Democrazia Futura. Macron e il 14 luglio per riunire la Francia e rassicurare i francesi

  ICT, Rassegna Stampa
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Alberto Toscano

Alberto Toscano presenta un bilancio degli scontri delle scorse settimane illustrando quello che nel titolo definisce “Macron e il 14 luglio per riunire la Francia e rassicurare i francesi[1]” prevedendo nelle conclusioni dedicate alla giornata di festa nazionale in Francia un probabile.

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Comincia la settimana della festa nazionale francese e il presidente Emmanuel Macron ha una Bastiglia da prendere, se vuol rilanciare il suo secondo mandato all’Eliseo. Parlerà in occasione del 14 luglio, cercando di voltar pagina dopo la lunga crisi della riforma pensionistica e la violentissima fiammata di protesta, che ha sconvolto le aree urbane a partire dal 27 giugno.

Deve convincere i connazionali che la “République” rispetta e protegge tutti i suoi figli: da chi protesta perché si considera abbandonato dalle istituzioni a chi impreca perché pensa di vivere nell’insicurezza; da chi inveisce contro la polizia a chi chiede più polizia.

Dopo anni di gilets gialli, di Covid, di inflazione, di manifestazioni anti-riforma delle pensioni, di violenze e di polemiche, il presidente non può che concepire questo 14 luglio come vera opportunità per rilanciare la coesione nazionale.

La sua Bastiglia 2023 si riassume in due parole: unire e rassicurare.

La violenza viene da lontano

Il bilancio di violenze dei giorni a cavallo tra giugno e luglio, dopo la morte del diciassettenne Nahel a Nanterre, è impressionante. I fermati sono stati 3.693 e 1.122 di loro sono stati deferiti all’autorità giudiziaria. Si tratta soprattutto di giovanissimi, provenienti da quelle stesse “banlieues” in cui era esplosa la rivolta (tre settimane) del dicembre 1995 dopo la morte di due giovani intenti a sfuggire alla polizia.

Fin dagli anni Novanta, gli investimenti pubblici nelle “banlieues” sono aumentati in modo rilevante. Eppure una parte delle devastazioni dei giorni scorsi ha riguardato proprio quegli edifici (biblioteche, scuole e centri ricreativi) che mostravano la presenza dello Stato nelle periferie urbane.

Lo stesso si può dire degli attacchi ai municipi e ai sindaci, talvolta aggrediti con particolare violenza. 

Se la scintilla della rivolta è chiara (la morte di Nahel a seguito del colpo sparato da un agente di polizia), il cocktail esplosivo che l’ha resa tanto devastante è complesso e rifugge le spiegazioni semplicistiche.

 La ricerca delle “identità” e delle origini, praticata da famiglie che potrebbero sentirsi unite dalla comune nazionalità francese, anima le polemiche e talvolta le violenze. Una generazione di giovanissimi sbandiera i discorsi “identitari” contrapponendosi ad altri discorsi identitari, fatti in primo luogo dall’estrema destra di Zemmour.

Ci sono poi le ragioni economiche della protesta. Lo sviluppo non è lo stesso in ogni regione e all’interno di ogni area urbana. La rivolta dei gilets gialli prima e quelle delle “banlieues” adesso sono anche un rivelatore dei problemi di chi vive in zone oggettivamente disagiate. Il malcontento cerca bandiere e ne trova d’ogni colore. La rivolta dei gilets gialli ha favorito elettoralmente Marine Le Pen.

A sua volta, Jean-Luc Mélenchon sta cercando di cavalcare la tigre delle “banlieues”, ma la reazione dell’opinione pubblica alle violenze potrebbe portare (una volta di più) acqua al mulino lepenista.

La via (difficile) del cambiamento

Resta il fatto che l’estrema violenza dell’ultima rivolta può difficilmente spiegarsi solo con elementi identitari, economici e sociali.

Ha probabilmente pesato anche l’atmosfera di malcontento e di frustrazione dell’opinione pubblica per il modo in cui il presidente Macron ha fatto passare una riforma importante come quella delle pensioni, il cui testo non è mai stato votato dall’Assemblea nazionale.

Macron e il governo della prima ministra Elisabeth Borne hanno ottenuto risultati di rilievo in campo economico. Ma nell’opinione pubblica è il senso di preoccupazione a prevalere, col risultato che il paese sembra prigioniero di un paradosso: da un lato tutti sembrano aver voglia di “cambiamento” e dall’altro tutti sembrano diffidare delle riforme.

In questo contesto si inseriscono le difficoltà oggettive del presidente Macron, che nel suo primo mandato (2017-2022) poteva contare sulla maggioranza assoluta dei deputati, mentre adesso ha solo la maggioranza relativa.

In un altro Paese i partiti a lui fedeli avrebbero negoziato un accordo di governo con un’altra formazione politica (in questo caso il centrodestra neogollista dei Républicains).

L’Eliseo ha invece scommesso sulle prerogative derivanti dalla Costituzione “presidenzialista alla francese”.

Ma questo non basta, se alla fine la società si sente disorientata dai suoi stessi rappresentanti.

La rendita di posizione dell’Eliseo sta nel fatto che (a destra come a sinistra) le opposizioni più forti sono oggi le più estreme, per cui difficilmente potranno accedere al potere.

È vero, ma non è rassicurante.

La giornata del 14 juillet. La Francia cerca di riappacificarsi[2]

Il presidente Emmanuel Macron è riuscito ad approfittare della settimana della festa nazionale francese per migliorare la propria immagine interna e internazionale. Il (relativamente) tranquillo 14 luglio non basta certo a cancellare il ricordo della “settimana di fuoco” delle “banlieues” (a cavallo tra giugno e luglio), ma è una boccata d’ossigeno. Le due notti del 13 e del 14 luglio non hanno visto il ripetersi degli incidenti su larga scala.

Ci sono stati atti di violenza, ma il loro numero è stato inferiore a quello della festa nazionale del 2022. La grande festa parigina intorno alla Tour Eiffel, con tanto di concerto alla presenza di settantamila persone, è stata un vero successo, con eco sulle principali reti televisive.

In quelle stesse ore serali del 14 luglio il leader indiano Narendra Modi banchettava al Louvre con Macron dopo essere stato (in mattinata) l’ospite d’onore alla tradizionale parata militare lungo i Champs Elysées.

Come dire che la Francia cerca di rappacificarsi al proprio interno e di mostrarsi al tempo stesso un grande protagonista delle dinamiche internazionali.

L’intreccio tra questi due elementi è molto concreto. La stabilità interna passa per l’economia e in questo momento l’industria francese è molto efficace in quattro campi: agroalimentare, moda, aerospaziale, armamenti. Dimenticando le divergenze con Parigi a proposito dell’Ucraina, Modi ha portato con sé il libretto degli assegni. C’è ormai un accordo di principio per l’acquisto da parte dell’India di 26 caccia francesi Rafale (il gioiello di Dassault) e di tre sottomarini. Un vero business miliardario, che fa seguito alle commesse indiane ad Airbus.

Passate senza danno (e persino con qualche beneficio) le notti di metà luglio, Macron deve ancora sanare le piaghe di altre notti – davvero terribili – seguite alla morte del diciassettenne Nahel (ucciso da un poliziotto a Nanterre per aver tentato di fuggire da un posto di blocco).

Se vuol rilanciare il suo secondo mandato all’Eliseo, il presidente deve dare l’impressione di voltar pagina dopo la lunga crisi della riforma pensionistica e la violentissima fiammata di protesta.

Deve convincere i connazionali che la “République” rispetta e protegge tutti i suoi figli: da chi protesta perché si considera abbandonato dalle istituzioni a chi impreca perché pensa di vivere nell’insicurezza; da chi inveisce contro la polizia a chi chiede più polizia.

Dopo anni di gilets gialli, di Covid, di inflazione, di manifestazioni anti-riforma delle pensioni, di violenze e di polemiche, il presidente non può che concepire questo periodo di mezza estate come vera opportunità per rilanciare la coesione nazionale.

Unire e rassicurare

La sua Bastiglia 2023 si riassume in due parole: unire e rassicurare.

Il bilancio di violenze dei giorni a cavallo tra giugno e luglio, dopo la morte di Nahel a Nanterre, è impressionante. I fermati sono stati 3.693 e 1.122 di loro sono stati deferiti all’autorità giudiziaria. Si tratta soprattutto di giovanissimi, provenienti da quelle stesse “banlieues” in cui era esplosa la rivolta (tre settimane) del dicembre 1995 dopo la morte di due giovani intenti a sfuggire alla polizia. Fin dagli anni Novanta, gli investimenti pubblici nelle “banlieues” sono aumentati in modo rilevante. Eppure una parte delle devastazioni dei giorni scorsi ha riguardato proprio quegli edifici (biblioteche, scuole e centri ricreativi) che mostravano la presenza dello Stato nelle periferie urbane. Lo stesso si può dire degli attacchi ai municipi e ai sindaci, talvolta aggrediti con particolare violenza.

Se la scintilla della rivolta è chiara (la morte di Nahel a seguito del colpo sparato da un agente di polizia), il cocktail esplosivo che l’ha resa tanto devastante è complesso e rifugge le spiegazioni semplicistiche.
La ricerca delle “identità” e delle origini, praticata da famiglie che potrebbero sentirsi unite dalla comune nazionalità francese, anima le polemiche e talvolta le violenze. Una generazione di giovanissimi sbandiera i discorsi “identitari” contrapponendosi ad altri discori identitari, fatti in primo luogo dall’estrema destra di Zemmour.

Ci sono poi le ragioni economiche della protesta. Lo sviluppo non è lo stesso in ogni regione e all’interno di ogni area urbana. La rivolta dei gilets gialli prima e quelle delle “banlieues” adesso sono anche un rivelatore dei problemi di chi vive in zone oggettivamente disagiate.

Il malcontento cerca bandiere e ne trova d’ogni colore. La rivolta dei gilets gialli ha favorito elettoralmente Marine Le Pen. A sua volta, Jean-Luc Mélenchon sta cercando di cavalcare la tigre delle “banlieues”, ma la reazione dell’opinione pubblica alle violenze potrebbe portare (una volta di più) acqua al mulino lepenista.

Resta il fatto che l’estrema violenza dell’ultima rivolta può difficilmente spiegarsi solo con elementi identitari, economici e sociali. Ha probabilmente pesato anche l’atmosfera di malcontento e di frustrazione dell’opinione pubblica per il modo in cui il presidente Macron ha fatto passare una riforma importante come quella delle pensioni, il cui testo non è mai stato votato dall’Assemblea nazionale.

Verso un rimpasto di governo

Macron e il governo della prima ministra Elisabeth Borne hanno ottenuto risultati di rilievo in campo economico. Ma nell’opinione pubblica è il senso di preoccupazione a prevalere, col risultato che il paese sembra prigioniero di un paradosso: da un lato tutti sembrano aver voglia di “cambiamento” e dall’altro tutti sembrano diffidare delle riforme.

In questo contesto si inseriscono le difficoltà oggettive del presidente Macron, che nel suo primo mandato (2017-2022) poteva contare sulla maggioranza assoluta dei deputati, mentre adesso ha solo la maggioranza relativa.

In un altro paese i partiti a lui fedeli avrebbero negoziato un accordo di governo con un’altra formazione politica (in questo caso il centrodestra neogollista dei Républicains). L’Eliseo ha invece scommesso sulle prerogative derivanti dalla Costituzione “presidenzialista alla francese”.

Ma questo non basta, se alla fine la società si sente disorientata dai suoi stessi rappresentanti.

La rendita di posizione dell’Eliseo sta nel fatto che (a destra come a sinistra) le opposizioni più forti sono oggi le più estreme, per cui difficilmente potranno accedere al potere. E’ vero, ma non è rassicurante.

Tra i segnali che l’Eliseo si prepara a lanciare al Paese c’è probabilmente un rimpasto del governo guidato dalla prima ministra Elisabeth Borne.

Il presidente Macron si è mostrato tranquillo e disteso il 14 luglio, ma non può certo permettersi un’estate spensierata.

Madame Borne, che dovrebbe restare al proprio posto, lo aiuterà a fare i compiti estivi.


[1] Scritto per Affari Internazionali, 10 luglio 2023. Cf. https://www.affarinternazionali.it/macron-14-luglio-riunire-francia/.

[2] Testo inedita

https://www.key4biz.it/democrazia-futura-macron-e-il-14-luglio-per-riunire-la-francia-e-rassicurare-i-francesi/454498/