5G&Co. Laura Aria (Agcom): “5G, manca un business model ben definito”

Dai nuovi servizi alle applicazioni, dai verticals alla regolamentazione, sono molteplici gli aspetti necessari concomitanti nella creazione e lo sviluppo di un nuovo ecosistema basato sulla rete 5G e 5G standalone. Uscito dalla sua prima fase tecnologica di avvio, il 5G sta ormai evolvendo silenziosamente ma in maniera costante verso una molteplicità di applicazioni capillari a vantaggio soprattutto del mondo aziendale.

Su questi temi si è centrato l’intervento di Laura Aria, Commissario Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) alla 6° edizione del 5G Italy, la conferenza internazionale di riferimento del mondo delle telecomunicazioni organizzata dal CNIT (Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Telecomunicazioni), dal titolo “5G & Co. 2024. Everything is Connected”, che si svolgerà oggi e domani al palazzo delle Esposizioni di Roma.

Il 5g ha rivoluzionato il concetto di utente finale. Ha aumentato la capacità di far dialogare le macchine tra loro. Il 5G è fattore di discontinuità rispetto al tradizionale servizio radio mobile. Questo spiega la difficoltà di affermarsi di questa tecnologica, perché manca un business model ben definito. In un ambiente digitale ci sono numerosi servizi, spesso offerti da aziende non europee. Qui manca la vecchia leadership dell’Europa nei servizi mobili, in cui collaborarono tutti gli stakeholder per individuare interfacce comuni che hanno determinato il successo del Gsme”, ha spiegato Laura Aria.

Questa del 5G è una storia che stenta a decollare, perché presuppone un cambio totale di business, di mercato e nell’individuare reti di servizi più flessibili rispetto alle precedenti. Queste sono reti che si modellano davanti ai servizi e quindi il 5G necessità di un livello alto di digitalizzazione delle imprese e del mercato, nonché grandi competenze digitali e regole di condivisione dello spettro che prima non c’erano. Dal punto di vista delle regole, nel 2016 c’è stato l’Action plan e poi nel 2017 una legge nazionale per i criteri delle aste delle frequenze. Siamo satti il primo regolatore in Europa che ha predisposto l’asta 5G. in questo regolamento – ha aggiunto il Commissario – l’autorità ha introdotto prime forme di flessibilità come il sistema “o lo usi o lo lasci”, il sistema club house che determinata l’entrata in un club degli operatori per la condivisione delle frequenze”.

Se il panorama delle regole è chiaro, ora bisogna passare alla pratica. Il 5G deve tradursi in opportunità di mercato, in un contesto favorevole per la crescita della domanda e degli investimenti. Nel 2018 era forte l’aspettativa degli operatori di introdurre un 5G con tariffe differenziate, ma oggi non vediamo una differenza marcata tra l’uso della tecnologia 4g e 5G e quindi l’utente non è spinto al cambiamento. Ci sono stati dei saldi negativi nei ricavi degli operatori proprio quando servivano maggiori investimenti. Uno dei fattori più critici è nella frammentazione degli operatori. In Europa – ha detto Aria – sono più di 100 e hanno una media di 4,4 milioni di abbonamenti per operatore. Se non crescono questi numeri le imprese non saranno propense ad offrire servizi di nuova generazione. Un altro motivo è la mancanza dello sviluppo del 5G stand-alone, mentre altrove è presente da tempo e con ottimi risultati”.

Tutto questo, ha proseguito il Commissario, “ha determinato preoccupazione nelle Istituzioni europee, spingendole a cercare nuove soluzioni a supporto dello sviluppo di industrie e mercati. Oggi ci sono segnali di ripresa dopo la pandemia, con lo sviluppo di reti a sostegno di nuovi progetti. C’è il progetto Porsche engineering in Puglia, il progetto TIM nel porto di Livorno, le smart city e la logistica nei trasporti. La collaborazione tra Ferrovie dello Stato e Fondazione Bordoni per il monitoraggio delle infrastrutture ferroviarie”.

Nel 5G advanced infine i margini di crescita potrebbero essere molto alti, in particolare nel settore dell’intrattenimento e dei social media. Nei prossimi anni ci attendiamo uno sviluppo concreto per i broadcaste. La Commissione ha avviato una consultazione sul Libro bianco della connettività, per attrarre nuovi investimenti, individuando il percorso per alleggerire la regolamentazione e l’introduzione di alcuni criteri chiave come la sostenibilità economica e la sicurezza delle reti. Sulla base del nuovo quadro – ha concluso Aria – speriamo si possa assistere ad un concreto sviluppo del 5G in Europa”.

https://www.key4biz.it/5gco-laura-aria-agcom-5g-manca-un-business-model-ben-definito/487028/




Europee, AgCom approva regole par condicio per Radio e TV

Effettuata la prescritta consultazione con la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, l’Agcom, a maggioranza, con il voto contrario della commissaria Giomi, ha approvato il regolamento sulla par condicio per le elezioni europee che si svolgeranno nel mese di giugno del 2024. Non sono state introdotte modifiche alla bozza iniziale trasmessa alla Commissione di Vigilanza, che, nel regolamento valido per la Rai, aveva aggiunto la norma sull’informazione governativa contestata dall’opposizione

L’Autorità sia per i telegiornali, sia per i programmi di informazione, non si limiterà a valutare la quantità di tempo fruita dai soggetti politici nella programmazione, ma considererà le fasce orarie in cui l’esposizione dei soggetti avviene, sulla base degli ascolti registrati dall’Auditel. Inoltre, nella valutazione dei programmi di informazione, si terrà conto anche della loro periodicità.

Il testo, sostanzialmente invariato rispetto allo schema trasmesso alla Commissione di Vigilanza, definisce i criteri specifici ai quali debbono conformarsi le emittenti radiotelevisive private ai sensi della legge n. 28 del 2000 e definisce per la Rai e per le private il sistema di monitoraggio, ai fini dei provvedimenti e delle sanzioni di cui all’art.10 della stessa legge.

Il nuovo regolamento, anche a seguito di alcune sentenze della Giustizia amministrativa, introduce nuovi criteri per garantire la parità di trattamento nell’informazione televisiva. 

In particolare, l’Autorità sia per i telegiornali, sia per i programmi di informazione, non si limiterà a valutare la quantità di tempo fruita dai soggetti politici nella programmazione, ma considererà le fasce orarie in cui l’esposizione dei soggetti avviene, sulla base degli ascolti registrati dall’Auditel. Inoltre, nella valutazione dei programmi di informazione, si terrà conto anche della loro periodicità.

L’Autorità interverrà tempestivamente in caso di squilibri, mirando ad assicurare un dibattito politico corretto e pluralistico e condizioni di parità di trattamento tra i soggetti partecipanti alla competizione elettorale.

L’Autorità applicherà in modo uniforme per la RAI e per le emittenti private le regole fissate dalla legge e richiamate tanto dalla delibera della Commissione di vigilanza quanto dal proprio regolamento approvato oggi.

Prima di adottare qualsiasi decisione, l’Autorità garantirà un processo di contraddittorio per consentire alle emittenti di presentare le osservazioni e di fornire eventuali chiarimenti sui dati di monitoraggio, che riceveranno settimanalmente.

Giomi (AGCOM): “Svuotato il senso della par condicio”

“Per la prima volta dalla promulgazione della legge sulla par condicio del 2000, i due regolamenti che la attuano, quello di AgCom e quello della Commissione di Vigilanza Rai sono differenti, e non si tratta certo di una pura questione lessicale”. Così in una nota la Commissaria Elisa Giomi di AgCom, a margine della riunione di Consiglio che ha approvato il regolamento dell’Autorità sulle elezioni europee del prossimo giugno.

“La discrepanza introduce due pesi e due misure per gli attori politici che durante la campagna elettorale avranno differente trattamento nella TV pubblica e in quella privata, con evidenti ricadute sull’elettorato” precisa Giomi e sottolinea: “Si deroga così alle previsioni di quel fondamentale presidio della nostra democrazia che è la legge n.28 del 2000, svuotandone il senso stesso”.

Di fatto il regolamento della Vigilanza prevede che gli esponenti di Governo non abbiano limiti al tempo di parola se si tratta di un’informazione sulle attività istituzionali’.
“Ma rimane davvero così netta la distinzione rispetto alla comunicazione politica nel contesto della competizione elettorale?” si chiede la Commissaria, preoccupata per l’alterazione dei conteggi della par condicio che potrebbe derivare da questa ambiguità.

Da docente di linguaggio televisivo rileva inoltre forti criticità anche per il regolamento Agcom, in particolare sul sistema di monitoraggio definito per tutte le emittenti televisive: “Ritengo che possa accentuare ulteriormente le disparità di trattamento e indebolire il controllo dei tempi di parola assegnati ad ogni forza politica”.

E spiega: “Ad esempio di fronte ad uno squilibrio di una certa rilevanza da parte di una emittente, Agcom le impone un ordine di riequilibrio a favore dei soggetti penalizzati, che l’emittente deve programmare entro la settimana successiva. Se l’emittente non lo fa, Agcom avvia un procedimento sanzionatorio senza però poter ripetere l’ordine di ripristino. In questo modo lo squilibrio rimane tale, e può cumularsi a eventuali squilibri successivi. Certo, questi potranno dare luogo ad altrettante sanzioni se l’emittente non provvede a ripararli, ma al termine della campagna elettorale si saranno tradotti in cospicua visibilità in più a favore della stessa forza politica”.

E aggiunge: “Il principio distintivo della legge sulla par condicio, chiaramente enunciato nell’articolo 10 (comma 9), che garantisce il bilanciamento della sovra o sotto-rappresentazione di una determinata forza politica attraverso ordini di ripristino, viene così sostituito da un generico meccanismo sanzionatorio, che colpisce le emittenti inadempienti solo ad elezioni concluse e senza obbligarle alla compensazione durante la campagna elettorale. E’ come fare una multa a qualcuno che abbia trafugato un’opera d’arte senza imporgli di restituirla”.

“Inoltre la distorsione è accentuata dagli ampi margini di tolleranza sugli sforamenti dei tempi di parola. Il regolamento consente, in ipotesi, che ogni forza politica possa accedere, ogni 2 settimane, ad un tempo fino al 15% in più o in meno di quello assegnato senza che l’Autorità intervenga. Questo meccanismo, moltiplicato per tutta la durata della campagna elettorale, può arrivare a ‘regalare’ o sottrarre fino a 4 volte tanto il tempo spettante, a discapito delle altre liste concorrenti”.

E ancora: “E’ certamente corretto ponderare lo spazio di ogni forza politica in base agli ascolti della programmazione informativa, ma il riferimento alla fascia oraria rischia di annacquare gli squilibri alterando i valori finali”.

E conclude: “Mai come in questa tornata elettorale la tutela del pluralismo e delle forze politiche meno consistenti saranno affidate alla professionalità e alla tensione deontologica dei nostri giornalisti e delle nostre giornaliste”.

https://www.key4biz.it/europee-agcom-approva-regole-par-condicio-per-radio-e-tv/486675/




TIM avvia lo switch off delle prime centrali in rame in Toscana, Molise, Campania e Veneto

Switch-off del rame, TIM inizia a spegnere le prime centrali

Dal prossimo 25 maggio la rete in rame di TIM in Toscana dovrebbe spegnersi, per favorire invece l’adozione da parte di cittadini e imprese delle nuove tecnologie in fibra ottica. È quanto comunicato dal Gruppo con un comunicato. Le operazioni di switch-off del rame non riguarderanno solamente la Toscana, ma anche il Molise, la Campania e il Veneto.

Gli interventi di adeguamento tecnologico sono stati approvati dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCom) nell’ambito del più ampio piano generale di rinnovamento delle tecnologie, che prevede la progressiva dismissione delle centrali della rete in rame.

L’Autorità, nella riunione di Consiglio del 27 settembre 2023, ha approvato gli esiti delle attività di vigilanza condotte su un secondo lotto di centrali locali in rame per le quali TIM ha comunicato l’intenzione di procedere allo switch-off della rete primaria in rame. Le verifiche svolte hanno accertato che n. 1.342 centrali risultano rispettare i requisiti previsti dalla regolamentazione vigente, in termini di copertura NGA e percentuale di migrazione dei clienti dal rame alla fibra, per avviare il relativo processo di decommissioning.

Toscana

Partendo dalla Toscana, il processo di dismissione riguarderà la centrale del comune di Lucca ubicata in via per Camaiore, basata su tecnologia completamente in rame, che verrà spenta a partire dal prossimo 25 maggio. Entro tale data, di conseguenza, i collegamenti attestati su queste centrali (Adsl, Isdn e linee telefoniche Rtg) saranno migrati sulla rete TIM di nuova generazione, già disponibile totalmente o in parte in fibra.

Campania

Per la Campania, il processo di dismissione riguarderà un primo lotto di 15 centrali distribuite su altrettanti comuni, basate su tecnologie completamente in rame, che verranno spente a partire dal prossimo 25 maggio. Entro tale data, di conseguenza, i collegamenti attestati su queste centrali (Adsl, Isdn e linee telefoniche Rtg) saranno migrati sulla rete TIM di nuova generazione, già disponibile totalmente o in parte in fibra.

Le 15 centrali della Campania, interessate dallo spegnimento, si trovano a Calvizzano, Santa Maria La Carità, Giugliano in Campania, Ischia, Sarno, Brusciano, Bacoli, Somma Vesuviana, Pozzuoli, Giugliano in Campania, Pellezzano, Montecorvino Rovella, Castel Volturno, Capua e Santa Maria Capua Vetere.

Veneto

In Veneto, il processo di dismissione riguarderà un primo lotto di 3 centrali distribuite su tre comuni, basate su tecnologie completamente in rame, che verranno spente a partire dal prossimo 25 maggio. Entro tale data, di conseguenza, i collegamenti attestati su queste centrali (Adsl, Isdn e linee telefoniche Rtg) saranno migrati sulla rete TIM di nuova generazione, già disponibile totalmente o in parte in fibra.

Le 3 centrali del Veneto interessate dallo spegnimento sono ubicate a Verona (ubicata in via Vincenzo Liruti) Sommacampagna (VR) e Selvazzano Dentro (PD).

Molise

In Molise, infine, il processo di dismissione riguarderà la centrale ubicata in Contrada Pantano a Termoli, basata su tecnologia completamente in rame, che verrà spenta a partire dal prossimo 25 maggio. Entro tale data, di conseguenza, i collegamenti attestati su queste centrali (Adsl, Isdn e linee telefoniche Rtg) saranno migrati sulla rete TIM di nuova generazione, già disponibile totalmente o in parte in fibra.

I clienti TIM di queste regioni hanno già ricevuto al riguardo un’informativa nella fattura telefonica, ha comunicato la società. Coloro che ad oggi non hanno ancora scelto un collegamento a banda ultralarga, per continuare a fruire dei servizi di fonia e navigazione Internet dovranno effettuare tale scelta entro il 24 maggio.

A questo scopo, si legge nel comunicato dell’azienda, saranno contattati dal servizio clienti di riferimento (187 per la clientela residenziale e 191 per quella business) per la verifica dell’impianto di casa o dell’ufficio da parte dei tecnici dell’azienda e la fornitura del modem in comodato d’uso gratuito. Rimarranno invariati il numero telefonico e le condizioni tariffarie.

https://www.key4biz.it/tim-avvia-lo-switch-off-delle-prime-centrali-in-rame-in-toscana-molise-campania-e-veneto/484690/




Agcom, consultazione pubblica sulle modalità di verifica dell’età per accedere alle piattaforme video

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), acquisito il preliminare parere del Garante per la protezione dei dati personali, ha avviato una consultazione pubblica sulle specifiche e sui requisiti del sistema di garanzia dell’età (age assurance), che dovrà essere realizzato dai fornitori di piattaforme di condivisione video che diffondono in Italia immagini, video e servizi per utenti adulti.

La consultazione pubblica durerà 30 giorni dalla pubblicazione della delibera n. 61/24/CONS.

L’obiettivo del provvedimento, in applicazione del decreto-legge 15 settembre 2023, n. 123, convertito con modificazioni dalla legge n. 159 del 15 novembre 2023 (cd. decreto Caivano), è quello di assicurare un livello di sicurezza adeguato al rischio, minimizzando i dati personali raccolti e rispettandone al massimo la riservatezza.  

Il testo messo in consultazione contiene una rassegna del quadro normativo europeo e nazionale e le iniziative assunte in materia di sistemi di garanzia. Seguono le valutazioni dell’Autorità sulle modalità tecniche e di processo che i soggetti indicati dal decreto sarebbero tenuti ad adottare a garanzia della maggiore età degli utenti.

Secondo l’Autorità, occorre seguire un approccio tecnologicamente neutrale, estendibile a tutti i contenuti che richiedono una verifica dell’età, che lasci ai soggetti tenuti alla realizzazione dei processi di garanzia dell’età una ragionevole libertà di valutazione e scelta, nel rispetto di alcuni requisiti generali. Tra questi, i principali sono:

  1. Proporzionalità: il soggetto tenuto, ai sensi della legge, a realizzare il sistema di garanzia dell’età per l’accesso ai contenuti deve utilizzare uno strumento per quanto possibile non invasivo. In base al principio di accountability del Regolamento (UE) 20761679 (“GDPR”), è opportuno che siano i “soggetti regolamentati”, ossia tenuti a realizzare il sistema di garanzia dell’età, a scegliere il processo da implementare nel proprio servizio e a dimostrarne l’efficacia, secondo i principi e i requisiti fissati dall’Autorità e in conformità ai principi e alle regole in materia di protezione dei dati, in particolare, quello di proporzionalità. Il documento propone di considerare anche l’impatto dello strumento utilizzato sui diritti e libertà fondamentali delle persone.
  2. Protezione dei dati personali: il sistema deve essere conforme alle norme e ai principi di protezione dei dati stabiliti dal menzionato Regolamento GDPR (minimizzazione dei dati, accuratezza, limitazione della conservazione, ecc.). Il metodo prescelto per la verifica dell’età dovrà essere, in particolare, rispettoso del principio di minimizzazione dei dati (art. 5 GDPR) e dei principi di data protection by design e by default (art. 25 del GDPR).
  3. Intervento di soggetti terzi indipendenti: l’Autorità ritiene opportuno che i siti e le piattaforme soggette all’obbligo di garanzia dell’età non effettuino direttamente le operazioni di accertamento dell’età, ma si affidino a soluzioni di terzi, che forniranno la cosiddetta prova dell’età al fornitore del servizio su web. Quindi, chi fornisce il servizio di accertamento dell’età e produzione della relativa prova, dovrà essere indipendente dal fornitore dei contenuti (sito web o piattaforma di video sharing). Lo schema di processo proposto a consultazione pubblica prevede:

1.      la presenza di un soggetto terzo che fornisce la “prova dell’età”, ad esempio una banca, un operatore telefonico, un ente pubblico o soggetto privato presso cui l’utente è stato identificato con certezza per i servizi forniti, che conosce l’identità dell’internauta ma non conosce quale sito/servizio online intende consultare;

2.      che, su richiesta dell’utente, il soggetto terzo fornisca a quest’ultimo “la prova dell’età” in modo certificato. Tale “prova dell’età” non deve contenere alcun dato che identifichi l’utente o che consenta di ricondurre ad esso;

3.      che l’utente invia la “prova dell’età” al sito o piattaforma a cui vuole accedere. Il sito/piattaforma verifica l’autenticità della “prova dell’età” e se sussistono i requisiti per consentire l’accesso ai propri contenuti o servizi, pur non ottenendo alcuna informazione circa l’identità dell’utente.

L’Autorità ritiene di valutare l’opportunità che i fornitori di prova dell’età, ove non già soggetti a obblighi normativi di identificazione degli utenti, siano soggetti a una valutazione da parte di terzi (ossia, che siano in qualche misura certificati).

  1. Sicurezza: il sistema di verifica dell’età deve tenere conto di possibili attacchi informatici rispetto ai quali deve prevedere misure di sicurezza informatica sufficienti a mitigare i rischi e a evitare i tentativi di elusione.
  1. Funzionalità, facilità d’uso e non ostacolo all’accesso ai contenuti in Internet: i sistemi di verifica dell’età devono essere facili da usare, anche da parte dei minori.
  2. Inclusività e non discriminazione: il sistema di verifica dell’età deve evitare o minimizzare pregiudizi non intenzionali e risultati discriminatori nei confronti degli utenti.
  1. Trasparenza: i soggetti economici regolamentati devono essere trasparenti con gli utenti per quanto riguarda i sistemi e i dati utilizzati e trattati, mediante spiegazioni semplici, chiare e complete, oltre che per i maggiorenni anche per i minorenni.
  2. Formazione e informazione: l’Autorità ritiene importante informare e sensibilizzare i minori, i genitori, il personale della comunità educativa e della gestione giovanile sulle buone pratiche informatiche e sui rischi connessi a Internet. Le attività connesse alla implementazione del Parental control hanno evidenziato la centralità di tale aspetto.
  3. Gestione dei reclami: il fornitore dei servizi deve prevedere un canale per acquisire e gestire, tempestivamente, i reclami in caso di errate decisioni sull’età.

L’Autorità ritiene, inoltre, opportuno valutare, nell’ambito della consultazione pubblica, se il sistema di garanzia dell’età delineato nel documento di consultazione mediante l’indicazione di requisiti generali e di indicatori di performance sia efficace, idoneo e funzionale a trovare applicazione, ai sensi del contesto normativo richiamato nel testo, anche con riferimento a tutte le tipologie di contenuti e servizi che potrebbero nuocere allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minori.

https://www.key4biz.it/agcom-consultazione-pubblica-sulle-modalita-di-verifica-delleta-per-accedere-alle-piattaforme-video/484625/




AGCOM multa X per 1,3 milioni di euro: “Pubblicità vietata del gioco d’azzardo”

L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha comminato una sanzione di 1.350.000,00 euro alla società Twitter International Unlimited Company, proprietaria della piattaforma di condivisione di video “X”, per la violazione del divieto di pubblicità del gioco d’azzardo, ai sensi dell’articolo 9 del cd. decreto dignità (delibera n. 65/24/CONS).

In particolare, Agcom ha riscontrato nove violazioni, una per ogni singolo account contrassegnato dalla “Spunta Blu”, relativi a contenuti aventi natura di comunicazione pubblicitaria di siti che svolgono attività di gioco e scommessa con vincite in denaro.

Agcom ha inoltre rilevato che solo sette dei nove account sono stati oscurati direttamente dalla piattaforma in fase endoprocedimentale ed ha pertanto impartito un ordine di inibizione all’accesso per gli altri dueaccount.

Infine, l’Autorità ha adottato un ordine di inibizione per tutti gli ulteriori contenuti illeciti caricati, successivamente alla notifica dell’atto di contestazione, da parte dei nove account.

La decisione fa seguito a quelle già adottate, sempre in relazione ad illeciti connessi al divieto di pubblicità del gioco d’azzardo commessi online, nell’ambito delle attività di enforcement di Agcom sul rispetto del menzionato divieto (750.000 euro e 450.000 euro a YouTube, 2.250.000 euro a Google, 900.000 euro a TikTok, 5.580.000,00 euro e 750.000 euro a Meta).

https://www.key4biz.it/agcom-multa-x-per-13-milioni-di-euro-pubblicita-vietata-del-gioco-dazzardo/483043/




AI, Giomi (Agcom): ‘Giusto mettere regole ma senza fermare l’innovazione’

“Per ogni applicazione potenzialmente pericolosa dell’Intelligenza Artificiale  esiste un numero di suoi utilizzi molto superiore che porta notevoli benefici a tutti i settori produttivi dall’industria alla pubblica amministrazione e anche ai singoli cittadini”. Così la Commissaria AGCOM Elisa Giomi al World Artificial Intelligence Cannes Festival nel corso dell’evento: “Regolamentare la prossima rivoluzione industriale”, organizzato da AIRIA l’Associazione per la regolazione dell’AI in Italia.

“Fermo restando il primato dell’etica e dei diritti umani come dimostra la recente approvazione da parte della UE dell’AI ACT che è la prima norma di settore al mondo, non possiamo nascondere che scontiamo un forte ritardo in termini di innovazione, tanto è vero che in Europa nascono pochissime start up ad alta capacità tecnologica, i cosiddetti ‘unicorni’, quindi dobbiamo cogliere questa opportunità” prosegue Giomi che chiosa: “Sarebbe come scegliere di rimanere all’aratro in un mondo in cui tutti usano il trattore solo per la paura che il trattore possa schiacciare animali e persone”.
“Le regole sono indispensabili ma non devono essere usate per fermare il progresso piuttosto vanno usate per produrre cultura dell’AI, che significa in primo luogo evitare il panico morale che si ripresenta ad ogni novità tecnologica e mediale, trasformandolo, in conoscenza e apprendimento di quanto accade”. 

“Rispetto agli altri settori l’utilizzo dell’AI nei media resta quasi sempre sotto traccia, perlomeno fino al momento in cui accade qualcosa che catalizza l’opinione pubblica mondiale, per fare un esempio, la clonazione della voce di Biden da parte di un robocall che dissuadeva dall’andare a votare per le primarie repubblicane, e dimenticando che per ognuno di questi utilizzi negativi dell’AI ve ne sono moltissimi di positivi, come il clonaggio della voce nella produzione audiovisiva, l’uso di AI per individuare i deepfake, per la verifica dei fatti e delle fonti, nell’integrazione e nel dialogo interculturale” prosegue la Commissaria.

A proposito della perdita dei posti di lavoro a cui spesso si fa riferimento quando si parla dell’Intelligenza Artificiale” la Commissaria ha commentato: “Non credo che AI possa rubare posti di lavoro, probabilmente sostituirà quelle funzioni che dell’AI non sanno avvalersi. Ci sono attività di lavoro in cui non servirà e quindi non verrà impiegata”.

E conclude: “Le regole sono molto importanti e non è possibile l’Intelligenza artificiale senza etica, ma non dobbiamo nemmeno correre il rischio di ritrovarci con l’etica senza AI”.

https://www.key4biz.it/ai-giomi-agcom-giusto-mettere-regole-ma-senza-fermare-linnovazione/479388/




La riforma del Tusma verso un allentamento degli obblighi di investimento?

Come è noto, l’Istituto italiano per l’Industria Culturale (IsICult) sviluppa  – tra le proprie attività di centro di ricerca indipendente – un monitoraggio critico continuativo delle iniziative pubbliche e private in materia di politica culturale, economia dei media, dinamiche sociali: nell’ambito di queste attività cura da un decennio la rubrica “ilprincipenudo” per il quotidiano online “Key4biz”, sul quale evidenzia alcuni dei risultati più interessanti del monitoraggio.

Talvolta, da questa osservazione, emerge veramente un senso di sconforto, per due ragioni: la diffusa disattenzione dei media “mainstream” rispetto alle tematiche importanti della politica culturale; la debolezza di molti portatori di interessi nell’entrare in scena, politicamente e/o comunicazionalmente.

L’attenzione dei media è peraltro spesso distratta da vicende minori ed effimere, e questa stessa distrazione finisce per influenzare purtroppo anche l’agenda della politica.

Non entreremo oggi nel merito del Festival di Sanremo, che inizia questa sera martedì 6 per concludersi sabato 10 febbraio, ma in argomento ci limitiamo a segnalare un’eccentrica idea manifestata dall’ex Sottosegretario alle Comunicazioni Vincenzo Vita, nella edizione odierna della rubrica “Rimediamo” che cura per il quotidiano (comunista) “il Manifesto”: perché il Festival deve essere inchiodato alla sede di Sanremo e non potrebbe divenire una manifestazione itinerante lungo la Penisola? Perché la sua organizzazione non viene stabilizzata attraverso una fondazione ad hoc, che dovrebbe peraltro essere gestita con criteri trasparenti e democratici, anche nella selezione dei brani in gara?! Peraltro, in argomento, si noti come, “quest’anno chi vince lo decidono le radio”, come titola Carlo Antini sul quotidiano romano “Il Tempo” di oggi: è stata cancellata la giuria demoscopica… fino all’anno scorso, la classifica finale veniva determinata intrecciando le preferenze della sala stampa, del televoto e della demoscopica; quest’anno, viene introdotta un’altra giuria, formata da rappresentanti di emittenti radiofoniche nazionali e locali… Una maggiore trasparenza e “democrazia culturale”, rispetto ad una manifestazione come Sanremo, è legittima istanza.

Colpisce che quest’oggi una testata come “il Fatto Quotidiano” dedichi particolare attenzione, con richiamo addirittura in prima pagina (in un articolo firmato da Giacomo Salvini intitolato “Spot e film: Mediaset chiede sconti a Meloni”), ad una memoria che Stefano Selli, in rappresentanza di Mediaset (è Direttore delle Relazioni Istituzionali del gruppo) ha deposito in occasione dell’audizione di martedì della scorsa settimana 30 gennaio sulla riforma del “Tusma”, ovvero il “Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi” (approvato in bozza dal Consiglio dei Ministri il 19 dicembre 2023, ed a Palazzo Chigi deve tornare dopo l’approvazione dei pareri parlamentari)… Il quotidiano diretto da Marco Travaglio addirittura classifica questa notizia come “esclusiva”, allorquando il documento di cui dichiara di essere entrato in possesso (commentando “in anteprima”…), è di assoluto pubblico dominio sul sito della Camera dei Deputati. In calce a quest’articolo, il link per poter leggere il documento.

Cosa contiene, questo documento Mediaset, di tanto… preoccupante?!

La richiesta di non modificare la normativa vigente, fatti salvi: “un leggero ritocco di una sotto quota, una maggiore flessibilità, un’attenuazione delle sanzioni”, ovvero “in particolare, la ‘sotto quota’ di cinema italiano recente va assolutamente rivista, perché è molto vessatoria e pesante; chiediamo poi una maggiore flessibilità applicativa dell’Autorità in caso di violazioni e una riduzione delle sanzioni, che sono sproporzionate…”. Ne abbiamo scritto già su queste colonne: si rimanda al nostro intervento su “Key4biz” del 30 gennaio 2024, “Quanta ipocrisia sulla Rai e silenzio su obblighi di investimento in audiovisivo indipendente”…

È del tutto naturale – in un “libero” mercato – che sia le emittenti televisive, “free” o “pay” che siano, così come le piattaforme ovvero gli “over-the-top” chiedano un allentamento degli obblighi e dei vincoli.

Lo Stato, dal canto suo, dovrebbe ragionare in una prospettiva di sviluppo equilibrato del sistema culturale, che non può essere governato dal mercato soltanto.

Ed abbiamo già segnalato come questa prospettiva “liberista” sia stata sostanzialmente accolta anche dalla stessa Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, considerando che il Presidente Giacomo Lasorella ha dichiarato, nella stessa giornata del 30 gennaio 2024: “bene la semplificazione, forse si può andare verso un’ulteriore flessibilità sia con riferimento all’orizzonte temporale, sia con riferimento alle sanzioni”…

Non abbiamo idea del criterio che è stato adottato nella identificazione della “eletta schiera” degli auditi da parte delle due commissioni parlamentari (presiedute rispettivamente da Federico Mollicone, Fratelli d’Italia, alla Camera e da Roberto Marti, Lega, in Senato), ma è evidente che il Parlamento ha deciso di dare ascolto – almeno finora – prevalentemente a soggetti che propendono per una ulteriore “liberalizzazione” del sistema mediale…

Perché?!

In sostanza, si è addivenuti a una selezione di auditi sulla base di una logica eterodiretta da chi lavora per “liberalizzare” oltre l’assetto del sistema?!

Le richieste di Mediaset di “correzioni” al Tusma: allentare allentare allentare “lacci e lacciuoli”

Il gruppo di Cologno chiede di ridefinire le quote europee in materia di programmazione e investimento (relative agli operatori non di servizio pubblico, Rai è esclusa dal ragionamento).

In particolare, si chiede di:

  • calcolare in modo diverso la quota riservata alla “produzione indipendente”, oggi pari al 12,5 % degli introiti netti annui: Mediaset chiede di calcolarla invece sul “bilancio destinato alla programmazione” (e non sugli “introiti netti annui”), e di includere in tale quota anche “i costi di edizione italiana e doppiaggio di opere originarie di altri Stati membri dell’Unione Europea e dei costi di promozione di ciascuna opera”. Mediaset rimarca che il calcolo sugli introiti non è previsto dalla normativa europea, ma è “frutto di una mera scelta interna” dello Stato italiano. Secondo Cologno, la norma attuale limita proprio la capacità di destinare le risorse alla produzione indipendente ad aspetti diversi della programmazione (come l’innovazione tecnologica) e incide “sulla redditività e sulla sostenibilità economica” degli stessi fornitori di servizi media audiovisivi). Il sistema basato sui ricavi, inoltre, “non tiene in considerazione eventuali difficoltà finanziarie e gestionali delle singole società”;
  • ridefinire il concetto di “investimento”: Mediaset chiede di modificare la stessa definizione di “investimento”, ampliandola al “costo che comprende gli importi corrisposti a terzi per l’acquisto dei diritti e l’utilizzazione delle opere, i costi per la produzione interna ed esterna e gli specifici costi di promozione e distribuzione, nonché quelli per l´edizione e le spese accessorie direttamente efferenti alle opere europee ed italiane”. Questa definizione – rimarca Cologno – “riproduce testualmente quanto previsto dall’articolo 14 dello schema di contratto di servizio della Rai”;
  • ridurre gli obblighi nei confronti del cinema italiano (investimento degli introiti netti annui da riservare a opere cinematografiche italiane): Mediaset chiede di ridurre la quota dall’attuale 3,5 % all’1,75 % e soprattutto di eliminare la “sotto quota” del 75 % riservata alle nuove opere cinematografiche, ovvero quelle risalenti agli ultimi 5 anni (oppure, in alternativa, ampliarla “ad altre forme di produzione audiovisiva”). Questa sotto quota non sarebbe compatibile con l’introduzione di un’ulteriore sotto quota (art. 54, comma 2), che prevede di destinare a opere audiovisive italiane almeno la metà delle quote di investimento. Inoltre, introdurrebbe un “significativo elemento di rigidità a carico dei soggetti tenuti, anche considerato il consistente ridimensionamento subito, negli ultimi anni, dalla distribuzione e dalla fruizione di film in sala”…

Degli auditi il 23 gennaio 2024, la gran parte si è schierata rispetto ad un allentamento delle regole: Sky Italia, The Walt Disney Company Italia, Confindustria Radio Tv (alla quale – si noti bene – aderisce anche Rai), ed una delle varie “anime” dell’Anicaqual è l’Unione Editori Media Audiovisivi

Le parole-chiave sono “allentare” ovvero “ridurre” le “quote di investimento”, così come le “sanzioni” in caso di violazione delle regole…

Univideo – alias Unione italiana editoria audiovisiva media digitali e online – chiede a chiare lettere “una riduzione significativa delle quote di produzione del nostro Paese, che ci sembrano molto alte e irrigidiscono il mercato, rendendo difficile una produzione attrattiva e che tenga conto delle aspettative del pubblico”.

Su fronte diverso invece Confartigianato Cinema e Audiovisivo, che chiede un innalzamento delle quote e l’introduzione di una sotto-quota per i documentari, ed alcune anime dell’Anica ovvero l’Unione Produttori e l’Unione Esportatori, che chiedono una conferma del ruolo della produzione indipendente soprattutto in termini di diritti…

Il 30 gennaio 2024, nell’ulteriore set di audizioni, si dichiarano sostanzialmente favorevoli ad “allentare”… la Motion Picture Association Europea (ovvero la “sezione” europea della potente lobby Mpaa alias Motion Pictures Association of America: vedi l’articolo di Fabio Fabbri su “Key4biz” del 31 gennaio 2024, “Servizi media audiovisivi. McCoy (Mpa Emea): “Tusma opportunità per rivedere normativa investimenti” (Video)), e sono allineati su queste posizioni anche i due esperti coinvolti, Ernesto Apa dello Studio Legale Portolano Cavallo ed Augusto Preta di ItMedia Consulting.

Cartoon Italia chiede l’introduzione di una sotto-quota di investimento obbligatorio a favore dell’animazione: 1 % per le piattaforme e 0,6 % per le tv private lineari…

Voce contraria rispetto all’allentamento degli obblighi è stata invece manifesta con forza da Cartoon Italia, l’Associazione Nazionale Produttori d’Animazione, che, anzi, chiede l’introduzione di una sotto-quota a favore dell’animazione: una sotto-quota dell’1% dell’obbligo di investimento per le piattaforme ed una sotto-quota dello 0,6 % dell’obbligo di investimento per le televisioni private lineari…

Due passaggi della memoria di Cartoon Italia – curata dalla Presidente Maria Carolina Terzi e dal Vice Presidente Alfio Bastiancich – sono particolarmente interessanti, e meritano essere qui riprodotti. Una critica al parere espresso da Agcom: “il riferimento che fa Agcom alla Spagna come modello da seguire ci pare fuorviante oltre che pericoloso. Da un confronto fatto con i nostri colleghi produttori indipendenti spagnoli è emerso che il governo spagnolo ha puntato tutto sulle infrastrutture tecnologiche (grazie a dei finanziamenti della Commissione Europea) per attrarre gli investimenti da parte delle piattaforme e non sugli obblighi di investimento (che in Spagna sono soltanto del 5 %). Questa politica ha effettivamente generato un export di servizi audiovisivi pari a oltre 1 miliardo di euro, ma ha avuto come conseguenza che le società di produzione spagnole da creatori di contenuti made in Spagna si sono trasformate in società di service per gli Stati Uniti. Non assumono più autori e creativi ma professionisti del settore audiovisivo come fossero “operai specializzati” in una catena di montaggio”.

Altra segnalazione: “in conclusione, possiamo dire che il gioco è molto semplice: Netflix, Disney +, Paramount + Amazon etc. prevedono nei prossimi anni miliardi di investimenti in animazione in Europa. Il paese dove saranno indirizzati questi investimenti sarà il Paese dove c’è l’obbligo: cioè per il momento solo la Francia. Di conseguenza, per consentirci di partecipare alla spartizione degli investimenti delle piattaforme americane in Europa, abbiamo bisogno della sottoquota animazione. A questo punto la politica italiana deve decidere se dare alla Francia la vittoria a tavolino o se permettere anche a noi di giocare la partita”.

Il ragionamento è di natura culturale, oltre che imprenditorial-economica: “le piattaforme streaming americane operanti sul territorio italiano, soprattutto dopo il Covid, hanno conquistato il pubblico dei bambini italiani. Oggi i nostri figli stanno crescendo con contenuti americani. Sono bombardati da programmi offerti da un mondo iperconnesso nel quale i genitori hanno perso il controllo della fruizione audiovisiva dei propri figli”. E Cartoon Italia cita la Bbc: “l’identità e la memoria di una nazione nascono dai suoi programmi per i bambini”. Ricordando che il “public media service” britannico investe 10 volte di più rispetto alla Rai nelle coproduzioni per ragazzi…

Il ragionamento di Cartoon Italia è ovviamente focalizzato sull’animazione, ma dovrebbe stimolare osservazioni complessive sull’insieme della produzione audiovisiva “made in Italy”.

“Lo Stato francese non ha ceduto al lobbying americano e supporta i creatori di contenuti e l’identità culturale francese”…

Denuncia Cartoon Italia: “lo Stato francese, che non ha ceduto al lobbying americano e supporta i creatori di contenuti e l’identità culturale francese, ha introdotto una sottoquota animazione del 5 % a carico delle piattaforme (7 % per Amazon). In questo modo, è riuscito a garantire contenuti dal forte valore identitario ma anche ad attrarre e concentrare tutti gli investimenti da parte delle piattaforme e network americani sul territorio francese con la conseguenza del rafforzamento strutturale e finanziario delle società di produzione francesi. Forti di questi nuovi investimenti, negli ultimi due anni i gruppi media francesi hanno acquisito la maggioranza di 9 società italiane d’animazione. Diversi studi d’animazione italiani sono diventati di fatto ‘service’ dei francesi. Ora in queste aziende producono contenuti francesi con creatività francese, ottengono la nazionalità italiana, accedono ai finanziamenti pubblici italiani e assolveranno gli obblighi di investimento del decreto italiano”.

Come dire?! Il “saccheggio” delle società di produzione italiane – che abbiamo denunciato tante volte su queste colonne, focalizzando l’attenzione soprattutto sul soggetto dominante, qual è Fremantle (gruppo Rtl / Bertelsmann) – è anche ad opera delle società di produzioni… francesi: un paradosso!

Tra aporie e paradossi… L’Apa critica Agcom: non sarebbe un “controsenso” concedere “benefici fiscali erogati dallo Stato italiano che vengono elargiti a favore di proprietà straniere”

In argomento, l’Associazione dei Produttori Audiovisivi (Apa) rimanda ad un proprio “position paper” del dicembre scorso (che reca la firma di Chiara Sbarigia, Presidente, ricordando l’anomalia dell’essere paradossalmente anche Presidente di quella Cinecittà al 100 % proprietà dello Stato): “in particolare, secondo l’Agcom l’attuale sistema di tax credit produrrebbe una ‘aporia’ in quanto società, qualificabili come produttori indipendenti in Italia ma non invece all’estero, potrebbero beneficiare di contributi mentre, viceversa, produttori che non sono indipendenti in Italia potrebbero qualificarsi come tali all’estero. Tale situazione non appare invece affatto paradossale. Infatti, è lo stesso regime autorizzato dalla Commissione a prevedere che i beneficiari del regime siano soggetti alla tassazione in Italia. È dunque proprio il carattere fiscale dell’incentivo a richiedere un collegamento con il territorio italiano e, di conseguenza, una valutazione della sussistenza dei requisiti soggettivi sotto il profilo del diritto italiano. Né pare sostenibile l’ulteriore eccezione proposta dall’Autorità, la quale individua un ‘controsenso’ nel concedere “benefici fiscali erogati dallo Stato italiano che vengono elargiti, in ultima istanza, a favore di proprietà straniere”. Una delle condizioni per la compatibilità di un sistema di aiuti di Stato con il mercato interno dell’Unione è, infatti, proprio la circostanza che esso non crei un regime di incentivi selettivo solo a favore delle imprese dello Stato membro concedente. Dunque, qualunque impresa – anche appartenente a un gruppo non italiano – deve poter godere del regime di incentivi, a condizione che siano rispettate le condizioni previste dal regime del tax credit, ivi inclusa l’assoggettabilità a tassazione in Italia”.

Come dire?! Apa versus Agcom, ed anche questo la dice lunga…

Insorgono gli autori, non auditi dal Parlamento: “l’obbligo di investimento per le piattaforme (20 % dei fatturati delle imprese per l’anno 2024) non deve essere né ridotto, né messo in discussione”

Ci domandavamo, su queste colonne, a cosa fosse dovuto il silenzio ovvero la sonnolenza dell’anima creativa del settore, a partire dalla Società Italiana degli Autori e Editori (Siae), che pure rappresenta oltre 100mila creativi del sistema culturale nazionale. Silenzio totale da parte della Siae, incomprensibilmente.

Finalmente, ieri, una voce, pur labile, s’è fatta sentire, anche se non è stata ripresa da nessuna testata giornalistica a parte questa mattina da “il Manifesto”, ed opportunamente IsICult / Key4biz la rilancia…

Le associazioni degli autori Anac (Associazione Nazionale Autori Cinematografici), 100autori (Associazione dell’Autorialità Cinetelevisiva), Wgi (Writers Guild Italia) hanno espresso ieri, in una nota, la “massima preoccupazione per l’andamento della discussione in sede parlamentare sulla normativa riguardante gli obblighi di investimento in opere cinematografiche e in prodotti audiovisivi nazionali da parte delle tv e delle piattaforme operanti in Italia”.

Gli autori e autrici, ovvero sceneggiatori, sceneggiatrici, registe e registi lamentano – giustamente – che “non sono mai stati convocati e ascoltati dalle commissioni, nonostante i contenuti della produzione audiovisiva nascano e prendano vita innanzitutto grazie al loro lavoro e qualsiasi cambiamento venga apportato nel sistema ricada inevitabilmente sulle loro vite professionali”.

E precisano: “in questi anni l’obbligo di investimento da parte delle piattaforme (attualmente stabilito al 20 % dei fatturati delle imprese per l’anno 2024, per arrivare al 25 % dal 2025) ha creato occupazione, ma anche una ricchezza importante di occasioni di racconto di storie, temi e luoghi del nostro paese e, in linea con quanto avviene in altre realtà europee, non deve essere né ridotto, né messo in discussione. Se ciò dovesse avvenire, gli autori sono decisi a compiere tutti i passi necessari per opporsi e far sentire la loro voce”.

Pmi Cinema e Audiovisivo Indipendente: condividiamo la preoccupazione degli autori sull’obbligo di investimento

Un’associazione di piccole e medie imprese del settore cinema e audiovisivo manifesta sostegno rispetto alla preoccupazione ed alla presa di posizione della triade delle associazioni “autoriali” ovvero a Anac, 100autori, Wgi, contro i “big dello streaming” e chiede di modificare il concetto di “produttore indipendente”: “Pmi Cinema Indipendente condivide la preoccupazione espressa dagli Autori sull’obbligo di Investimento. Preoccupazione che attraversa tutto il settore e per questo si condivide con forza la necessità di un rinnovamento del Tusma proprio in vista delle nuove sfide tecnologiche. In questa revisione, si chiede che vada ridefinito e meglio precisato il ruolo del produttore indipendente e più in generale dell’impresa indipendente. La figura del produttore indipendente, come ormai ampiamente appurato, è un caposaldo del settore, e  dunque va perseguita la necessità di definire come “indipendente”  la società di produzione che non sia controllata o collegata a fornitori di servizi media audiovisivi soggetti alla giurisdizione italiana e che cumulativamente per un periodo di 3 anni non destini più del 70 per cento (e non 90) della propria produzione ad 1 solo fornitore di servizi media audiovisivi e che sia titolare di diritti secondari, ossia che il Produttore Indipendente possegga almeno il 30 % dell’intero pacchetto dei diritti di sfruttamento dell’opera”…

Tesi contrapposte, quindi, sui due fronti.

Nessuna reazione (ufficiale) da parte del Ministro Gennaro Sangiuliano (Fratelli d’Italia).

Nessuna reazione (ufficiale) da parte della Sottosegretaria Lucia Borgonzoni (Lega).

Nessuna reazione – curiosamente – da parte di esponenti politici nelle due competenti commissioni di Camera e Senato: chi tace, acconsente?!

Secondo alcuni, il “dietro le quinte” sarebbe in verità caratterizzato – all’interno della maggioranza – da uno scontro piuttosto aspro, ovvero dalla volontà della Lega Salvini di allentare le quote ed obblighi, che si scontra con avverso orientamento da parte di Fratelli d’Italia.

A sinistra, nelle ultime settimane, silenzio assoluto…

Ci si domanda anche perché le competenti Commissioni di Montecitorio e Palazzo Madama non abbiano sentito l’esigenza di convocare in audizione la Direzione Generale Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura (guidata da Nicola Borrelli), che pure certamente dovrebbe avere “diritto di parola” – ed a pieno titolo – sulla norma in gestazione…

E perché non vengono auditi i rappresentanti del Cnc francese, ovvero quel potente Centre National du Cinéma et de l’Image Animée, che molto potrebbe spiegare ai parlamentari nostrani, rispetto al proprio ruolo a sostegno dell’industria dell’immaginario d’Oltralpe, all’interno di un “framework” normativo che dovrebbe essere preso come esempio lungimirante per la promozione delle culture audiovisive nazionali?!

La dialettica tra coloro che sono “pro” e coloro che sono “contro” le quote, in Italia, è ancora balbettante.

E questo deficit di conoscenza e dibattito porta acqua al mulino degli ultra liberisti…

Su tutto continua peraltro a prevalere quella cappa di nebbia che andiamo denunciando da anni: né il Ministero della Cultura né l’Agcom dispongono infatti di dataset completi e trasparenti, di modelli econometrici, di valutazioni di impatto, di analisi scenaristiche e di studi predittivi, per poter comprendere la reale efficienza ed efficacia dell’attuale assetto normativo, in materia di quote di investimento ed altri obblighi…

E, quindi – una volta ancora – si legifera e si “governa” il sistema sulla base di impressioni e approssimazioni.

E nella confusione e nella nebbia, finisce per prevalere chi riesce a farsi meglio sentire dal Principe…

Clicca qui per la memoria Mediaset sulla revisione del “Tusma”, ovvero sullo “Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del Decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 208, recante il Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato, in attuazione della Direttiva (Ue) 2018/1808 di modifica della Direttiva 2010/13/Ue (109)”, depositata il 30 gennaio 2023 in Parlamento.

Clicca qui per la memoria Cartoon Italia sulla revisione del “Tusma”, ovvero sullo “Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del Decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 208, recante il Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato, in attuazione della Direttiva (Ue) 2018/1808 di modifica della Direttiva 2010/13/Ue (109)”, depositata il 30 gennaio 2023 in Parlamento.

[ Nota: questo articolo è stato redatto senza avvalersi di strumenti di “intelligenza artificiale. ]

(*) Angelo Zaccone Teodosi è Presidente dell’Istituto italiano per l’Industria Culturale – IsICult (www.isicult.it) e curatore della rubrica IsICult “ilprincipenudo” per “Key4biz”.

https://www.key4biz.it/la-riforma-del-tusma-verso-un-allentamento-degli-obblighi-di-investimento/478917/




Tlc, migliorano i ricavi (+0,3%) rispetto al primo semestre 2022. Bene FTTH e FWA, cala il rame

Sono 12,42 miliardi di euro i ricavi conseguiti da inizio anno dai principali operatori di mercato delle telecomunicazioni, lieve aumento del 0,3% rispetto al primo semestre 2022. Gli investimenti in immobilizzazioni risultano inferiori ai 2,6 miliardi di euro, in riduzione del 7,7% su base annua.

E’ quanto emerge dall’Osservatorio Trimestrale sulle Comunicazioni di Agcom, che fotografa i primi sei mesi del 2023.

I dati sulla rete fissa

A fine giugno nella rete fissa gli accessi complessivi mostrano una flessione di 162 mila unità su base annua, attestandosi intorno ai 19,9 milioni di linee.

Le linee in rame si sono ridotte di circa 210 mila unità su base trimestrale e di circa 900 mila rispetto al giugno 2022. Nell’ultimo quadriennio, sono diminuite di oltre 6,4 milioni di accessi.

Pur se in lieve flessione (-110 mila linee su base trimestrale, -287 mila su base annua), gli accessi FTTC rappresentano oltre 50% della base clienti complessiva. Quelli FTTH crescono di oltre 200 mila unità nel secondo trimestre dell’anno e di 850 mila su base annua, mentre rispetto al giugno 2019 l’incremento è superiore ai 2,9 milioni di linee.

In aumento, anche se in misura più contenuta (poco meno di 150 mila unità su base annua), risultano le linee Fixed Wireless Access che, a fine giugno 2023, ammontano a poco più di 1,9 milioni di accessi.

Le linee broadband complessive, a fine giugno 2023, sono stimate in poco meno di 18,7 milioni di unità, risultando in leggera flessione sia su base trimestrale (-42 mila linee), che annuale (-70 mila); la flessione delle linee DSL (-790 mila su base annua) non è stata del tutto controbilanciata dalla crescita delle linee in altra tecnologia.

La clientela residenziale ammonta a oltre 15,9 milioni di linee (circa l’85% della customer base complessiva), quello “affari” per i restanti 2,7 milioni circa.

Le dinamiche illustrate indicano un consistente aumento delle prestazioni in termini di velocità di connessione commercializzata: le linee con velocità pari o superiori ai 30 Mbit/s hanno raggiunto l’83% di tutte le linee broadband, mentre il peso di quelle con prestazioni superiori ai 100 Mbit/s è salito dal 35,7% del giugno 2019 al 69,6% dello scorso giugno.

Parallelamente, continua la crescita del consumo di dati: in termini di volume complessivo, il traffico giornaliero nella prima metà dell’anno ha segnato una crescita dell’11,3% su base annua, segnando, allo stesso tempo, un +115% rispetto al corrispondente valore del 2019. Ciò si riflette sul traffico giornaliero per linea broadband; i dati unitari di consumo, infatti, sono raddoppiati nel periodo 2019 – 2023, passando da 4,15 a 8,2 GB per linea in media al giorno.

Per quanto riguarda il quadro competitivo degli accessi broadband e ultra-broadband, a fine giugno 2023, Tim si conferma il maggiore operatore con il 39,2% degli accessi, seguito da Vodafone con il 16,7% eda Wind Tre e Fastweb rispettivamente con il 14,3% ed il 14,1%.

I dati sulla rete mobile

Nella rete mobile, a fine giugno 2023, le sim attive (Human e M2M) sono 108,2 milioni, circa 1,2 milioni di unità in più su base annua. Più in dettaglio, le sim M2M sono aumentate di circa 582 mila unità, mentre, nello stesso periodo di tempo, l’incremento di quelle Human (cioè “solo voce”, “voce+dati” e “solo dati” che prevedono iterazione umana) è pari a 602 mila sim.

Le linee Human sono rappresentate per l’86,7% dall’utenza residenziale, mentre, con riferimento alla tipologia di contratto, l’89,7% dei casi ricade nella categoria “prepagata”.

Relativamente alle sim complessive, Tim è il leader di mercato con il 28,0%, seguita da Vodafone con il 27,4%, Wind Tre con il 23,8% e Iliad che raggiunge il 9,4%.

Considerando il solo segmento delle sim “human”, Wind Tre rimane il principale operatore con il 24,9%, seguito da Tim con il 24,3%, Vodafone con il 22,2% e Iliad che, con una crescita di 1,2 punti percentuali su base annua, raggiunge il 12,8%.

Sono valutabili in circa 56,7 milioni le sim “human” che hanno prodotto traffico dati nel corso dei primi sei mesi del 2023, valore superiore di circa 190 mila unità rispetto al corrispondente periodo del 2022.

Il consumo medio unitario giornaliero nel periodo gennaio-giugno è stimabile in circa 0,75 GB, in crescita del 24,3% rispetto al primo semestre 2022 e di oltre il 260% nei confronti del corrispondente periodo del 2019, quando il corrispondente valore non superava i 0,20 GB.

Per approfondire

https://www.key4biz.it/tlc-migliorano-i-ricavi-03-rispetto-al-primo-semestre-2022-bene-ftth-e-fwa-cala-il-rame/464735/




Legge antipezzotto, Zorzoni (AIIP): ‘Grave scavalcare l’autorità dell’Agcom’  

La legge per il contrasto alla pirateria audiovisiva, in particolare quella relativa ai contenuti sportivi, potrebbe trovare di fronte a sé degli ostacoli inaspettati, con il rischio di modifiche significative del testo. Modifiche che, inaspettatamente, paiono provenire direttamente dal Governo.

E’ stata innestata una serie di emendamenti all’interno del testo di conversione in legge del decreto legge 15 settembre 2023, n. 123 (il cosiddetto decreto Caivano), recante “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile”, che vanno a modificare la legge numero 93 del 14 luglio 2023, meglio conosciuta come legge “antipirateria” o “antipezzotto”. Ne abbiamo parlato con Giovanni Zorzoni, presidente dell’AIIP (Associazione Italiana Internet Provider) che ha espresso la sua contrarietà su Linkedin.

Key4biz. Cosa sta succedendo?

Giovanni Zorzoni. Gli emendamenti proposti andrebbero ad estromettere AGCOM dal suo ruolo di controllore dei filtraggi in tempo reale a tutela del diritto d’autore, lasciando tale controllo direttamente ai privati detentori dei diritti. Temiamo che tale sviluppo sia collegato all’esigenza, da parte dei detentori, di valorizzare il prezzo dei diritti televisivi, sulla scorta dell’idea – discutibile – che poteri sempre più forti e incontrollati nel contrasto alla pirateria possano risolvere il problema della domanda di abbonamenti. Ciò senza invece considerare il problema primario, ossia il costo non indifferente per i consumatori di un servizio in fin dei conti volutturario, a fronte di una situazione economica già difficile per le famiglie italiane; situazione che non promette certo di migliorare in questa fase di crisi, anche internazionale.

Key4biz. E ancora?

Giovanni Zorzoni. Nel frattempo, la politica, forse stimolata da importanti portatori di interessi privati, pare sostenere che l’Agcom ci stia mettendo troppo (ad avviare il sistema di contrasto alla pirateria ndr), e ora propone che i privati detentori dei diritti possano chiedere direttamente l’oscuramento agli operatori.

Key4biz. Ma è fattibile?

Giovanni Zorzoni. È assurdo che un semplice privato possa fare questa cosa, perché scavalca a piè pari non solo il potere giudiziario, visto che ordina un oscuramento a fronte di un fatto che costituisce reato, ma anche quello amministrativo. Ma un privato non può stabilire una cosa del genere. Come verrebbero accreditati questi privati, all’interno degli operatori? Con che tempi? Con che modalità? Con quali spese? Nel caso attuale il garante è Agcom, e tutto è ben più lineare. Se si decidesse di by-passare l’Autorità bisognerebbe comprendere chi è titolato a richiedere un oscuramento, oltre a chi esattamente se ne assumerà la responsabilità, in particolare in caso di errori. Il rischio di confusione e di conflittualità legale diventerebbe esplosivo,

Key4biz. Cosa dite voi invece?  

Giovanni Zorzoni. Noi diciamo che la proposta contenuta negli emendamenti crede di velocizzare un processo che non è comprimibile. Noi stiamo correndo per realizzare le piattaforme locali. In realtà, “vogliono buttare via il bambino con l’acqua pulita” e si ritrovano in una situazione per cui tutti faranno ricorso. Questa è un’ottima occasione per chi vuole mandare tutto allo sfascio, perché poi scatterebbero le contestazioni a livello europeo.

Key4biz. Quali ricadute per l’Agcom?

Giovanni Zorzoni. L’Agcom, che ha fatto un lavoro enorme e un grosso pressing sugli operatori per arrivare dove siamo arrivati ora in pochissimo tempo, vedrebbe svalutato tale impegno e il suo stesso ruolo. Così come anche l’apposita piattaforma di oscuramento non conterebbe più niente, o molto poco. Un esito paradossale ora che il sistema è ad un passo da essere attuabile. 

Key4biz. La piattaforma è pronta per partire?

Giovanni Zorzoni. La piattaforma centrale è praticamente pronta, adesso ci sono anche in fase di preparazione le varie piattaforme locali, ossia gli operatori che fanno il vero oscuramento. E dire che siamo già alla terza riunione del tavolo tecnico e stiamo procedendo in modo spedito. Se non si ritireranno tutti gli emendamenti, il rischio concreto è la paralisi, non la velocizzazione dell’iter.

Leggi anche: Pirateria digitale, ecco perché ancora non è possibile bloccare i siti. “La piattaforma ‘anti-pezzotto’ operativa tra settembre-ottobre”

Piattaforma antipirateria. Se il blocco entro 30’ costoso per operatori, Assoprovider pronta a ricorrere al Tar. Per Aiip: “Deve essere sicura”

https://www.key4biz.it/legge-antipezzotto-zorzoni-aiip-grave-scavalcare-lautorita-dello-stato/464317/




Antipirateria e Agcom: Il Tar accoglie l’istanza di Assoprovider sui rilievi della Commissione Ue

Il Tar del Lazio ha accolto l’istanza di Assoprovider, associazione che raccoglie operatori piccoli e medi di Tlc, che aveva impugnato il Regolamento in materia di diritto d’autore predisposto dall’Agcom in materia di antipirateria, la cd legge anti-pezzotto, e ha ordinato all’Autorità per le garanzie delle Comunicazioni (AGCOM), di depositare immediatamente i rilievi operati dalla Commissione Europea alle disposizioni  antipirateria.

Il TAR ha così statuito “Vista la richiesta, dalla parte ricorrente…con la quale si chiede l’acquisizione di “qualsiasi documento presupposto, preparatorio, connesso e consequenziale alla Delibera n. 189/2023/CONS, emessa dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ed in particolare le richieste di chiarimenti della Commissione europea pervenute per il tramite della Unità centrale di notifica presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy in data 19 aprile 2023 (prot. n. 0106318), come citate a pag 10 della Delibera 189/2023”; nonché l’esibizione della “notifica di regola tecnica effettuata ai sensi della citata direttiva 2015/1535/UE e le richieste di chiarimenti della Commissione europea pervenute per il tramite della Unità centrale di notifica presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy in data 19 aprile 2023 (prot. n. 0106318), come citate a pag 10 della Delibera 189/2023”.

Prosegue il Tribunale Capitolino: “Per l’effetto, nei limiti di cui sopra ritenuto che l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni provveda al deposito dei rilievi documentali – si ripete, per come analiticamente individuati – entro il termine di giorni 60 (sessanta) dalla notificazione, o, se anteriore, dalla comunicazione in via amministrativa della presente ordinanza”.

Assoprovider ha lamentato tra le altre cose, la contrarietà di quanto stabilito dall’AGCOM, con il regolamento in materia di diritto d’autore, e della legge antipirateria italiana, con il quadro comunitario vigente, sollecitando il rinvio alla Corte di Giustizia UE, delle disposizioni italiane.

https://www.key4biz.it/antipirateria-e-agcom-il-tar-accoglie-listanza-di-assoprovider-sui-rilievi-della-commissione-ue/463530/