The Morning View. Le Telco europee al bivio, gli investitori “anticipano” lo spegnimento delle reti in rame. Una sfida in più per l’Europa nel 2024

“When does money run out of time? The countdown begins when investable assets pose too much risk for too little return, when lenders desert credit markets for other alternatives such cash or real assests” (Bill Gross, fondatore di PIMCO).

L’ingresso di PIF (Public Investment Fund, il fondo sovrano saudita) nel capitale di Telefonica come primo azionista al 9,9% ha costretto gli investitori a rivedere le proprie decisioni di asset allocation ed il profilo di rischio legato alle telco, come asset class. La notizia che Telefonica spegnerà la rete in rame il 1° gennaio 2026 in corrispondenza con le celebrazioni per il centenario della propria fondazione ha aggiunto un ulteriore elemento di scenario che sta accelerando il riposizionamento dei mercati finanziari: da quella data non sarà più immaginabile giustificare investimenti in reti che già oggi analisti ed investitori considerano obsolete.

Mercati ed investitori tendono ad osservare una massima: “never throw good money, after bad money”. È così anche questa volta, ma con una differenza importante: i mercati vivono di aspettative, tendono ad anticipare le tendenze, e reagiscono di conseguenza, ed è quello che stanno facendo in queste settimane. Ne consegue che è del tutto probabile che le telco che presentano un profilo di esposizione alle reti in rame superiore alla media europea siano destinate a perdere la valutazione di “investment grade”, ovvero la possibilità di finanziarsi ricorrendo ai mercati.

L’accelerazione di Telefonica sullo spegnimento della rete in rame in tutta la Spagna, isole comprese, previsto per il gennaio 2026 segna a tutti gli effetti un punto di non ritorno: (1) si prevede un deprezzamento più rapido delle reti in rame ancora attive, (2) ed una maggiore pressione da parte dei fondi di debito (bond holders) che fino ad oggi hanno contato sul valore libro delle reti fisse in rame come asset a garanzia dei titoli obbligazionari nel loro portafoglio.

Da questo momento in avanti il finanziamento e la ristrutturazione del debito delle telco è diventato a tutti gli effetti una questione destinata a finire sul tavolo dei governi dell’Eurozona: nessun Paese può pensare di accollarsi da solo il peso di una ristrutturazione del debito delle telco a livello nazionale. Con quasi 500 miliardi di euro di debito complessivo, un gradino solo sopra la valutazione di “junk bond” (BBB-), e con il picco di rifinanziamento in previsione fra il 2025 ed il 2026, le telco europee diventeranno una delle sfide finanziarie più importanti che dovrà affrontare la nuova Commissione Europea che si insedierà a valle delle elezioni di giugno 2024. Anche perché, a partire dal 2025, i mercati dovranno rifinanziare 1 trillion € di debito high-yield legato al settore immobiliare (nello specifico al commercial real estate): in totale, se si aggiunge il debito delle telco europee, si supera la barriera di 1,5 trillion €, una soglia decisamente molto elevata per non prevedere che possa innescare una sequenza di default, se non si riesce ad intervenire in anticipo sulle scadenze.

La nuova Commissione Europea che si insedierà presumibilmente dopo l’estate 2024 dovrà affrontare il tema di come “sterilizzare” il debito delle telco europee, per rilanciare una stagione di investimenti, che per ora ed in queste condizioni rimane un obiettivo difficilmente raggiungibile.

L’accelerazione del riassetto del settore telco su scala europea è stata accompagnata negli ultimi giorni della scorsa settimana dalla notizia che Vodafone è in trattative con Zegona per la cessione di tutte le proprie attività in Spagna e che OPEN FIBER si avvia ad un cambio di management. Nel caso specifico di OPEN FIBER, la preoccupazione principale dei mercati riguarda il rischio di default sui quasi 6 miliardi di euro di debito accumulati a bilancio, a cui si devono aggiungere 3 miliardi di euro per terminare i lavori nelle “aree bianche”. Con tassi di interesse che prevedibilmente saranno ancora a lungo sopra al 4,5%, è opinione diffusa fra gli operatori finanziari che nelle condizioni attuali OPEN FIBER sia un investimento con un profilo di rischio elevato. Si stima che fondi di debito e banche siano orientate a richiedere tassi superiori al 9-10% per partecipare ad un’operazione di ristrutturazione. Tradotto in cifre, si tratterebbe di quasi 900 milioni di euro di spesa per interessi all’anno, un tetto decisamente alto che potrebbe scoraggiare l’interesse degli investitori, perché non lascerebbe molti margini per gli investimenti.

In queste condizioni di mercato, si si corre il rischio che si riducano progressivamente i margini per una convergenza di OPEN FIBER nel progetto “Rete Unica”.

In totale, dal 2015 (data di costituzione di OPEN FIBER) ad oggi, fra debito ed equity l’esposizione dello Stato al settore telco supera i 12 miliardi di euro, per un investimento che presenta, nelle condizioni attuali di mercato, un profilo di rischio che generalmente è associato agli “hedge fund”.

È forse giunto il momento di interrogarsi su come sia possibile valorizzare in ottica di sviluppo gli investimenti di risorse pubbliche così ingenti, fino a questo momento impegnate su una sfida centrale per la competitività del Paese.

L’unica strada percorribile è, con ogni probabilità, quella ripensare le reti telco come parte integrante di un hyper-network che integra reti ferroviarie, stradali/autostradali, e reti di distribuzione dell’energia per dotare il Paese dell’infrastruttura più avanzata in Europa in grado di abilitare le nuove forme di mobilità e di logistica in chiave MaaS (Mobility as a Service). È lì dove si sta concentrando l’interesse degli investitori, ed è lì dove si stanno concentrando le opportunità di crescita nei prossimi 10 anni. L’Italia è ancora in tempo per recuperare un ruolo centrale in Europa e non solo. Nulla è perduto, ma bisogna correre nella direzione giusta: bisogna impegnarsi a stare dalla parte giusta del cambiamento, perché il passato non ritorna.

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