Come avevamo anticipato, a partire dallo scorso maggio, la crisi di Open Fiber si è progressivamente acuita e sta diventando difficilmente sostenibile. Cassa Depositi e Prestiti (CDP), che immaginiamo in notevole imbarazzo, sarà inevitabilmente costretta a correre ai ripari, prima che sia troppo tardi, ed a valutare gli improrogabili cambiamenti del vertice e del management che non si è dimostrato all’altezza della situazione.
Open Fiber: manager in fuga?
Tutto è cominciato, come accennavamo, qualche mese fa con la fuga dei migliori manager di prima linea (scappati via o invitati perentoriamente a farlo). Molti manager apicali hanno quindi già lasciato l’azienda o stanno per farlo ed è davvero singolare che si tratti proprio di quel gruppo di manager con maggiore esperienza che ha creato da zero un’azienda come Open Fiber, guardata sino ad ora e in tutta Europa come un caso di eccellenza, capace di sviluppare in modo compiuto il modello wholesale only e portare velocemente l’azienda a valere quasi 8 miliardi.
Anche Salvo Ugliarolo, segretario generale Uilcom è dovuto intervenire sulla crisi gestionale di Open Fiber facendo una dichiarazione inequivocabile “…È chiaro a tutti che Open Fiber non può più avere un ruolo centrale nell’operazione (si riferisce alla rete unica), non avendo più la credibilità necessaria a portare avanti questa operazione. Basti pensare all’incapacità gestionale mostrata dal suo management targato CDP, ai ritardi nelle aree bianche che si stanno accumulando e che continuano ad aumentare ed alle prime difficoltà nell’implementazione del piano per le aree grigie...”.
Analoghe preoccupazioni per l’attuale gestione di Open Fiber l’ha espressa nella recente intervista a Key4biz l’On. Alessio Butti, responsabile per le telecomunicazioni di FdI: “…Una delle mutate condizioni (si riferisce alle modalità di attuazione del piano per la rete unica, n.d.r.) risiede nel fallimento della gestione di Open Fiber. È una azienda a cui anche il mercato aveva dato molto credito, un gioiello del nostro Paese, che tutta l’Europa ci invidiava, grazie appunto al modello wholesale only poi introdotto nel nuovo Codice delle comunicazioni europee. Purtroppo, con la nuova gestione CDP di Open Fiber molte cose sono cambiate nella strategia aziendale. I manager migliori sono scappati o stanno lasciando l’azienda. E come se non bastasse, solo alcuni mesi fa, nel dicembre del 2021 il nuovo management alla guida dell’azienda, tutto targato CDP, aveva elaborato un nuovo piano che è stato però già disatteso. Open Fiber purtroppo, e lo dico con sincero rammarico, non ha più la credibilità né la capacità di essere il perno dell’operazione “rete unica”, cosi come pensata sino ad oggi da CDP. Mi lasci anche dire che il management deve essere scelto sulla base delle competenze manageriali e non dell’appartenenza politica. Ecco perché occorre una svolta in grado di sostenere un progetto industriale di alta rilevanza”.
Anche numerosi addetti ai lavori da noi interpellati si sono mostrati molto critici nei confronti dell’attuale gestione di Open Fiber. Le cose non cambiano neanche dall’interno, stando a quanto ci hanno riferito diversi dipendenti, anzi il dubbio è che dall’interno le cose possano essere anche peggiori di quello che appare all’esterno. Ma nessuno vuole, ovviamente, parlarne in pubblico per timore di esporsi. La sensazione è che ci sia all’interno un profondo clima di disorientamento ed incertezza per il futuro, che contribuisce negativamente allo stato di immobilismo dell’azienda.
Il rallentamento dei lavori di Open Fiber ad opera CDP
Come avevamo già riferito, con la gestione di Open Fiber da parte di Cassa Depositi e Prestiti (CDP) si è verificato un rallentamento e, a giudicare dal passo di marcia attuale, le Aree bianche potrebbero essere cablate in non meno di 7-8 anni.
Questi i dati sorprendenti al 31 luglio scorso. Si tratta di dati ufficiali, pubblicati sul sito del MiSE e relativi all’avanzamento dei lavori di realizzazione della rete a banda ultra larga.
Nel mese di luglio 2022 infatti le unità immobiliari collaudate, quelle dove i servizi sono attivabili, come recita il Report del MiSE, sono incrementate rispetto a giugno 2022 di meno di 50.000 unità immobiliari.
Cosa vuol dire? Che per finire le Aree bianche nei tempi del piano dell’AD Mario Rossetti, Open Fiber dovrebbe realizzare d’ora in poi mediamente più di 400.000 unità immobiliari al mese e tutte con servizio attivabile.
Francamente appare come una “mission impossible” e, per la verità, un risultato così disastroso ha sorpreso tutti, non solo noi.
Ricordiamo che la concessione assegnata ad Open Fiber prevede che si debbano cablare nelle Aree bianche circa 6,3 milioni di unità immobiliari FTTH entro la metà del 2023.
Ad oggi le unità immobiliari cablate sono solo circa 2 milioni.
Al passo di 50.000 unità immobiliari al mese Open Fiber finirà i lavori, se le cose dovessero andare come vanno ora, tra 8 anni e cioè nel 2030.
Sino ad ora l’attuale management ha giustificato i ritardi puntando ripetutamente il dito contro la precedente gestione di Open Fiber, ma adesso quali altre scuse si potranno accampare?
Come si giustificherà questo ulteriore rallentamento e questa inadeguatezza di execution?
Non vorremmo che tra qualche mese, magari dopo le elezioni del 25 settembre, venisse detto che il piano industriale fatto a dicembre 2021 dall’attuale AD di Open Fiber dovrà essere rivisto. Ma come, proprio dopo aver proclamato ai quattro venti che sarebbe stato fatto un ‘re-boost’ dell’azienda, grazie alla gestione manageriale di CDP?
E allora ci chiediamo: quanto tempo dovrà passare ancora prima che CDP ammetta i propri errori di valutazione e corra ai ripari?
Oltre ai ritardi accumulati nelle Aree bianche, ritardi che come abbiamo visto continuano a crescere e a cui si aggiungeranno i problemi legati alle Aree grigie da completare entro il 2026, si aggiunge il fatto che potrebbero non essere rispettati i tempi previsti dal PNRR, con la conseguente perdita dei fondi europei su cui tanto il nostro Paese conta.
Come sono state affrontate queste criticità?
Negli scorsi mesi ha fatto scalpore la proposta di Open Fiber di usare i detenuti per la posa dei cavi o meglio per scavare le buche (secondo la migliore tradizione hollywoodiana ambientata nei grandi penitenziari americani), perché pone innumerevoli problemi logistici e di sicurezza. Ma il punto è che la proposta non risolve in alcun modo il problema originario. E così, qualcuno in Open Fiber, lo ricordiamo, ha tirato fuori dal cilindro il coniglio delle “scorciatoie creative”, per velocizzare le procedure.
Come? Bypassando il Codice degli Appalti, in modo da poter assegnare lavori pubblici per miliardi di euro, ma senza i controlli dell’Autorità anticorruzione (ANAC).
Naturalmente tutte le operazioni sono state fatte con la dovuta riservatezza e, vorremmo aggiungere, con scarsa trasparenza, anzi con le modalità opache che queste azioni non dovrebbero mai prevedere, tanto più nel caso di società (qui non solo Open Fiber) a controllo pubblico.
E già, perché Open Fiber ha recentemente costituito un Consorzio (di cui possiede l’80%) insieme al Gruppo ASPI (Autostrade per l’Italia, che ha il 20%) attraverso la società controllata Amplia Infrastructures (ex Pavimental). Peccato che l’ex Pavimental sia specializzata, tra l’altro, in grandi opere e non in piccoli cantieri comunali.
Ma, in ogni caso, nessuno si era posto il problema di chiedere un parere all’ANAC. Viene da chiedersi come sia stato possibile che soggetti del calibro di CDP, Open Fiber e Autostrade per l’Italia (tutte a controllo pubblico) abbiano messo in campo un tale dispendio di risorse, di tempo e di denaro, senza aver verificato prima la fattibilità del progetto. Perché l’ANAC, una volta consultata, ha espresso un parere negativo ed ha costretto l’azienda a bloccare l’iniziativa.
È a questo punto che, per aggirare l’ostacolo, è saltata fuori un’altra idea geniale: chiedere aiuto al Governo Draghi per emanare una norma ad hoc, per consentire il subappalto e scavalcare l’ANAC (norma poi inserita nel decreto Energia/Ucraina).
Ma vi è un altro episodio più recente e più grave.
La rete non può essere un territorio off-shore per diritti e doveri delle imprese
Durante l’esame al Senato del DL PNRR II sono stati presentati e poi approvati anche alla Camera i famosi emendamenti, che permettono ora ad Open Fiber di bypassare il Codice degli Appalti e, di fatto, spendere i soldi pubblici senza alcun controllo.
Gli emendamenti prevedono infatti, tra gli altri, l’esclusione dai controlli previsti dal Codice degli Appalti delle concessioni per le Aree bianche e dei lavori per le Aree grigie. La questione è molto seria, più seria di quanto non si pensi. Chissà se il prossimo governo deciderà di occuparsene, perché il caso può rappresentare un precedente per situazioni a cui farebbero comodo deroghe del genere.
D’altra parte, a cosa serve allora il Codice degli Appalti? E perché applicarlo in alcuni casi e non in altri. O lo si applica a tutti o a nessuno. Del resto, il Parlamento è sovrano, se una legge non va bene, allora la si abroghi definitivamente per tutti.
A questo punto, chi controllerà gli appalti pubblici e l’uso dei soldi pubblici che li finanziano?
Perché lavori pubblici che riguardano altri settori altrettanto strategici in seno al PNRR devono seguire il Codice degli Appalti, mentre i lavori per la costruzione della rete, finanziati con i soldi pubblici, possono essere liberi da ogni vincolo e non rispondere a nessuno?
Chi si assumerà queste responsabilità e per quali ragioni?
Cassa Depositi e Prestiti batta almeno un colpo.
https://www.key4biz.it/open-fiber-in-crisi-fuga-dei-manager-ritardi-fondi-del-pnrr-serve-trasparenza/414364/