Stop ai social per gli under 13, la proposta di Azione e Iv: “Registrazione solo su Identity Provider senza dare dati alle piattaforme”

  ICT, Rassegna Stampa
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L’annosa questione di qualche settimana fa tra Chiara Ferragni e Giulietta, la bambina che ha “rimproverato l’influencer per una foto moralmente discutibile”, ha forse aperto “nuovamente” il dibattito su una questione spinosa e cara a tanti genitori: l’age verification per i social network ai minori.

Ieri, in una conferenza stampa a Montecitorio, i parlamentari di Azione e Italia viva hanno presentato la proposta di legge per vietare ai ragazzi sotto i 13 anni l’accesso ai social (clicca qui per vedere la slide). E, soprattutto, rendere effettivo tale divieto, che sulla carta già esiste nel codice di condotta delle piattaforme ma di fatto è privo di controlli.

La proposta di legge presentata da Carlo Calenda, Matteo Richetti, Elena Bonetti, Giulia Pastorella e Mara Carfagna prevede infatti non solo il divieto ma anche un meccanismo “concreto” per rendere effettiva questa barriera “salva bimbi”.

Il sistema di controllo: registrazione sui social solo tramite Identity Provider

La proposta – che ricalca una legge approvata dall’Assemblea nazionale in Francia il 2 marzo scorso – innalza l’età per esprimere il consenso al trattamento dei dati per l’accesso ai social da 14 ai 15 anni. Ai minori di 13 anni vi è il divieto assoluto, mentre tra i 13 e i 15 l’accesso è consentito solo con il consenso dei genitori. Ma la parte più interessante è come rendere rendere effettivo questo limite: attraverso un processo di certificazione dell’età, ma senza consegnare i dati personali alle piattaforme.

L’utente che intenda registrarsi su un social verrebbe subito rimandato a un servizio di identità digitale (come CIE o Spid): il social riceverà quindi conferma del requisito anagrafico e consentirà o meno la registrazione. Sarebbe così fatta salva la possibilità di aprire profili online in forma anonima. Le sanzioni per i social che non rispettano le norme sono quelle previste dal regolamento europeo sulla protezione dei dati, fino al 4% del fatturato. 

Le parole di Carlo Calenda e Giulia Pastorella

“Proteggere i bambini e i preadolescenti da un accesso ai social troppo precoce che, come dimostrano gli studiosi, è una delle cause principali dell’aumento dei disturbi comportamentali e psicologici emersi negli ultimi anni“, spiega Carlo Calenda, segretario di Azione. “Non possiamo lasciare le famiglie da sole a gestire queste situazioni. Abbiamo, quindi, presentato una norma che vieta di accedere ai social sotto i 13 anni e di permetterlo solo col consenso dei genitori tra i 13 e i 15. Esiste già una legge, ma quello che vogliamo fare è prevedere un meccanismo per farla funzionale effettivamente”, conclude.

“La Commissione europea nel suo ultimo rapporto sul tema ha sottolineato come l’autoregolamentazione non funziona e sta lavorando a un meccanismo di verifica dell’età che non dia però ulteriori dati personali, per far sì che la legge già esistente possa davvero essere messa in funzione, e lo sta facendo con la collaborazione delle piattaforme”, ha dichiarato a 9colonne Giulia Pastorella, deputata e vicepresidente di Azione.

“La nostra proposta rappresenta una sorta di precursore di tutto questo lavoro: noi proponiamo di individuare dei meccanismi che impediscano l’accesso ai social ai minori di 13 anni e che richiedano tra i 13 e i 15 il consenso parentale. Proponiamo di farlo in collaborazione con i provider di identità digitale, pensiamo a Spid o Cie, meccanismi ormai riconosciuti a livello europeo. Questi provider dovranno essere loro stessi a certificare, direttamente o indirettamente, soltanto l’attributo anagrafico del minore”, conclude Pastorella.

Per DPO ed esperti la proposta è irrealizzabile

Anonimato online, VPN e schedatura di massa. Queste le criticità maggiori per esperti, DPO e tecnici. Per tutti la proposta di Azione e Iv “Irrealizzabile”.

“Pensate che un dodicenne non sappia come creare un account non italiano usando una VPN per simulare di stare all’estero?“, commenta Paolo Attivissimo su Twitter. “L’anonimato online è un diritto sancito dalla Dichiarazione dei diritti in Internet, approvata all’unanimità a Montecitorio nel 2015. Lo ignoriamo? Inoltre cosa si fa per gli account esistenti? Li sospendiamo in massa fino a che non depositano un documento? E se un utente esistente si rifiuta di dare un documento, che si fa? E se il social network decide che non se la sente di accollarsi questo fardello tecnico immenso? Se il documento andasse dato ai social network, significherebbe dare una copia di un documento d’identità ad aziende il cui mestiere per definizione è vendere i nostri dati. Equivale a una schedatura di massa. Creerebbe un enorme database centralizzato di dati, attività e opinioni personali di milioni di cittadini, messo in mano a un’azienda o a un governo.

E necessariamente consultabile da governi esteri. Avete provato a parlarne con il Garante per la Privacy? La volta scorsa che qualcuno ha fatto una proposta analoga, la sua risposta fu questa ‘consegnare l’intera anagrafica a privati è pericoloso. Basta, per favore, con le proposte tecnicamente insensate. Fare questo genere di proposte senza avere un piano tecnico già discusso con gli esperti rischia di essere un autogol. Capisco che “per salvare i bambini” sia uno slogan sempreverde, ma non è così che si salveranno i bambini. Le carriere politiche, forse. I bambini, no. Gli esperti italiani non mancano. Sentiteli. Vi diranno che, per l’ennesima volta, la proposta è irrealizzabile”, conclude l’esperto.

Spid e Minori: il Garante potrebbe valutare anche la possibilità di farlo implementare ai social?

Per quanto riguarda Spid e minori, il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha dato ok a Spid per minori solo per i servizi per la scuola come registro elettronico. Potrebbe valutare anche la possibilità di farlo implementare ai social?

Nel 2021 il segretario di Azione definiva cosi l’Autorità: “il Garante è diventato un altro assurdo intoppo burocratico di questo Paese, interviene su ogni procedimento pubblico complicandolo”. Chissà cosa dirà.

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