deindustrializzazione dell’area dell’Unione Europea, dovrebbero preoccuparsi di come me dove procurarsi l’energia necessaria, non di come far guadagnare un pugno di società che, comunque, non reinvestiranno questi soldi nell’alleviare la carenza energetica europea. La Norvegia lo ha detto molto chiaramente al cancelliere Scholz durante l’ultima visita: non aumenteremo la produzione di gas. A questo punto meglio sostituire il TTF, cancellandolo, con dei contratti a medio termine , dai 12 ai 60 mesi, delle società energetiche direttamente con i fornitori, con delle limitazioni di cui parleremo in seguito. In questo modo:

  • daremmo certezza dei prezzi nel medio periodo all’industria, permettendo almeno di fare la programmazione necessaria a breve;
  • permetteremmo anche ai fornitori di programmare un minimo di investimenti;
  • eviteremmo contratti trentennali con obblighi di acquisto che si potrebbero rivelare troppo onerosi;
  • spalmeremmo eventuali aumenti su un periodo temporale più lungo.

Questi contratti potrebbero generare , tramite la loro cedibilità, un nuovo mercato, meno speculativo perché non basata sulla notizia quotidiana della chiusura di questo gasdotto, o la conclusione di quest’altro accordo. Ciò comunque permetterebbe un’ottimizzazione dei flussi a livello europeo, anche se le strozzature infrastrutturali presenti lo renderebbero comunque monco e parziale, ad esempio escludendone la Penisola Iberica. Un mercato che però dovrebbe essere aperto, a parità di condizioni, solo da quegli stati che effettivamente accettano di eliminare le restrizioni nazionali all’estrazione del gas almeno per il medio periodo, cioè per i famosi 60 mesi. Perché se è una crisi, quasi a livello militare, chi si arroga il diritto di porre delle limitazioni per motivi interni, allora è giusto che ne paghi il prezzo, anzi il sovrapprezzo. Questo significa che se Francia o Germania volessero parteciparvi dovrebbero cancellare, almeno per un 60-72 mesi, i divieti all’estrazione con tecniche di fracking, che ipocritamente ammettono per i paesi da cui importano il LNG, e l’Italia dovrebbe cancellare il PITESAI verso una politica di autorizzazione centralizzata, ma che conceda royalties a favore delle comunità locali o regionali, per aiutare a superare il NIMBY. Se veramente il gas è uno strumento di guerra e in guerra ci si deve considerare, allora chi specula sulla guerra ne deve pagare il prezzo… In alternativa si protrebbe proprio chiudere il mercato comune e, visto che si parla così tanto di “Competizione”, farla veramente, facendo competere gli stati nel produrre energia per far fronte alle proprie necessità e non nel rubarla, o sottopagarla, ai vicini.

Invece sono sicuro che nessuno interverrà, e il pensionato norvegese riccamente brinderà alla nostra salute, Sino a che l’ultima azienda europea non avrà chiuso.


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