Anonymous buca Epik, la società di hosting che ospita Parler e gli altri social sovranisti pro Trump

  ICT, Rassegna Stampa
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Anonymous ha bucato le infrastrutture di Epik, l’azienda sui cui server sono ospitati molti social a favore di Trump, come The Donald, e dell’estrema destra, tra cui Parler, ma anche Gab e 8chan.

L’operazione di hacking, che sulla base dei dati forniti sarebbe avvenuta lo scorso 28 febbraio, è stata confermata sul forum degli attivisti 4chan. A parlarne per primo è stato il giornalista statunitense Steven Monacelli, con il post condiviso su Twitter e allegato di seguito, che fa riferimento alla Operation Epik Fail messa a segno dal gruppo, portando alla sottrazione di dati relativi a un intero decennio.

Anonymous ha affermato che la perdita contiene i dettagli di ogni dominio ospitato o registrato dall’infrastruttura e ha esortato giornalisti, attivisti e ricercatori di sicurezza a setacciare la fuga di informazioni, per favorire le indagini su attività terroristiche e filo-naziste. Una copia dei dati sottratti è attualmente distribuita tramite il portale di giornalismo investigativo indipendente DDoSecrets, un progetto diventato famoso per aver diffuso BlueLeaks, una raccolta di 296 GB di dati interni delle forze dell’ordine statunitensi ottenuti e trapelati da Anonymous nel giugno 2020 a seguito delle proteste Black Lives Matter.

Questa volta l’hack, dal nome in codice EpikFail, fa parte di #OperationJane, una campagna volta a protestare contro la legge del Senato del Texas recentemente approvata, che limita severamente il diritto all’aborto delle donne. Prima dell’azione contro Epik, il gruppo aveva preso di mira il sito web del partito repubblicano del Texas, che ha contribuito, con i suoi voti, al passaggio della legge statale sull’aborto.

Parler: cos’è e come funziona

Fondato nel 2018 da due imprenditori informatici statunitensi John Matze e Jared Thompson, Parler (dal francese parlare) è un social network senza censura che tratta di politica, sport e intrattenimento. 

Il social sembra aver acquisito una certa fama soprattutto tra gli attuali esponenti di destra americani che l’hanno considerato una valida alternativa a Twitter. Il modello del social infatti appare molto simile a quello di Twitter ma con la netta differenza che Parler si autoproclama social senza censura e a favore della libertà di parola.

Così come su Twitter, anche su Parler, si possono pubblicare messaggi fino a mille caratteri, “votando” o condividendo con i propri follower quelli degli altri.

I termini di servizio sui contenuti permessi sono un po’ vaghi e contraddittori, ma in generale la politica di Parler è di non rimuovere né segnalare quelli che diffondono bufale, lasciando semmai il compito di smentirle agli altri utenti.

A testimonianza di ciò, le parole del senatore statunitense Ted Cruz che si dichiara orgoglioso di farne parte “Parliamo liberamente e mettiamo fine alla censura della Silicon Valley”. Il social network lo scorso giugno ha pubblicato una vera e propria dichiarazione di indipendenza di internet contro il “tecnofascismo” e i tiranni della tecnologia come Twitter, colpevoli, secondo la dichiarazione di indipendenza, di calpestare le libertà degli individui attraverso le censure e accusandoli di non essere più una piazza per il popolo ma soltanto degli editori.

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