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I comuni sciolti per mafia sono soprattutto quelli più piccoli
La piaga dei comuni sciolti per mafia: così la criminalità organizzata si infiltra nelle amministrazioni locali e prova a orientarne politiche e risorse pubbliche. Almeno fino a quando lo Stato non accerta, di solito è questa la procedura standard, in primis tramite il prefetto che fa partire il procedimento fino al passaggio in Consiglio dei ministri, la presenza di un grave condizionamento da parte dei clan che può portare all’azzeramento del mandato locale. Ultimo caso, quello del comune di Bari guidato da Antonio Decaro, a rischio scioglimento dopo la nomina di una commissione che si occuperà di valutare la possibilità di infiltrazioni criminali. Ma gli enti locali sono sotto attacco da sempre, almeno dal 1991, anno dell’emanazione della legge sugli scioglimenti. Intanto chi ha fatto peggio in 3 decenni è la Calabria: Regione con più scioglimenti in 32 anni, come dimostra il nostro grafico. Inoltre gli scioglimenti hanno interessato, dal 2022 al 2023, soprattutto comuni con pochi abitanti e guidati in prevalenza da liste civiche. Un dato che pone grande attenzione su come i movimenti locali, i volti della società civile, possano rappresentare un pericoloso veicolo di infiltrazione mafiosa negli enti più dei partiti cosiddetti tradizionali.
383 comuni commissariati da gennaio 2022 a settembre 2023
Sono 18 gli enti locali sciolti per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso in Italia da gennaio 2022 a settembre 2023: 383 dal 1991. A detenere il record negativo è la Regione Calabria (con 133 scioglimenti), seguita da Campania (117) e Sicilia (92). Alla Regione oggi guidata da Roberto Occhiuto spetta il primato horribilis di far registrare il 34% degli scioglimenti totali. Rispetto all’andamento, il 1994 è stato l’anno di picco del fenomeno con 34 comuni coinvolti. Dall’altro lato, ossia quello delle Regioni virtuose troviamo i territori a zero scioglimento come Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, Marche, Molise, Sardegna, Toscana, Trentino Alto-Adige, Umbria e Veneto.
Il 72% ha meno di 20mila abitanti
Altra caratteristica degna di nota: le piccole dimensioni dei comuni più minacciati. Infatti il 72% dei comuni sciolti per mafia ha una popolazione residente inferiore ai 20mila abitanti e il 52% ha una popolazione residente inferiore ai 10mila abitanti. Solo l’8.5% dei 280 comuni ha invece una popolazione residente superiore ai 50mila abitanti. Ci sarebbe un motivo se i territori più ristretti risultano particolarmente a rischio. Secondo il report La Linea della palma di Avviso pubblico, associazione che studia il fenomeno da anni, i comuni aventi un numero di abitanti ridotto, insieme alle circoscritte dimensioni geografiche, garantiscono ai clan vantaggi in termini di controllo del territorio e della società civile.
I settori di ingerenza e il colore politico prevalente
Edilizia e tributi sono invece i campi più a rischio di infiltrazioni. Anche le concessioni demaniali relative alle spiagge risultano particolarmente oggetto di attenzione per la criminalità organizzata. Ambiti meno “attrattivi” sono invece la gestione dei migranti, il verde pubblico e l’edilizia residenziale pubblica. Mentre per quanto riguarda i comuni che registrano più di uno scioglimento, quello di San Giuseppe Vesuviano, alle porte di Napoli, è al suo terzo scioglimento. Altro dato importante: la relazione tra il tipo di colore politico dell’amministrazione e il numero degli scioglimenti. In questo caso in realtà a fare la differenza è l’assenza di bandiere politiche in senso tradizionale. Infatti la maggior parte degli enti locali sciolti per mafia dal 2022 al settembre 2023 erano guidati da una maggioranza sostenuta da liste civiche (72% dei casi). Nei restanti cinque casi – Anzio, Castellammare di Stabia, Nettuno, Rende e Torre Annunziata – la giunta era governata rispettivamente da coalizioni di centrodestra (in 4 casi) e centrosinistra (un caso).
I dati si riferiscono al 1991-2023
Fonte: Ministero dell’Interno, Avviso pubblico
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