Arte e displacement all’Istituto Europeo di Design di Roma

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Roma – Dal 22 al 26 marzo l’Istituto Europeo di Design (IED) di Roma ha interrotto la didattica curricolare per offrire a tutti i suoi iscritti una settimana di workshop artistici volti alla contaminazione delle discipline. I prodotti di questi incontri laboratoriali verranno presentati il 31 marzo alle 18 in una rassegna collettiva in live streaming sulla pagina Facebook IED Roma e sul canale YouTube IED. All’evento prenderà parte anche Derrick de Kerchove, sociologo e maestro della cultura digitale.

Il progetto IED Factory arriva nel 2021 alla sua XII edizione, ma è la prima fortemente condizionata dalla distanza e dal digitale. Non a caso, il tema fortemente voluto per quest’anno e che ha rappresentato la linea guida dei 5 giorni di kermesse artistica è quello del displacement, su cui studenti e studentesse sono chiamati a riflettere. Numerosi sono i maestri che guideranno i giovani artisti dello IED: dal Matteo Basilé, che realizzerà con i partecipanti dei tableaux vivants digitali; a Raoul Paulet, regista, che condurrà lo sguardo degli alumni IED oltre l’inquadratura; fino al duo creativo Quiet Ensemble, che ragionerà invce sulle parti minime della realtà materiale grazie al microscopio elettronico.

Se ne è parlato con Laura Negrini, architetto dalla formazione e dalla carriera internazionale, dal 2019 direttrice dello IED Roma.

Torna l’appuntamento con IED Factory. Come è cambiata l’organizzazione dell’evento?

IED Factory è un appuntamento importante per l’esperienza formativa della nostra scuola, che si compone di 14 diversi corsi triennali. Ogni anno, a metà semestre, la didattica tradizionale si interrompe per offrire agli studenti un’esperienza laboratoriale che verte su un tema di ricerca comune, e coinvolge circa 15 artisti e professionisti esterni alla scuola che presentano dei programmi di lavoro a cui gli studenti si iscrivono liberamente, creando gruppi di lavori totalmente trasversali.

Negli ultimi anni l’evento, giunto alla sua dodicesima edizione, si è sviluppato in due direzioni: da un lato è stato dato un ruolo centrale all’arte, capace di misurare il progettista con esperienze inattese, sfidare i propri limiti rispetto a un contesto in continuo cambiamento, momento fondamentale per un progettista contemporaneo. Il secondo aspetto importante è stato l’impegno nel condividere l’esito (intenso) di queste sperimentazioni con l’esterno, promuovendo l’evento finale di presentazione all’interno di importanti realtà museali della città di Roma.

Quest’anno anche IED Factory si è dovuto riadattare alle circostanze. L’edizione si concluderà il 31 marzo con una rassegna video in live streaming.

La condizione di displacement ha delle effettive potenzialità sulla formazione dei nuovi creativi?

Il displacement è una condizione del nostro presente, ma lo sarà anche del nostro futuro. Contiene grandissime potenzialità al proprio interno perché permette di valorizzare e creare sinergie tra contesti culturali e punti di vista molto lontani. Displacement è anche spaesamento, e questa è una condizione vitale imprescindibile per la formazione del giovane professionista creativo di oggi. È quello stato che ti permette di allontanarti per il tempo che ti serve dalla realtà e riconoscere cose che sono già lì, ma gli altri non vedono.

A cosa stanno lavorando i ragazzi?

Difficile dirlo, la cosa interessante di questa edizione di IED Factory è che le regole del gioco sono così cambiate che delineare i profili della sperimentazione è impossibile. Sarà una vera sorpresa, questa è la sfida.

Cosa accadrà nell’evento finale del 31 marzo?

L’evento consisterà nella presentazione pubblica degli esiti di questi laboratori: 22 video di 59 secondi che verranno proposti in successione, interrotti solo da sintetiche introduzioni da parte degli artisti e dei professionisti che hanno accolto la sfida di guidare questi gruppi composti in modo libero da studenti di Design, Moda, Comunicazione e Arti Visive. Una vera polifonia di sguardi, in cui non ci aspettiamo sia possibile orientarsi, quanto piuttosto interessante perdersi. Il contributo finale di un autorevole critico, come il sociologo Derrick de Kerckhove, che sarà nostro ospite, concluderà la rassegna con un momento di riflessione sul tema del displacement e del concetto più ampio di relazione a distanza, in un’ottica di prospettiva futura per la società in cui già viviamo.

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