Prendendo spunto da due recenti episodi, ovvero “Le esequie in sordina del pretendente al Trono d’Italia” e la deflagrazione delle questioni ereditarie di casa Agnelli” Gianluca Veronesi osserva “Torino decaduta”: Al funerale di Vittorio Emanuele il teorico erede al regno dei Savoia è stato ricordato e celebrato da molti dei suoi “cugini” in giro per il mondo, pochi dei quali ancora titolari di un trono. La basilica di Superga ha ben sostituito il Pantheon negatogli […]. Scarsa (è un eufemismo) la partecipazione di popolo, era tutto davanti alla tv a tifare l’altoatesino Sinner”. […]. Quanto alle vicende di casa Agnelli – aggiunge Veronesi – “ora che l’impero Fiat ha cambiato nome, è stato diviso, venduto, reinvestito, riorganizzato, insomma salvato scende una notte senza stelle su Torino”.
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Torino ha avuto un curioso destino, quello di avere ospitato due delle pochissime dinastie italiane, le due che più di tutte hanno “fatto la Storia” patria, pur se in epoche e contesti molto differenti.
Città seria, colta, dotata persino di una “aristocrazia operaia”, ha guidato sempre l’innovazione nazionale.
Qui è nata la fotografia, il cinema, la televisione nazionali, l’industria aerospaziale e quella automobilistica.
Le settimane scorse hanno visto tornare alla ribalta entrambe le famiglie ma in circostanze meste e deprimenti.
Al funerale di Vittorio Emanuele il teorico erede al regno dei Savoia è stato ricordato e celebrato da molti dei suoi “cugini” in giro per il mondo, pochi dei quali ancora titolari di un trono.
La basilica di Superga ha ben sostituito il Pantheon negatogli.
La presenza dei Windsor non era a livelli stratosferici ma hanno tutti problemi di salute.
Scarsa (è un eufemismo) la partecipazione di popolo, era tutto davanti alla tv a tifare l’altoatesino Sinner.
Recentemente -grazie ad un documentario- erano riemerse anche le tristi vicende dell’isola di Cavallo.
Evidentemente la fase “spettacolar-mondana” di Emanuele Filiberto (che raggiunse l’apice a Sanremo con Pupo) non è bastata a stabilizzare un feeling con il Paese.
Ma quello che non ti aspettavi era la deflagrazione delle questioni ereditarie di casa Agnelli.
Sono vent’anni che litigano per la divisione di un gruzzolo che è superiore al PIL di una cinquantina di nazioni nel mondo.
Cifre che a noi umani parrebbero abbondantemente sufficienti a trovare un’intesa.
Di solito la “resa dei conti” è orizzontale, tra differenti rami della famiglia. Qui, invece, è verticale: Margherita Agnelli contro la madre e i figli.
C’è in gioco il futuro di cinque ragazzi russi che rischiano l’indigenza.
La novità è che la diatriba si è spostata dall’ambito amministrativo a quello penale e tutto si complica. Sono comparsi documenti con firme apocrife (io ero rimasto ai Vangeli), cioè false.
Con l’aiuto della servitù si ricostruiscono le giornate di Donna Marella per capire se in quello specifico anno ha avuto “residenza” più in Svizzera o in Italia e, di conseguenza, dove, come, quanto, si debbano pagare le tasse di successione.
L’Avvocato aveva capito tutto: di grandi imprenditori ne esistono molti (non moltissimi) ma pochi possono aspirare al mito. Servono un’ossessione estetica, uno snobismo “democratico”, farsi sempre trovare presenti ovunque succeda qualcosa di straordinario.
Noi italiani eravamo orgogliosi di potere mostrare una Casa Reale “di fatto”, che sostituiva quella ufficiale, bocciata alle urne (forse con un aiutino).
Ma ora che l’impero Fiat ha cambiato nome, è stato diviso, venduto, reinvestito, riorganizzato, insomma salvato scende una notte senza stelle su Torino.
Della grande tribù degli Agnelli due soli portano ancora il prestigioso ed evocativo cognome, entrambi occupati a risolvere questioni giudiziarie.
La sorte quando colpisce è vigliacca e si accanisce. Due erano i meriti universali della dinastia: la Juventus e la Ferrari. Vedi tu.
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