Algoritmi e “human replacement”, il fattore umano piegato alle procedure digitali

  ICT, Rassegna Stampa
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Forse le grandi aziende informatiche si sono ispirate a Friedrich Nietzsche che in Così parlò Zarathustra scriveva «La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo» e quindi da tempo stanno pensando a una transizione verso il post-umano che prevede la sostituzione degli esseri umani con nuovi esseri digitali che completeranno la fase di “human replacement” già in atto, come dimostra il grande sviluppo della robotica e dell’IA.  Ma questa tendenza rischia di creare grandi danni a chi vuole rimanere umano ma ogni giorno è costretto a piegarsi ai rigidi processi algoritmici che non tengono conto del fattore umano.

L’incessante sviluppo e il successo delle innovazioni tecnologiche ci offrono soluzioni efficaci per risolvere molti problemi quotidiani e ci semplificano tante funzioni determinando cambiamenti profondi nella vita di ognuno di noi. Allo stesso tempo, il forte avanzamento tecnologico, con valori di accelerazione trasformativa molto elevata, rischia di determinare per gli esseri umani una involuzione negativa che potrebbe portare  alla perdita dei caratteri essenziali e distintivi della specie umana. Caratteri e elementi naturali e culturali che si esprimono attraverso sentimenti di comprensione, di indulgenza, di empatia, di flessibilità e di adattività, elementi fondamentali della nostra umanità.

Infatti, se riflettiamo sull’impatto che i sistemi automatici stanno avendo sull’intera società, possiamo notare come stia avvenendo un processo di “human replacement” non soltanto nel mondo del lavoro, dove le macchine digitali e i robot svolgono molti compiti che fino a poco tempo fa erano esclusiva dei lavoratori umani, ma anche nelle scelte quotidiane, nelle relazioni, nelle decisioni piccole e grandi, fino alle emozioni. La sostituzione dei lavoratori in carne e ossa con i robot sta avvenendo sempre più velocemente e, insieme ai benefici per le imprese e per i sistemi produttivi, sta aprendo grandi problemi di tutela del lavoro e dei diritti dei lavoratori stessi. Se non bastasse quello che avviene nel mondo del lavoro, per comprendere la dimensione dei cambiamenti occorre notare che la sostituzione della componente umana si sta facendo strada in settori della nostra vita che non riguardano soltanto il mondo della produzione.

Sempre più spesso in molte funzioni e in tanti momenti quotidiani si avvertono perdite di caratteristiche umane a favore delle procedure automatiche che ci obbligano ad azioni e interazioni che per molti di noi non sono naturali e ci pongono nuove difficoltà. Questo avviene non soltanto nelle nostre interazioni digitali con la Rete, con le sue applicazioni e con i suoi contenuti, non soltanto lavorando con i computer a casa o in ufficio, ma in tante azioni che compiamo, ad esempio mentre facciamo il pieno di carburante al self-service, quando dialoghiamo online con amici o parenti, quando usiamo una carta di credito per acquistare da un distributore automatico, nelle riunioni e nelle lezioni online, quando siamo costretti a dialogare al telefono con un risponditore automatico, quando dobbiamo uscire da un parcheggio a pagamento e il lettore ottico si rifiuta di riconoscere lo scontrino stropicciato. In pratica tutte le volte che le nostre azioni devono adattarsi alle richieste di un algoritmo che è stato costruito seguendo la logica esclusiva della razionalità operativa, rispettando soltanto essa e dimenticando che deve interagire con un essere umano.

In breve, le relazioni algoritmiche stanno sostituendo le relazioni umane certamente cercando di ridurre o eliminare le loro imperfezioni, ma anche eliminando la loro flessibilità, la loro capacità di comprendere lo stato d’animo dell’interlocutore, la loro dialettica legata alla natura umana. Nonostante i tanti studi che si stanno facendo sulle forme migliori di interazione tra le persone e la macchine, al momento sono gli esseri umani a doversi adattare alle modalità di interazione automatiche delle macchine (che spesso sono troppo rigide e impersonali) e non viceversa. Il sempre più largo uso di applicazioni della cosiddetta “intelligenza artificiale” contribuisce a complicare il quadro estendendo gli ambiti in cui i computer svolgono azioni che prima erano esclusiva delle persone e costringendo sempre più individui a doversi relazionare con procedure algoritmiche che hanno poco di umano.

Dunque, le macchine espandono le loro funzioni e il loro perimetro di azione e, allo stesso tempo, acquisiscono maggiori capacità razionali e funzionali, sottraendo agli umani ruoli e autonomia. In altri termini la tendenza è alla sostituzione dell’umano invece che alla sua assistenza per il rafforzamento delle sue possibilità. Dobbiamo quindi prendere atto che in questa fase storica, la delega di tantissime azioni e ruoli al digitale ci aiuta molto ma ci toglie autonomia decisionale, aliena funzioni umane, deforma le interazioni anche sul piano emotivo, non soltanto manuale e intellettivo. Insomma, mentre ci facciamo aiutare dalle macchine che mancano di umanità perdiamo autonomia, libero arbitrio, capacità della maturazione delle abilità di dover scegliere, impoveriamo la nostra capacità dialettica, la flessibilità delle nostre interazioni quotidiane.

Gli esempi che si potrebbero fare sono tantissimi: oggi molti algoritmi decidono chi deve essere assunto dalle aziende, stabiliscono la cura migliore da adottare per un paziente, suggeriscono se uno studio legale deve o meno patrocinare una causa o assistere un cliente. Addirittura sono in circolazione diverse applicazioni software che insieme ai giudici stabiliscono i colpevoli e le condanne nei giudizi in tribunale. Molti altri casi di “human replacement”, che mostrano come le macchine stiano rubando spazio, discrezionalità e potere agli esseri umani, potrebbero essere elencati e discussi. Tutti mostrano come sempre di più stiamo adeguando le nostre sensibilità e le nostre emozioni alle procedure algoritmiche. Perdiamo umanità, empatia, gradi di libertà mentre aumenta la nostra ansia, il nostro sentirci inermi, elementi non più al centro delle decisioni e delle relazioni.

Tutto questo ha generato una nuova forma di analfabetismo emotivo che gli studiosi chiamano alessitimia digitale, cioè incapacità di riconoscere e gestire le emozioni e l’affettività causata dalla interazione e dalla mediazione rigida delle macchine, limitata dai loro algoritmi che le guidano forzando le nostre comunicazioni con esse e quelle interpersonali cha transitano attraverso le nuove tecnologie. L’interfaccia digitale non richiede un coinvolgimento diretto e libero degli interlocutori, forza le forme e i modi e agisce da filtro trasformando le nostre forme espressive e le emozioni fino a generare “maschere virtuali” che soprattutto i giovani indossano sulla spinta dei mezzi digitali che usano frequentemente.

Gli scenari descritti e che ognuno di noi in tutto o in parte vive quotidianamente,  come qualcuno ha scritto, rischiano di portarci in breve tempo dentro la cosiddetta “Turing trap”, la trappola di Turing che nasce dall’assunzione che l’intelligenza artificiale potrà raggiungere o addirittura superare le capacità umane e quindi le macchine intelligenti invece di migliorare e valorizzare le funzionalità umane debbano mirare a sostituire le persone, non soltanto nel lavoro ma nel ruolo di individui, di cittadini. Questa linea di pensiero è sposata da grandi società digitali e viene frequentemente veicolata sui nuovi e sui vecchi media come fosse un desiderio affascinante. Invece, di fatto queste tendenze mostrano come il problema del rapporto con l’accelerazione digitale del mondo non è limitato alla sostituzione degli esseri umani nelle mansioni lavorative ma arriva a poter credere di limitare il loro ruolo, quello della componente umana sulla Terra che finora ha deciso, nel bene e nel male, i destini del mondo ma che in futuro potrebbe perdere questa posizione e insieme ad essa la sua stessa natura umana.

I processi che stanno avvenendo sono complessi e per alcuni aspetti non sono governati, se non dalla logica economica del profitto. Eppure, per capire e agire di fronte alla nuova complessità del mondo serve educazione e conoscenza da parte di tutti per poter fare fronte a queste storiche trasformazioni e da parte degli specialisti serve anche una modalità diversa di progettazione e realizzazione dei sistemi digitali. Servono modi umani di interazione dei loro algoritmi con noi persone fatte di carne e ossa, di senso e sentimenti, che troppo spesso veniamo considerati utenti che si devono piegare alle loro logiche già predefinite. Logiche cristallizzate nel loro codice e incapaci di adattarsi all’umano, alla sua cultura, alle sue emozioni che sono il prodotto di millenni di evoluzione e che non possono essere spazzati via in pochi anni da una potente e sofisticata tecnologia che deve servire a migliorare la nostra vita non ad annullarla.

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