“I have been quoted saying that, in the future, all companies will be Internet companies. I still believe that. More than ever, really” (Andy Grove).
Le previsioni di Andy Grove (INTEL) risalgono all’autunno del 1994 al Comdex di Las Vegas, ormai quasi trent’anni fa. Se dovessimo tradurre le sue parole nel contesto attuale si dovrebbe dire: “in the future, all companies will be AI companies”.
Non è semplice, né scontato farsi un’idea dell’accelerazione che stanno registrando gli investimenti in intelligenza artificiale (AI), ma sappiamo che nell’anno in corso hanno superato i 97 miliardi di dollari, contro dai 39,7 del 2019. Goldman Sachs prevede che un trend in forte crescita: nel 2025 si triplicheranno gli investimenti e supereranno i 300 miliardi di dollari, di cui 100 nel solo mercato nordamericano.
A tutti gli effetti è una stima per difetto, perché l’eco-sistema dell’intelligenza artificiale (AI) sta evolvendo rapidamente ed in più di una direzione: per questo motivo, diventa più difficile farsi un quadro preciso.
Le sorprese non mancano: TESLA non è solo una casa automobilistica, ma è forse oggi una delle più importanti società al mondo nell’AI in termini di applicazioni industriali: solo negli ultimi 18 mesi ha investito 10 miliardi di dollari nel supercomputer DoJo e 4 miliardi per il training degli algoritmi destinati allo sviluppo della guida a conduzione autonoma (FSD, Full Self Driving), uno dei fronti più sfidanti in termini di high-performance computing. META (Facebook) non è da meno: sta procedendo senza sosta ad accelerare la rotazione degli investimenti dal Metaverso all’intelligenza artificiale, con un impegno complessivo di 33 miliardi di dollari. Numeri alla mano, la stima di 300 miliardi di dollari di investimenti previsti al 2025 è già oggi superata e dovrà essere rivista al rialzo.
È una partita che mette in gioco investimenti senza precedenti, destinata a cambiare l’assetto dell’economia globale come mai si è verificato in passato. L’effetto di propagazione coinvolge settori chiave che destinati ad essere al centro di nuovo ordine mondiale, come quello della produzione dei microprocessori di nuova generazione (GPUs, Graphic Processing Units), creando di per sé una nuova asset class in cui player come NVIDIA da sola capitalizza piu’ di 1 trillion US$.
In Germania, solo nel corso degli ultimi mesi, sono scesi in campo i protagonisti di questa transizione su scala globale come Intel, TSMC e Global Foundries: la prima ha annunciato di investire 30 miliardi di dollari in una nuova giga-factory a Magdeburgo, TSMc si è impegnata per un investimento complessivo di 11 miliardi di euro a Dresda, e Global Foundries ha annunciato ieri un investimento di 8 miliardi di dollari sempre nella città di Dresda. In totale, siamo vicini alla soglia di 50 miliardi di dollari solo nel corso dell’ultimo trimestre: il tutto è stato reso possibile grazie all’intervento del Governo tedesco che ha messo a disposizione aiuti ed incentivi per 20 miliardi di euro.
Non è poco, e non dovrebbe essere una sorpresa: è piuttosto una conferma che in questa fase di rapido cambiamento la geopolitica torna al centro e rimette in gioco il ruolo determinante delle politiche industriali. È stato così anche in passato ed è bene non dimenticarselo: non dovrebbe essere una novità, e sarà bene farci l’abitudine, perché mercati ed investitori da parte loro si sono già riposizionati, senza perderci troppo tempo.
Il rischio per l’Europa è che ogni Paese faccia i conti in casa propria sulla base di interessi di parte e decida di muoversi senza un necessario coordinamento a livello europeo: muovendosi in ordine sparso si rischia di andare incontro ad una polverizzazione e frammentazione degli investimenti che non porta da nessuna parte. I numeri in gioco sono troppo importanti per magnitudo e non lasciano margini di recupero.
Un effetto non secondario l’ha provocato il rapporto pubblicato in questi giorni da Capital Economics che è finito sul tavolo degli investitori e delle cancellerie europee.: offre un anticipo del mondo che verrà, un quadro di come sono destinati a cambiare gli assetti dell’economia su scala globale, per l’impatto selettivo dell’Intelligenza artificiale Paese per Paese. Ne emerge un legame sempre più stretto fra intelligenza artificiale, produttività e crescita economica:. Le politiche industriali dovranno essere aggiornate per fare fronte a questa nuova sfida e dovranno farsene carico in termini di priorità.
Il ranking non lascia margini di interpretazione: ai primi posti, in termini di “boost” alla crescita dell’economia, ci nell’ordine sono: 1. Stati Uniti, 2. Singapore, 3.UK, 4. Svizzera e 5. Svezia. Su 33 Paesi analizzati, la Cina sorprendentemente ed in controtendenza rispetto alle previsioni si colloca al diciottesimo posto: l’Italia al venticinquesimo, preceduta nell’ordine da Germania (12o), Francia (20o), Spagna (24o).
Le statistiche sono utili, ma non indicano un destino ineluttabile: è meglio non trascurarle, perché danno un quadro delle linee di tendenza che orientano a tendere le scelte di mercati ed investitori. La sfida oggi è la velocità del cambiamento legata all’impatto trasversale dei Large Language Models (LLM). Di certo c’è solo che la partita è appena iniziata e che non c’è tempo da perdere: il futuro è già alle porte.
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