Perché spariscono film e serie tv dalle piattaforme streaming?

  ICT, Rassegna Stampa
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Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui.

Hai rimandato all’infinito il momento per iniziare a guardare quella serie di cui ti hanno parlato tutti, perché dovevi finire prima un’altra, o perché non ne avevi voglia. La cerchi – districandoti tra gli algoritmi e le decine di categorie con cui ogni buon servizio di tv streaming incasella i suoi contenuti – e non la trovi più. Forse ti sei sbagliato? Era su qualche altro abbonamento della mezza dozzina che ogni mese diligentemente paghi, anche se magari non apri la relativa app sulla tua smart tv da un anno? Controlli, ma no, è proprio lì dove l’hai cercata. O meglio era, perché nel frattempo la serie è stata rimossa, anche se è uscita da poco e se n’è parlato parecchio (esempio: Willow su Disney+). Hai perso la tua occasione, e ti chiedi: ma perché spariscono film e serie? C’è qualche limite di spazio? O c’è qualche altro motivo?

La volatilità dei diritti di streaming per film e serie tv

Del fenomeno, conosciuto come «rotazione del contenuto», ha parlato qualche giorno fa un articolo di CBNC. Il motivo principale per cui i film e le serie TV scompaiono dalle piattaforme è la natura temporanea dei diritti di streaming: questi diritti, accordati dalle case di produzione ai distributori, hanno infatti generalmente una durata limitata. Una volta che questi diritti scadono, la piattaforma non è più autorizzata a trasmettere il contenuto, a meno che non rinnovi l’accordo; operazione che può non essere conveniente se il contenuto non ha avuto la performance che si sperava ed è improbabile che l’abbia in futuro.

Le licenze, con l’aumentare della competizione nel settore, stanno diventando sempre più costose, e la guerra per strappare abbonati alla concorrenza è all’ordine del giorno, tra esclusive e modalità di abbonamento più economiche: come quelle che prevedono la trasmissione di contenuti pubblicitari, nello stile della cara, vecchia tradizionale, in cambio di un canone inferiore (su SOStariffe.it si possono mettere sempre a confronto le offerte più convenienti in questo ambito, comprese quelle incluse in altre utenze). Di conseguenza, è anche questo uno dei motivi per cui sono sempre di più le case di produzione che lanciano le proprie piattaforme, ed ecco che un film Disney un tempo a disposizione su Netflix ora, magari, si trova su Disney+.

Lo sciopero complica la situazione

La domanda dei consumatori gioca un ruolo significativo nella decisione di mantenere o rimuovere un contenuto: le piattaforme di streaming tracciano attentamente il comportamento degli abbonati e utilizzano questi dati per determinare quali film e serie TV mantengono l’interesse del pubblico. Se un contenuto non attira un numero sufficiente di spettatori, può non essere rinnovato, anche se è costato molti soldi per la sua realizzazione.

Questo fenomeno si intreccia in questi giorni con la crisi di Hollywood dovuta allo sciopero degli sceneggiatori e dei lavoratori nella produzione audiovisiva, partito lo scorso 2 maggio, che ha portato a un blocco significativo della produzione di nuovi contenuti e pertanto ha avuto ripercussioni importanti per i servizi di streaming come Netflix e Disney+.

I lavoratori di Hollywood hanno sollevato diverse questioni, tra cui salari non adeguati, condizioni di lavoro non ottimali e mancanza di riconoscimento per il loro contributo. Le piattaforme di streaming, in quanto committenti di diversi di questi progetti, sono state direttamente coinvolte nelle dispute. La situazione, quindi, si complica ancora: con la crescente richiesta di nuovi contenuti da parte degli abbonati, le piattaforme devono trovare un equilibrio tra la produzione di contenuti di alta qualità e il rispetto dei diritti dei lavoratori, il tutto destreggiandosi con la necessaria rotazione dei contenuti.

Secondo gli sceneggiatori, anche coloro che hanno ricevuto premi e riconoscimenti per il loro lavoro stanno faticando a sbarcare il lunario. I manager degli studi cinematografici dicono di essere impegnati a proporre un accordo che possa essere vantaggioso per entrambe le parti, ma insistono sul fatto che non possono soddisfare le richieste della Writers Guild sulle condizioni minime di assunzione e la durata del contratto degli sceneggiatori.

“Gig economy” anche per gli sceneggiatori

Il rischio è quello di passare da un’industria che si basava, fino a pochi anni fa, su uno staff fisso a una fatta soprattutto di freelance: ci sono sceneggiatori di grande successo che faticano ad arrivare a duemila dollari al mese, e questo non può non avere un impatto sulla frequenza con cui arrivano i contenuti sulle piattaforme. Lo sciopero porterà infatti diverse serie a fermarsi, riducendo ulteriormente la possibilità di scelta.

E ci sono grossi nomi, tra quelli che si sono dovuti fermare, o con personale che ha voluto fermarsi per solidarietà  (e che arriveranno quindi sulle piattaforme con vari mesi di ritardo rispetto ai piani originari, ammesso che si riesca alla fine a trovare un accordo tra studios e sceneggiatori). In primo luogo la quinta e ultima stagione di Stranger Things, attesissimo prodotto di punta di Netflix, ma anche il fiore all’occhiello di Paramount+, Yellowjackets. Stessa situazione per la seconda stagione di The Last of Us, che non può procedere con il casting, e la sesta del Racconto dell’ancella, oltre alla seconda di Severance. C’è chi se l’è cavata per un pelo, come House of the Dragon, che aveva da poco finito gli script per la seconda stagione, o Rings of Power.

Netflix può resistere. Ma per quanto?

Anche per questo il CEO di Netflix, Ted Sarandos, lo scorso aprile ha voluto rassicurare gli azionisti, presagendo lo sciopero che stava per arrivare, dicendo che Netflix ha già un ampio serbatoio di serie e contenuti già finiti pronti per esordire sulla piattaforma, e che quindi – Stranger Things a parte – sarà al sicuro dagli effetti dello sciopero per molti mesi. Ma non è un segreto che ci vorrà più parsimonia nel gestire le nuove uscite, e, forse, perfino abbandonare la metodologia di distribuzione delle puntate, che su Netflix di norma sono tutte a disposizione fin dal primo giorno, a differenza di Disney+ o Apple TV+.

Nel frattempo, la nuova stagione di Black Mirror sta per esordire: nel primo episodio, la protagonista, una normale spettatrice di un servizio streaming molto simile a Netflix, scopre che a sua insaputa si è girata una serie su di lei, interpretata da Salma Hayek. In mancanza di contenuti, potrebbe essere un’idea, non solo distopia.

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