Ingegneria biomedica e nuove tecnologie (IA, VR/AR e 5G) per le cure mediche. Intervista al Prof. Leandro Pecchia (Università Campus Bio-Medico di Roma)

  ICT, Rassegna Stampa
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La metà della popolazione mondiale non ha accesso ai servizi sanitari essenziali e alle relative tecnologie mediche, stando ai dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). E questo per uno squilibrio del mercato, dovuto principalmente dal fatto che tre macroregioni ad alto reddito, USA, Europa e Giappone, assorbono oltre l’80% del mercato mondiale dei dispositivi medici.

Barriere e diseguaglianze che vanno rimosse ed eliminate affinché sia possibile garantire cure mediche e sanitarie dignitose per tutti e raggiungere gli Obiettivi 2030 di sviluppo sostenibile fissati dalle Nazioni Unite, con particolare riferimento all’obiettivo numero 3: “Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età”.

La cooperazione tra la comunità mondiale di ingegneri biomedici e l’Oms ha permesso di realizzare in tempi rapidissimi procedure, guide tecniche, linee guida per la produzione e selezione di prodotti essenziali come respiratori, mascherine chirurgiche e dispositivi medici, nonché protocolli frugali per la misurazione della salubrità degli ambienti in assenza di strumentazioni costose. Ora che la pandemia sta rallentando, è fondamentale consolidare queste esperienze per essere pronti alle sfide future che supereranno la sola dimensione clinica.

Sulla centralità dell’assistenza sanitaria di qualità, soprattutto nei Paesi più poveri, e sull’importanza della disponibilità di dispositivi medici per il benessere e le cure mediche delle persone, abbiamo sentito il Prof. Leandro Pecchia, Presidente della Società europea di ingegneria biomedica (EAMBES), Segretario generale dell’associazione mondiale (IFMBE), consulente OMS per le tecnologie per il Covid-19 e membro del CTS del ministero della Salute per i dispositivi medici, in occasione dell’evento organizzato dall’Università Campus Bio-Medico di Roma, con il sostegno di Intesa Sanpaolo, per il suo rientro in Italia come responsabile dell’Unità di Ricerca di Intelligent Health Technology della Facoltà Dipartimentale di Ingegneria della stessa Università.

Key4biz. Che cos’è l’ingegneria biomedica, quali sono i suoi campi di applicazione e perché è considerata così rilevante per il futuro della tutela della salute a livello globale? 
Leandro Pecchia. Non è semplice definire l’ingegneria biomedica, perché è una branca dell’ingegneria estremamente multidisciplinare, ed in rapidissima evoluzione. Però posso facilmente definire il prodotto dell’ingegneria biomedica: i dispositivi medici. Gli ingegneri biomedici stanno ai dispositivi medici come chimici e farmacisti stanno ai farmaci. Noi siamo coloro i quali progettano, regolamentano, valutano e gestiscono i dispositivi medici, ovvero la tecnologia che si usa quotidianamente per prevenire, diagnosticare, curare malattie o condizioni derivanti da infortuni e disabilità, oppure per gestire patologie croniche o semplicemente per preservare lo stato di salute dei cittadini. A tal proposito, l’ingegneria biomedica lavora molto anche per il benessere e per la qualità della vita, favorendo lo sviluppo di oggetti di uso comune, come un semplice orologio o una App, che ci aiutano a controllare il nostro stato di benessere, pensiamo allo sport o alla qualità del sonno. Ingegneria bio-medica significa ingegneria in biologia e medicina. Ma la ricerca in quest’ambito la chiamiamo bio-ingegneria, che vuol gire ingegneria della vita. Quelli di noi che lavorano in ospedale, vengono chiamati ingegneri clinici, proprio per richiamare il loro fantastico impegno in prima linea. Siamo una famiglia variegata, ma molto unita.

Key4biz. Raggiungere obiettivi di sostenibilità economica e sociale grazie all’offerta di dispositivi medici a basso prezzo, sia nei Paesi africani, sia in quelli occidentali, tra cui l’Italia, qual è il vantaggio di soluzioni del genere? 

Leandro Pecchia. In verità, io non ne faccio mai una questione di prezzo. Se fosse quello il problema, basterebbero le donazioni. Purtroppo, le sfide dei Paesi africani vanno oltre il budget. Gli ospedali non hanno standard adeguati, manca personale specialistico e c’è un grosso problema di infrastrutture logistiche e dunque di approvvigionamento, anche per cose che costano poco o nulla.
Ecco, per questo la comunità mondiale di ingegneri biomedici fa molto, in collaborazione con le Nazioni Unite. In primis stiamo conducendo degli studi sistematici per dimostrare in modo inequivocabile dove c’è il maggiore divario, e come intervenire in maniera sostenibile. Ma i divari esistono anche in Italia, dove esistono zone remote in cui non sarebbe sostenibile avere strutture terziarie, altamente specialistiche, che sono sostenibili solo in aree densamente abitate. Imparando in Africa, risolveremo anche i problemi di comunità montane o piccole isole italiane.
Per sopperire alla carenza di personale specialistico, stiamo progettando dei dispositivi medici resilienti alle condizioni di lavoro in africa, e che aiutino anche personale non specialistico a prendere decisioni complesse. Per esempio, con una App che usa l’intelligenza artificiale per distinguere polmoniti da altre condizioni polmonari basandosi solo su sintomi, quando non è possibile usare test di laboratorio, e dunque prevenendo l’uso improprio di antibiotici che creerebbe solo resistenze. Una App così durante il COVID-19 sarebbe stata utile anche in Italia. Stiamo progettando un sistema consistente in una App e accessori stampati 3D per identificare neuropatie da diabete, o per capire se c’è un trauma cranico usando il flash del cellulare, ed intelligenza artificiale per studiare la reazione della pupilla registrata con la telecamera.
Soluzioni simili, dopo essere state opportunamente validate clinicamente, sarebbero certamente utili anche in Italia, aiutando medici di famiglia e pediatri ad indentificare malattie rare, o semplicemente infermieri di quartiere, che tra qualche anno saranno indispensabili per compensare i cambiamenti demografici per gestire patologie cronico degenerative.
In fine, per le difficoltà di approvvigionamento, stiamo studiando come costruire con materiale locale, a chilometro zero e con plastiche riciclate, accessori e parti di ricambio sicure e di elevatissima qualità, e che altrimenti non sarebbero disponibili. E non mi dica che questo non serve anche in Europa per ridurre l’impatto ambientale del sistema sanitario. Le pare normale che esista una classificazione energetica per frigoriferi ed auto, e non debba esistere per un dispositivo medico? A me no.
Ma queste sono soluzioni di breve e medio periodo. Per il lungo periodo stiamo facendo due cose: molto capacity building, formando africani in Africa ed in Italia, e mettiamo in rete colleghi africani adeguatamente preparati con decisori politici anche qui in Europa o alle Nazioni Unite, dove noi ‘ricchi’ prendiamo decisioni che poi hanno un impatto anche sul loro magnifico continente, che molti conoscono poco e male.

Key4biz. Quali possono essere le potenzialità di sviluppo dell’ingegneria biomedica da qui ai prossimi 20 anni con lo sviluppo delle reti di nuova generazione, come il 5G e il 6G?

Leandro Pecchia. Limitate solo dalla nostra capacità di essere creativi. Il 5G ed il 6G non sono solo piattaforme di comunicazioni, ma piattaforme tecnologiche capaci di liberare il nostro genio. Avremo sciami di automi, robot e droni, che risolveranno problemi logistici, liberando risorse umane per funzioni più critiche e intellettualmente stimolanti. Con l’eliminazione delle latenze, potremmo controllare in maniera sicura dispositivi medici a distanza, quindi senza entrare in aree contaminate da pazienti infettivi, e senza contaminare aree sterili, come le sale operatorie.
Questo non è stato possibile durante il COVID-19, e come sappiamo alcune topologie di interventi, come quelli laparoscopici, sono stati sconsigliati perché aerosol-generanti. Avremo sistemi di navigazione intraospedaliera, che useranno realtà aumentata per guidare i pazienti ed i loro parenti all’interno di strutture complesse, e sistemi che gestiranno in tempo reale file o sale di attesa, minimizzando qualunque rischio di contaminazione o infezione, e prevenendo nuove interruzioni del servizio sanitario in caso di pandemie. Stiamo progettando strumenti immersivi o di realtà virtuale, stile videogames, con cui un paziente autistico può prepararsi prima di venire in ospedale, al fine di affrontare al meglio questa esperienza che altrimenti sarebbe stressante e difficile da affrontare.
Completeremo, in maniera sicura e sostenibile, la digitalizzazione degli ospedali, riducendo anche l’impatto ambientale. Insomma, ci aspetta un futuro meraviglioso, ma anche pieno di sfide: dobbiamo preparare una generazione di nuovi innovatori che capiscano e conoscano queste tecnologie, e farlo insieme ad aziende e decisori pubblici, affinché questa rivoluzione avvenga in tempi rapidi, senza sprecare le opportunità irripetibili che oggi ci offre anche il PNRR. Noi siamo pronti.

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