Un attacco ransomware ha messo in ginocchio 21 ospedali rumeni


Un ransomware ha preso di mira 21 ospedali rumeni cifrando i database e costringendo medici e personale a tornare ai supporti cartacei. L’attacco è avvenuto lo scorso 11 febbraio e ha colpito i server dell’Hipocrate Information System (HIS), il sistema utilizzato dagli ospedali per la gestione delle attività e dei dati dei pazienti.

Il Ministero della Salute rumeno ha confermato che il sistema è offline e tutti i dati sono stati cifrati. Tra le strutture colpite ci sono ospedali comunali e provinciali, istituti di oncologia e di malattie cardiovascolari e l’ospedale pediatrico di Pitesti, il quale è stato colpito già a partire dal 10 febbraio.

Secondo il DNSC, il centro nazionale per la sicurezza informatica, il ransomware che ha colpito gli ospedali rumeni sarebbe Backmydata, una variante di Phobos. Non è ancora chiaro chi ci sia dietro l’attacco, ma è probabile che si tratti di 8Base, gruppo che aveva utilizzato il ransomware in diverse campagne lo scorso novembre.

ransomware ospedali rumeni

Pexels

Il DNSC ha affermato che le altre 79 strutture del sistema sanitario rumeno sono state disconnesse da internet per evitare di essere coinvolte nella campagna. “La maggior parte degli ospedali colpiti dispone di backup dei dati dei server, con informazioni salvate relativamente di recente (1,2 o 3 giorni fa), tranne uno, i cui dati sono stati salvati 12 giorni fa” spiega il centro di sicurezza. Ciò, a detta delle autorità, dovrebbe consentire un ripristino veloce di dati e servizi.

AGERPRES, agenzia di stampa nazionale della Romania, ha reso noto che i medici e il personale sanitario stanno scrivendo a mano moduli di ammissione, ricette e terapie.Dopo lo spegnimento dei 400 computer e server, abbiamo lavorato il più possibile su carta” spiega Mirela Grosu, direttrice dell’Istituto Regionale di Oncologia. “Tutto viene fatto su supporto cartaceo, come lavoravamo qualche anno fa”.

Le indagini al momento sono ancora in corso e non ci sono altri aggiornamenti sulla ripresa delle normali attività.

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Stuck on the move: a story by Dániel Gerse

Since the eruption of the war in Ukraine, more than 5 million refugees have entered EU countries and enjoy free movement and hospitality on their whole territory. Not having documents, some refugees get stuck in bordering countries. Moldova is one of them. Here, the “FRIȘPA”(Faculty of International Relations, Political Sciences, and Public Administration) refugee center hosts mainly Ukrainian Roma refugees. This series, as a participatory project, documents their life since the beginning of the war.

All photographs by Daniel Gerse

A high percentage of Roma people are undocumented due partially to the systematic discrimination in their home country. Their options are therefore very limited. One has to stay in the “FRISPA” refugee center, due to the segregation, or they can only choose to apply for asylum in neighboring Romania. The second is a less appealing option for most because it would mean having to navigate a foreign language and being much further from home.

But, Moldova is hosting the highest number of shelter-seekers per capita. Even though the enthusiastic help from the public is unprecedented, the government is having difficulties tackling the situation. The limited resources do not reach this refugee center always in time. The Roma community sometimes would have to wait for essential goods like sugar, tea, and sometimes even water. Once serving as a university building, in “FRIȘPA” the facilities are not proper for accommodating people for longer-term.

Despite the precarious conditions, in the center life is vibrant, birthdays are celebrated, and more and more activities are organized. No matter whether on move or being stuck, people come together in crises. Now, 5 months in, some people are becoming a part of the Moldovan labor market, and slowly getting integrated. But, does the temporary get normalized? And how far the burden of systematic racism carried from their country will reach them wherever they go?

Dániel Gerse is a Hungarian-born documentary photographer and architect based between Moldova and Berlin.
In 2018 at Index.hu, a well-known Hungarian internet news portal, he learned the core of photojournalism. Then, he participated in a photo program at PhotoManhattan School in New York under the mentorship of Skye Tan. The experience of the course led him to his main interest in visual storytelling, which now focuses mainly on marginalized communities.
Website:
https://danielgerse.com/photography/
Instagram:
https://www.instagram.com/gersedaniel/

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SUL BUS DELLE BADANTI

Il caso delle badanti romene trovate positive al Covid-19 al rientro dal loro Paese. Hanno viaggiato sul bus che collega la Capitale con la Romania, dove ora si sta registrando una vera e propria impennata di casi. Abbiamo raccolto le loro storie.

VERSO LA DACIA. Boccate nervose di sigaretta, il solito giro di grappa e un abbigliamento fatto di jeans stretti, pantaloni a tre quarti e magliette smanicate. Ha il sapore di uno stesso e uguale rituale, il viaggio che una cinquantina di romeni affrontano per tornare a casa, nelle loro città di origine. E il virus continua a far paura: «La quarantena al ritorno proprio non ci voleva – dice una donna – a saperlo avrei rinunciato al viaggio». Il lavoro per molti è una priorità rispetto a vedere i proprio cari. Quasi duemila chilometri di pazienza. La Romania non è poi così lontana e se l’aereo costa troppo, meglio scegliere il bus che dalla Capitale d’Italia porta direttamente in Transilvania. Tutto inizia in una domenica mattina di metà estate da Roma, che per questa gente non è mai Roma. È Furio Camillio, Numidio Quadrato, Centocelle e Prenestina, nomi da metropolitana che poco hanno a che fare con il fascino della città imperiale. È davanti alla stazione di Anagnina che si ritrova chi deve partire per Sibiu, porta di accesso per Bucarest e dintorni. Sono giunti dalle campagne laziali, dalle estreme periferie romane al di fuori del Raccordo e dai quartieri della media borghesia, dove risiedono magari al servizio di un anziano o di una signora a cui devono togliere la polvere dai mobili e o lo sporco dai vetri delle finestre. Immancabili le immagini di un beato ortodosso che li protegga durante il viaggio lungo e faticoso. Il mito di Omero sembra rivivere in loro. La voglia di riabbracciare i propri cari si alterna alla stanchezza che da lì a poco arriverà sui loro volti. La prima sosta sarà soltanto in Slovenia, dunque, niente acqua perché la pausa pipì non è concessa.

VIAGGIARE AL TEMPO DEL COVID. Mina è una badante che non torna a casa da tre anni. Sa bene il significato della parola sacrificio. Come lo sanno le altre donne che in Italia cambiano pannoloni o puliscono i gradini di un condominio. La fortuna, il coraggio e il fato. Ritorna l’antica Grecia con i suoi miti e i suoi “topos”. Mina non riesce a credere come si possa lasciare una persona anziana – «un vecchio» dice- nelle mani di un estraneo. In un pieno conflitto di interessi, spiega come in Romania la famiglia sia ancora un’istituzione e chi è solo e con i capelli bianchi non va lasciato nelle braccia della solitudine. Mina e le altre sognano una casa tutta loro, ma per lo più si accontentano di una stanza o di un semplice posto letto. Vittoria, invece, lavora in un bar. È arrivata in Italia dieci anni fa, il marito è trasportatore e la notte viaggia. Dopo la chiusura della fabbrica dove era impiegata non ha avuto altre scelte, se non quella di muoversi alla volta dell’Italia. «Sono entrata nel vostro paese- racconta- come clandestina. Erano tempi difficili prima dell’ingresso della Romania nell’Unione Europea, anche se sono ancora in tanti che ci scambiano per extracomunitari. Ma d’altronde anche gli americani sono extracomunitari, ma nessuno li chiama così». Vige ancora un certo pregiudizio nei loro confronti. I continui commenti sprezzanti e denigratori restano una ferita aperta nella comunità romena in Italia. «Ora ci danno anche la colpa del coronavirus – aggiunge Elena, destinazione Ludus, in piena Transilvania- prima erano i cinesi, poi quelli del Bangladesh, adesso noi. Noi, però, questo paese lo amiamo. Io lo adoro da quando più giovane seguivo il Festival di Sanremo che guardavo anche in Romania, prima di arrivare». Unico intrattenimento canoro e televisivo consentito da Ceaușescu.

LE NORME. Il suono del fischietto del conducente avverte tutti che si sta per partire. In quest’area della stazione, tutti gridano. Pacchi e valigie passano di mano in mano, in barba alle norme anti-contagio. Il sole acceca e scalda. Le strade di questi viaggiatori casuali si divideranno per sempre. Forse si rincontreranno tra le grandi città e i piccoli paesi ai piedi dei Carpazi. L’autista mette in moto: un giorno e tre ore di viaggio. Omero diceva che «nulla è tanto dolce, quanto la propria patria e famiglia per chi è in terra lontana». Roma-Sibiu, l’odissea al tempo del Coronavirus.

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The adventures of lab ED011—“Nobody would be able to duplicate what happened there”

Enlarge / The University Politehnica building that hosts the Automatic Control and Computer Science (ACCS) program. (credit: Adi Dabu)

BUCHAREST, Romania—At the edge of Europe, Romania’s University Politehnica of Bucharest has long been the most prestigious engineering school in the region. Here, a terracotta-tiled building looms large over the campus, hosting the faculty of the Automatic Control and Computer Science (ACCS) program. On the ground floor, close to the entrance, is a humble computer lab. The label reads ED011.

Back in the early 1990s, after Romania escaped the grip of communism, this room was one of the few places offering an Internet connection free of charge. So every night, when no one was watching, students descended upon the lab to connect to the rest of the world. Eager to learn about life in Western Europe and the US, these students already had the look of their counterparts there—long hair, blue jeans, and Metallica shirts.

“Computers gave us the possibility to communicate with people around the world, which was extraordinary,” a former student named Lari tells me today. The ED011 computer lab did more than that, of course. It gave these students total freedom—to not only chat on the early Web but to explore all the odd nooks and crannies of computer science.

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https://arstechnica.com/?p=1352453




“Social Decay” by Artist Andrei Lacatusu

A captivating series by CGI artist Andrei Lacatusu from Bucharest, Romania. “Social Decay” contains amazingly detailed 3D renderings imagining a crumbling post-social media world. See more images from “Social Decay” below.

Andrei Lacatusu

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