5G, Regione Toscana: ‘Al via studio biennale sul rischio tumori in 6 città’. Ma troppo limitato, che valore può avere?

  ICT, Rassegna Stampa
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Uno studio per capire quale sia il reale impatto dei campi elettromagnetici sulla popolazione toscana, se i nuovi impianti 5G per la telefonia possono essere in grado di causare malattie e, nel caso, quali e per chi. Come riporta La Repubblica, è questo il contenuto di una delibera approvata dalla giunta regionale lo scorso 16 settembre e che porta il nome di “Progetto campi elettromagnetici”.

Un atto che riguarderà “situazioni di criticità nelle 6 città da circa 100 mila abitanti in su, cioè Firenze, Prato, Livorno, Pisa, Lucca e Arezzo”, che ha visto stanziare 220mila euro da parte della Regione su proposta dagli assessori all’Ambiente Monia Monni e alla Sanità Simone Bezzini, a seguito dell’ordine del giorno del marzo scorso approvato dal Consiglio regionale per approfondire effetti dei campi elettromagnetici nella Regione Toscana.

Una campagna di ricerca teorica, statistiche, indagini, analisi sul campo e misurazioni anche con l’ausilio di nuova strumentazione che sarà acquisita da qui al 2026, anno in cui dovrebbe terminare lo studio che inizierà nel 2025.

Come si legge nella premessa, saranno effettuati “studi epidemiologici finalizzati alla stima di associazioni tra esposizione ai campi e insorgenza di malattie” che cercheranno di far luce sulla possibile correlazione tra campi elettromagnetici da 5G e “tumori infantili, leucemie, tumori del sistema nervoso centrale, linfomi non Hodgkin’s e casi di aborto spontaneo”. 

Non sono mancate le critiche, fra cui quella di Roberto Burioni, che su X ha detto la sua.

Pasquino (Federico II): ‘Mimit potrebbe avviare un monitoraggio nazionale’

“Ben venga il monitoraggio dei livelli di esposizione al campo elettromagnetico – dice Nicola Pasquino, Professore di Misure Elettriche ed Elettroniche, Università di Napoli Federico II – perché, oltre ad essere obbligatorio per legge, è utile a trasmettere ai cittadini informazioni certe sull’ambiente in cui vivono e ad intervenire rapidamente nel caso, per la verità raro, in cui vi sia un superamento dei limiti. La comunicazione dei risultati del monitoraggio, peraltro, può anche essere l’occasione per migliorare la conoscenza del fenomeno, degli strumenti di legge, delle metodologie di misura e di valutazione previsionale; per creare, insomma, maggiore consapevolezza. Il MiMIT potrebbe avviare un’iniziativa con queste finalità, magari insieme allo sviluppo di un sistema nazionale di monitoraggio”.
“Resto invece perplesso – prosegue Pasquino – sulla reale significatività scientifica di uno studio epidemiologico di durata così breve e condotto su un territorio così ristretto. Ben vengano tutte le attività di ricerca, sia chiaro, se però sono condotte con criteri solidi: sei città per intervallo di due anni restituiscono uno spaccato a mio avviso molto limitato – aggiunge Pasquino – Se proprio si vuole avviare una ricerca in tal senso, sarebbe opportuno valutare, tramite un coinvolgimento della politica nazionale, se non sia il caso di studiare il fenomeno su tutto il territorio nazionale e su intervalli più lunghi, affidando il coordinamento al Ministero della Salute e all’Istituto Superiore di Sanità. Voglio sottolineare però – conclude Pasquino – che ad oggi la scienza dice che non c’è nessuna evidenza certa che l’esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza causi o favorisca il cancro”.

Uno studio del genere, in sintesi, dovrebbe essere coordinato dal Ministero della Salute e dall’ISS, trattandosi di questioni di salute. Tra l’altro, ci sono anche tre progetti europei che stanno facendo la stessa cosa.

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