Non-fungible token (NFT): come funzionano e perché bisogna fare attenzione al copyright

  ICT, Rassegna Stampa
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La blockchain e i non-fungible token (NFT) riempiono ormai le pagine dei giornali e dei programmi televisivi: alcuni mesi fa c’è stato un interessante webinar con riferimento a questi argomenti su questa testata e una recente puntata di Codice su Rai 1 è tornata sull’argomento.  

La blockchain, le criptovalute e gli NFT

Come è ormai abbastanza noto, la blockchain è un sistema tecnologico complesso, che, in termini sostanziali e altamente schematici, realizza un registro decentralizzato dotato di un elevato grado di sicurezza (sicurezza sul piano fattuale-informatico, non legale) dovuto al fatto che ogni sequenza di bytes inserita nel registro viene validata da tutti i blocchi della catena, i blocchi o nodi sono distribuiti in un sistema decentralizzato (a livello globale) di computer: per alterare una informazione inserita nel registro occorrerebbe poter modificare tutti i blocchi (decentralizzati) della catena, un’operazione praticamente impossibile.

Il sistema tecnologico della catena a blocchi è stato divulgato per la prima volta nel 2008, da parte di un fantomatico personaggio, Satoshi Nakamoto, di cui a tutt’oggi non si conosce la reale identità, attraverso la pubblicazione di un articolo dal titolo “Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System” che descrive il modo di creare “a purely peer-to-peer version of electronic cash”: Nakamoto è una figura mitica, a metà tra il protagonista solitario di un manga giapponese che si oppone alla dittatura oscura del sistema (come Mira, la protagonista del manga Ghost in the Shell) e i personaggi ribello-capitalistici che hanno fatto la storia della Silicon Valley (Steve Jobs e altri: qualcuno, del resto, ha vociferato che dietro l’identità di Nakamoto si celi, in realtà, Elon Musk).

L’articolo di Nakamoto del 2008 è stato scritto per divulgare al mondo l’idea di un sistema di valuta virtuale, decentralizzato, e svincolato dal controllo delle banche centrali e dei governi. In questo senso, la caratteristica della decentralizzazione delle criptovalute opera su due piani: il primo quello tecnologico, in quanto si tratta di un registro decentralizzato, le cui informazioni sono validate dall’intero sistema-comunità dei miners (che validano ogni blocco della catena) e non dall’alto, come, per esempio, i registri notarili, in cui è il notaio che, in modo autonomo e solitario, decide e stabilisce, sotto la sua responsabilità, cosa debba essere riportato o meno in un atto pubblico che, poi, acquista pubblica fede, ai sensi dell’art. 2700 c.c.; su un piano maggiormente politico-simbolico, invece, la decentralizzazione della blockchain rappresenta l’idea di svincolare il controllo del denaro dal potere dei governi e delle banche centrali, tentando di abbattere, nei fatti, il diritto di signoraggio (cioè il diritto di stampare denaro); sono, infatti, i miners (cioè, una comunità decentrata) a validare la criptovalute con un meccanismo bottom-up e non le zecche di Stato a stamparli sulla base di un rigido monopolio, gelosamente esercitato in un’ottica top-down, come è per le valute tradizionali.

Dopo la prima ubriacatura delle criptovalute, la tecnologia della blockchain ha iniziato a essere usata per inserire nelle catene a blocchi elementi infungibili, caratterizzati dall’unicità, cioè non corrispondenti a una massa generica di cose come è, invece, tipicamente il denaro avente corso legale (bene fungibile per eccellenza), o le criptovalute: si è rapidamente sviluppato un sistema dell’arte digitale e della vendita di rappresentazioni digitali di oggetti del mondo reale che, per ragioni varie, potevano rivestire interesse per potenziali acquirenti (per esempio: i minuti salienti di una importante partita di basket; la copertina di un disco famoso di musica leggere, etc.). Si è parlato molto nei media, incluso su questa testata, della recente vendita, per 69 milioni di dollari americani, di un’opera d’arte digitale dell’artista noto con lo pseudonimo di Beeple.

In breve, il funzionamento degli NFT

Il meccanismo degli NFT, sotto il profilo economico, è quello di rendere unici degli elementi che sono, invece, per loro natura illimitati: i testi, le immagini o le tracce musicali in formato digitale (stringhe di bytes, in altre parole) sono replicabili in modo illimitato (attraverso il ben noto copia e incolla del tasto destro del mouse) ma uno di questi può essere salvato su un storage basato su protocollo IPFS (che è peer to peer, diverso da quello HTTP su cui si basa il web), che non è tecnicamente parte della blockchain, mentre su un sistema di blockchain è depositato il certificato di autenticità di tale elemento digitale, oltre a dei metadati che si riferiscono alla creazione dell’elemento stesso: il certificato digitale di autenticità e il file contenente i metadati rimandano in modo univoco al file distribuito sul sistema IPFS (cioè l’opera d’arte digitale oggetto del NFT). Per esempio, la famosa opera d’arte digitale di Beeple, venduta per 69 milioni di dollari, è liberamente scaricabile dal web: cosa ha comprato allora il fantomatico (l’identità non è pubblica) compratore? In pratica, un certificato unico di autenticità depositato su blockchain, insieme a un file di metadati sulla creazione dell’opera stessa, il quale rimanda, in modo univoco e certo, a una copia unica di tale opera digitale (che, però, si noti, è uguale a quella scaricabile liberamente dal web)  contenuta in un sistema di storage basato su protocollo IPFS e accessibile solo attraverso una chiave crittografata attraverso la funzione HASH (senza la chiave la copia unica depositata su IPFS non è accessibile). Dal punto di vista sostanziale (ed economico), l’operazione corrisponde alle litografie autografate dall’autore: la litografia è un prodotto artistico che è nato per essere stampato in serie, ma, poi, una o più copie possono essere rese uniche attraverso l’apposizione della firma autografa dell’autore su una copia della litografia stessa; ovviamente le litografie che recano la firma autografa dell’autore acquisteranno un valore estremamente più elevato di quelle che sono vendute in serie in quanto esemplari unici o, comunque, a tiratura limitata. In altri termini, la scarsità genera valore, almeno nel senso del prezzo di mercato.

Una no man’s land dal punto di vista giuridico?

Il mercato degli NFT si sta sviluppando prodigiosamente. Basta dare una rapida occhiata alle piattaforme a maggiore diffusione, Opensea e Knownorigin, per vedere che non si tratta di un fenomeno relegato a qualche sparuta avanguardia ma che esso ha già raggiunto una massa critica importante (naturalmente, tale massa critica ha potuto svilupparsi in quanto le piattaforme attraggono le opere digitali da tutto il mondo). Dal punto di vista giuridico, a parere di chi scrive, la questione più importante rimane quella di evidenziare che chi crea un NFT si debba preliminarmente assicurare di avere il diritto d’autore sugli elementi digitali (arte digitale, tracce musicali, testi, etc.) oggetto del NFT: recentemente (giugno 2021), come riportato da un magazine statunitense, il rapper e imprenditore americano Jay-Z ha citato innanzi al tribunale di New York il proprio socio Damon Anthony Dash, co-fondatore dall’etichetta musicale Roc-A-Fella Records, poiché quest’ultimo aveva creato, senza consultarlo, un NFT che aveva a oggetto l’album di esordio di Jay-Z pubblicato da Roc-A-Fella e di cui tale etichetta tuttora detiene il diritto d’autore, appropriandosi, quindi, secondo la pretesa giuridica fatta valere da Jay-Z, della quota di copyright vantata dal rapper sull’album in questione in quanto con-titolare del diritto di sfruttamento su tale opera dell’ingegno.

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