Un miracolo? No. È bastato imporre ai suoi assicurati l’uso di software di sicurezza per eliminare le vulnerabilità dei sistemi IT.
A volte gli esperti di sicurezza vengono accusati di sembrare un disco rotto, soprattutto quando richiamano le aziende a implementare una pianificazione nelle strategie di cyber security. Come dimostra la vicenda di Corvus, però, gli esperti di sicurezza hanno ragione da vendere.
Corvus è una società di assicurazione contro i rischi cyber, un settore che ha vissuto un’ampia crescita negli ultimi anni e che vede nei ransomware il maggior numero di eventi dannosi per i loro assicurati.
Per limitare il numero di incidenti ed evitare di trovarsi a dover pagare continuamente risarcimenti ai suoi assistiti, dalle parti di Corvus hanno pensato bene di agire in un’ottica di prevenzione, cercando di individuare il modus operandi più comune dei pirati e mettendo in campo delle contromisure per mitigare il rischio di attacchi ransomware.
Sorpresa: non è stato per niente difficile. Analizzando le statistiche delle società di sicurezza e i documenti pubblicati da varie agenzie, emerge infatti come la maggior parte degli attacchi segua uno schema piuttosto definito e che il vettore di attacco più comune sia l’utilizzo di collegamenti RDP (Remote Desktop) che vengono compromessi per ottenere l’accesso alla rete.
Corvus ha quindi modificato le sue policy per gli assicurati prevedendo una scansione di sicurezza con un software fornito dalla società stessa, chiamato Corvus Scan 2.0. Il programma consente di individuare i server RDP esposti, così come impostazioni errate o vulnerabilità a livello di rete.
Risultato: dall’introduzione delle nuove policy (lo scorso aprile) a oggi i clienti di Corvus hanno subito un numero di attacchi ransomware inferiore del 65% rispetto al periodo precedente.
Nel comunicato stampa, viene spiegato anche che i clienti che hanno adottato le nuove policy non hanno subito alcun attacco ransomware attraverso la violazione di sistemi RDP.
L’elemento sconcertante è che le aziende abbiano applicato una verifica della cyber security solo quando sono stati obbligati a farlo dal loro assicuratore. Evidentemente c’è ancora da lavorare parecchio su quella “cultura della sicurezza” di cui gli esperti continuano a parlare.
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