Un intervallo alla propaganda europeista (vol. 5): i Trattati europei sono l’antitesi della Costituzione italiana

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Nel pensiero strategico cinese, uno degli stratagemmi più geniale e sottile è quello che consiste nell’adornare un albero con fiori finti. Esso si concretizza nell’imbellettare qualcosa di brutto o di pericoloso, ovvero nell’ostentare attraenti, ma false, apparenze.

Sono fiori finti, ovviamente, tutte le famose “riforme strutturali” degli ultimi anni che, se notate, non hanno più, a designarle, un numero (come avveniva ai bei tempi), ma un nome. Ed è sempre un bel nome tipo “Buona scuola”, “Sblocca Italia”, “Cresci Italia” oppure un appellativo inglese come “Jobs Act” o “Fiscal Compact”. In entrambe le ipotesi, ci troviamo davanti a fiori finti con un tocco motivazionale (nel caso dei patetici nomignoli italiani) oppure con un’impronta internazionale che, oltre ad essere più difficile da capire, fa sempre fico (nel caso dei pretenziosi appellativi anglosassoni). In realtà, poi, questi “epocali” cambiamenti per “rilanciare la crescita” o “agganciare la ripresa” si traducono immancabilmente in riduzione dei diritti sociali di cittadini e lavoratori. Insuperabile resta il caso della riforma pensionistica targata PD con la quale si è stabilito che i lavoratori possono andare in pensione anticipatamente grazie a un debito contratto col sistema bancario. E come l’hanno chiamata, questa squisitezza? APE “volontaria”: così c’è sia il marchio motivazionale (“volontaria”) sia l’acronimo incomprensibile (APE) e tutti sono contenti. Soprattutto le banche, un po’ meno i lavoratori. In ogni caso, sono anche questi fiori finti.

Adesso allarghiamo un po’ la prospettiva e torniamo all’Unione europea e all’euro.

Ormai dovrebbe essere chiaro, grazie alla preziosa opera divulgativa svolta sul web da tanti bravi ricercatori indipendenti, che la famosa moneta unica e il conseguente totem della stabilità dei prezzi ha avuto un “prezzo” (perdonate il gioco di parole) e un vantaggio ben precisi.

Il vantaggio è stato tutto per i grandi investitori, prenditori di denaro e prestatori di denaro i quali hanno potuto contare su un’unica moneta stabile con eliminazione del rischio di cambio tra Paese e Paese, ma contestuale possibilità di lucrare sugli interessi pagati dai Paesi più deboli dell’area euro.

Il prezzo, invece, lo hanno pagato i lavoratori. Infatti gli Stati, non potendo più “competere” tra loro attraverso la politica monetaria – e tramite, quindi, il governo di una moneta domestica e sovrana (quel compito ora è di competenza esclusiva della BCE che non lo può esercitare mai a beneficio degli Stati) – hanno dovuto iniziare a farlo riducendo il costo del lavoro. Quindi: tenendo bassi i salari, diminuendo le garanzie per operai, impiegati e dipendenti in genere, eliminando tutti quei lacci e lacciuoli (es: l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in Italia) che, come dice la stampa benpensante, “ingessano” il mercato. Queste sono le famose riforme “strutturali” di cui cianciano sempre lorsignori. Non c’è molto altro di sostanziale da capire.

Ma c’è molto da aggiungere, con riferimento allo stratagemma di cui stiamo parlando.

Innanzitutto, dobbiamo interiorizzare bene un concetto: l’Unione è stata concepita, fin da principio, come una organizzazione internazionale destinata a estendere in modo uniforme a tutti gli Stati del continente la filosofia neoliberista e, più precisamente, la sua variante ordoliberista. Ci torneremo più diffusamente nell’appendice. Basti qui sintetizzare i concetti fondamentali: riduzione al minimo dell’intervento statale nell’economia, riduzione dello Stato da agente protagonista a semplice arbitro degli agenti economici privati, deregulation, liberalizzazioni, privatizzazioni, stabilità dei prezzi, deflazione dei salari, competitività all’interno di rigide regole soprattutto per gli Stati (tipicamente, il pareggio di bilancio), banca centrale privata e rigorosamente indipendente.

Se andate ad analizzare con modalità occhiuta e pignola la Costituzione italiana, entrata in vigore il primo gennaio 1948, e i trattati fondativi dell’Unione europea, noti come TUE (Maastricht) entrato in vigore il primo novembre del 1993, e TFUE (Lisbona) entrato in vigore il primo dicembre 2009, potreste accorgervi di una impressionante asimmetria. È come se i tre documenti fossero separati non solo da una voragine cronologica (cinquant’anni, più o meno), ma da una voragine etica, civica, politica. Si passa dalla democrazia nel senso più alto e nobile del termine (per quanto riguarda la nostra Carta fondamentale) all’oligarchia nel senso più deteriore e antidemocratico (per quanto riguarda i trattati). Ne volete una riprova tangibile? Allora fissatevi questa triade di concetti: lavoro, solidarietà, uguaglianza. E poi quest’altra: rendita, egoismo, disparità. Notate la differenza? Sono categorie reciprocamente speculari. Al lavoro fa da contraltare la rendita; alla solidarietà si contrappone l’egoismo; all’uguaglianza risponde la disparità.

Ebbene, il trittico positivo è addirittura scolpito nei primi quattro articoli della Costituzione italiana. L’articolo 1 dichiara che la Repubblica è fondata sul lavoro, il che significa assegnare una primazia assoluta all’uomo sul capitale, a chi, col sudore della fronte, crea valore nel mondo “estraendo” la ricchezza dalle cose con la propria energia.

L’articolo 2 esige dai cittadini l’adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale e, addirittura, l’articolo 4 impone ai cittadini lo svolgimento di un’attività o funzione che contribuisca al benessere materiale o spirituale della società. Un’enunciazione quasi metafisica che costituzionalizza il pareggio di bilancio non tra debiti e crediti, ma tra quanto tu ricevi dalla tua comunità e quanto sei tenuto a dare, in cambio, in ossequio alla solidarietà interclassista e intergenerazionale. L’articolo 3, infine, evoca il sacro principio dell’uguaglianza che non tollera distinzioni non solo di razza o di sesso o di religione, ma anche di condizioni personali e “sociali”.

Guardiamo adesso i trattati.

All’articolo 3, comma 3 del TUE troviamo esaltata la “stabilità dei prezzi” che, a mente dell’articolo 127 del Trattato di Lisbona (da leggersi in combinato disposto con l’articolo 3 di cui sopra), viene addirittura prima del progresso sociale, della piena occupazione, della crescita sostenibile. Vi si legge, infatti, che “fatta salva la stabilità dei prezzi”, UE e BCE cercano di raggiungere gli obbiettivi assegnati all’Unione dai trattati. È il tabù dell’inflazione fatto legge. O, se preferite, è la cristallizzazione delle esigenze dei prenditori di denaro e dei prestatori di capitali, dei rentier, di chi – anziché lavorare – vive di rendita.

Prendete ora gli articoli 123, 124 e 125 del Trattato di Lisbona.

Vi troverete sancito, in modo inequivocabile, il divieto assoluto per i detentori del potere supremo bancario di finanziare gli Stati, cioè i cittadini europei, e la proibizione tassativa per l’Unione di aiutare gli Stati e per gli Stati di aiutarsi tra loro. Mai nella storia fu legalizzata una forma di egoismo politico così “pura” e impeccabile.

Ancora, l’articolo 3 di Maastricht esalta un’economia sociale “fortemente competitiva” dove il forte vince e i deboli perdono. Con tanti saluti alla presa della Bastiglia e agli ideali conseguenti. Quando avrete terminato la lettura, chiedetevi in che mondo vi piacerebbe vivere e, soprattutto, perché siete finiti in quello sbagliato, di Maastricht e di Lisbona.

Se volete conferma, da un punto di vista giuridico, del fatto che i trattati sono una perfetta, e compiuta, traduzione giuridica dei mantra neoliberisti e ordoliberisti, leggete come Thomas Fazi e William Mitchel, in un loro intervento, hanno riassunto le faccenda.. Dopo aver ricordato che «la UE è (correttamente) considerata da molti come l’incarnazione del dominio tecnocratico e post-democratico e dell’allontanamento elitario dalle masse», essi hanno così riassunto la deriva neoliberista del progetto unionista ottenuto con i seguenti passaggi:

«(a) riducendo sensibilmente il potere dei parlamenti rispetto a quello degli esecutivi (per esempio attraverso il passaggio da sistemi proporzionali a sistemi maggioritari) in nome di una non meglio definita governabilità; (b) recidendo il legame tra autorità monetarie e autorità politiche, attraverso l’istituzionalizzazione del principio dell’indipendenza della banca centrale, al fine (neanche troppo nascosto) di asservire gli Stati alla cosiddetta “disciplina dei mercati” (giacché, per dirla brevemente, uno Stato che non controlla la propria banca centrale non è in grado di controllare i tassi di interesse); nel caso dell’Italia, come è noto, questo avvenne col famoso “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro del 1981; (c) subordinando le politiche economiche a vincoli di ogni tipo: sulla spesa pubblica, sul debito in percentuale del PIL, sulla concorrenza, ecc.; (d) formalizzando il vincolo esterno attraverso la ri-adozione di cambi fissi (in Europa); (e) limitando la capacità dei governi di legiferare nell’interesse pubblico mediante i cosiddetti meccanismi ISDS di risoluzione delle controversie tra investitori e Stati, oggi inclusi nella maggior parte dei trattati di investimento bilaterali e multilaterali; (f) infine, trasferendo sempre maggiori prerogative nazionali a istituzioni e organismi sovranazionali come l’UE».

Bene, chiarito quanto sopra, va ora spiegato quali siano i “fiori” con cui gli architetti della UE hanno agghindato – a nostro danno e al fine di ingannarci meglio – l’albero dell’unificazione. Insomma, qual è stato il “cavallo di Troia” attraverso il quale essi hanno pensato di “farci credere” che l’Unione fosse una organizzazione sulla falsariga degli stati europei sorti dalle ceneri del secondo dopoguerra con una batteria di costituzioni di stampo democratico e spiccatamente “socialiste”.

Il sistema è stato semplicissimo e potrebbe anche essere ribattezzato come “declamazione di principio”. Vi basterà prendere l’articolo 3 del Trattato di Maastricht per comprendere a cosa mi riferisco. In questa norma, posta non a caso all’inizio del trattato fondativo della UE, sono stati proclamati dei valori che rappresentano gli autentici “fiori finti”, e quindi “morti”, su cui l’Unione fa finta di essere fondata. L’Unione si prefigge – sarebbe meglio scrivere si pre-finge – di promuovere i suoi valori e il benessere dei suoi popoli.

Ecco il testo con evidenziati, in corsivetto, i fiori finti:

«L’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima. L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutelae di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico. L’Unione combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociali, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore. Essa promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri».

È sufficiente ripassare quanto abbiamo in precedenza spiegato (o – se non vi spaventa l’impresa – leggersi da cima a fondo tutti i trattati) per capire che questi valori sono impossibili da realizzare con la “macchina” mercatista della UE.

E allora perché li hanno inseriti, nell’articolo 3 del TUE, i valori in questione? Per poter declamare, appunto, quando ve ne fosse il bisogno, che la UE promuove il progresso, la solidarietà, la libertà, la sicurezza e la giustizia. E così via, di fiore secco in fiore secco. La gran parte delle persone, degli elettori, non è in grado di decodificare la “tecnologia” giuridica dei trattati, quella che ha sancito, sul piano del diritto positivo, il trionfo della ideologia ordoliberista. Tutti, però, sono in grado di leggere e capire parole come progresso, solidarietà, libertà, sicurezza, giustizia. E di credere che siano le fondamenta dell’Unione. Ma quelle parole, con la filosofia dei trattati, non c’entrano nulla: è proprio una questione di incompatibilità giuridica “genetica”, impossibile da scalfire quanto la legge di gravità o di impenetrabilità dei corpi.

Ora che lo sapete, ogniqualvolta qualcuno ve lo citerà – il famoso articolo 3 del TUE – spiegategli in cosa consiste davvero l’Unione, dal punto di vista della sottostruttura giuridico-economica. Il vostro interlocutore potrà così veder disvelato lo stratagemma davanti ai suoi occhi.

Non è mai abbastanza presto per prenderne consapevolezza. Tuttavia, se aspettiamo un altro po’, sarà troppo tardi per rispedire il mazzo di fiori finti (con tutta la dannata paccottiglia di contorno) a chi ci ha crudelmente recapitato l’uno e anche l’altra.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com


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