Il sistema produttivo italiano è ancora poco coinvolto nell’utilizzo di soluzioni di IA e anche il mercato del lavoro sembra essere poco esposto. Ma questa non è una buona notizia, perché la media di utilizzo dell’AI nelle nostre imprese nel 2023 secondo stime della Ue è pari ad al 5%, inferiore alla media Ue dell’8%. Ma va considerato che il lavoro in Italia è ancora poco digitalizzato ed è soprattutto per questo che la diffusione dell’AI non è troppo elevata nel nostro paese. E quindi è per questo che il lavoro da noi è meno esposto all’AI, perché la presenza del digitale al lavoro nelle nostre aziende è ancora indietro. Il digital divide si riflette così sull’AI divide. E’ quanto emerge da un’indagine condotta a titolo personale da tre ricercatori dell’ISTAT, Massimo Armenise, Luigi De Iaco e Marianna Mantuano, e appena presentata in occasione della Conferenza Nazionale di Statistica sotto forma di poster.
Intelligenza artificiale e mercato del lavoro: prime evidenze. Scarica il poster in PDF
Svezia paese più esposto perché fra i più digitalizzati
Per dire, il paese europeo dove il lavoro è più esposto all’AI è la Svezia, uno degli stati membri dove la digitalizzazione del lavoro è più spinta. E questa esposizione non ha per il momento alcun tipo di connotazione, né positiva né negativa sulla perdita o sul guadagno di posti di lavoro. E’ ancora troppo presto per capire gli effetti reali sul mondo del lavoro legati all’avvento in massa dell’AI, che si realizzerà nei prossimi anni (clicca sull’immagine per ingrandirla e rimpicciolirla).
Un altro aspetto assodato è che l’AI porterà certamente una maggiore produttività e profondi mutamenti nel panorama del lavoro. “Sono sempre più numerosi gli studi che cercano di approfondire il fenomeno, di misurarlo e di stimarne gli effetti (FMI 2024, OECD 2024). Anche in Italia è necessario avviare un processo di analisi e monitoraggio sull’uso dell’IA nel sistema produttivo e nel mercato del lavoro, affinché non diventi uno strumento per la creazione di nuove disuguaglianze”, si legge nel lavoro dei tre ricercatori dell’ISTAT.
Trend, le aziende che investono di più in AI assumono di più
“Il Censimento permanente delle imprese 2023 permette di effettuare ulteriori analisi sull’uso delle soluzioni di IA nel sistema produttivo italiano, da cui si evince:
- le imprese che hanno adottato soluzioni di IA, lo hanno fatto scegliendo in modo preponderante (60%) esclusivamente una sola tipologia di soluzione di intelligenza artificiale (complessivamente si arriva al 94% con al più 3 scelte), specificamente collegata al business dell’attività economica;
- una maggiore propensione ad assumere risorse umane da parte di quelle imprese che hanno adottato soluzioni di IA;
- un più elevato livello di produttività del lavoro per quelle imprese del manifatturiero che hanno adottato soluzioni di IA (in tutti i settori ad eccezione del Chimico e del Farmaceutico)”.
La classifica delle professioni più o meno esposte all’AI
Per quanto riguarda la classifica dei lavori più esposti all’AI, la maggior parte riguarda attività legate all’ingegneria e alla tecnica, compresi i manager dell’informazione (leggi giornalisti e professionisti della comunicazione). E ancora, i manager del settore alberghiero, gli amministrativi, gli operai specializzati in impianti elettrici ed elettronici. Quelli meno toccati, al contrario, sono i cuochi, gli operai che lavorano su strada, gli addetti alle pulizie, i venditori, gli agricoltori. Di seguito il ranking completo (clicca sull’immagine per ingrandirla e rimpicciolirla).
Il fatto che un lavoro sia esposto all’Intelligenza Artificiale non significa che sia per forza a rischio, anche perché l’avvento dell’AI presupporrà una trasformazione radicale di diversi mestieri.
Conclusioni
Premonitrice la conclusione dello studio: “il sistema produttivo italiano è ancora poco coinvolto nell’utilizzo di soluzioni di IA e anche il mercato del lavoro sembra essere poco esposto, pur segnalandosi un crescente coinvolgimento. Tale risultato preliminare, se da una parte potrebbe rassicurare dai possibili rischi di perdite occupazionali nel breve periodo, dall’altra potrebbe però essere un’occasione persa per provare ad incrementare la produttività e la competitività delle imprese nel medio lungo termine e divenire un nuovo strumento di disuguaglianze territoriali”.
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