La decisione del Governo di rottamare il Superbonus introdotto da Conte è stata salutata, dai più, con grida di giubilo: era ora che venisse mandato in soffitta quell’infausto arnese insidiosissimo per le finanze pubbliche. Ma è davvero così? Per comprenderlo, dobbiamo porci un’altra domanda, preliminare e dirimente: cos’è, in definitiva, il famoso centodieci per cento destinato al comparto edilizio? In buona sostanza, è “moneta” fiscale. Quest’ultima, concettualmente, va intesa come un credito nei confronti del fisco concesso (a fronte della presentazione di una fattura per il pagamento di prestazioni in beni o servizi) dallo Stato ai cittadini e da questi ultimi cedibile a terzi. Il contribuente può usarlo in compensazione sulle tasse future oppure farlo circolare. Tale strumento, peraltro, potrebbe in linea teorica non solo essere previsto per un settore ristretto (come l’edilizia) o a fronte di condizioni peculiari o di destinatari privilegiati, ma reso operativo su ben più vasta scala. Il che, se ci pensate, lo rende l’uovo di colombo giusto per recuperare la “mitica” sovranità monetaria perduta entrando nell’area euro. Dunque, la moneta fiscale dovrebbe essere considerata un po’ il “Santo Graal” di tutti i sovranisti a ventiquattro carati (compresi molti sostenitori ed esponenti di Fratelli d’Italia).
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