Clima: sempre più caldo se non agiamo e danni globali per 5 trilioni di dollari entro il 2050. Lo studio

  ICT, Rassegna Stampa
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Se non interveniamo subito i danni saranno irreparabili. Quante volte abbiamo ascoltato questo monito dai politici di turno? I cambiamenti climatici sono inarrestabili, esattamente come le conseguenze sulla nostra economica, le nostre infrastrutture, le aree urbane e la nostra stessa vita.

La pandemia di Covid-19 ci ha messo in allarme, l’impensabile si è materializzato con tutta la sua capacità distruttiva, in termini di vite umane portate via, di misure fortemente restrittive le libertà personali per tentare di contenere il dilagare dei contagi, di effetti recessivi sull’economia, di danni all’industria e alle reti di approvvigionamento di merci e componenti chiave.

Cambiamenti climatici e recessione globale, lo studio

Secondo una ricerca Oxfam, condotta assieme allo Swiss Re Institute, se davvero non interverremo con maggiore decisione e rapidità nel contrastare i cambiamenti climatici, è probabile che le economie dei Paesi più avanzati si ridurranno più del doppio di quanto accaduto con la pandemia di Covid-19.

Complessivamente, lo studio ha stimato un danno economico ai Paesi del G7 (Regno Unito, Stati Uniti, Giappone, Canada, Francia, Germania, Italia) pari a 5 trilioni di dollari (5.000 miliardi di dollari), con una riduzione media del PIL nazionale attorno al -8,5% l’anno, entro i prossimi 30 anni, contro il -4,2% di contrazione frutto dell’impatto del virus.

Tutto questo perché le nuove proiezioni sull’aumento della temperatura media a livello globale indicano, come nuovo livello dell’asticella, un +2,6°C entro il 2050.
In questo scenario (che non è neanche il peggiore) il Pil mondiale si ridurrebbe del 14% nei prossimi 30 anni.

In base a questo risultato, ad esempio, l’economia del Regno Unito si contrarrebbe del 6,5% l’anno, l’economia dell’India del 25% l’anno, l’economia dell’Australia del 12,5%, la Corea del Sud del 20% circa, gli Stati Uniti del 10% e l’Unione europea nel suo insieme dell’11%.

Fondamentale agire subito per limitare i danni, verso la COP26 di Glasgow

“Rimanere fermi dove siamo ora non ha senso, il surriscaldamento globale è la minaccia principale all’economia globale nel prossimo futuro, abbiamo bisogno di progressi più consistenti, che non significa solo ridurre le emissioni di CO2, ma anche aiutare i Paesi in via di sviluppo e più fragili nel proseguire sulla strada della sostenibilità ambientale”, ha dichiarato Jerome Haegeli, capo economista Swiss Re.

La Gran Bretagna, in vista della COP26 di Glasgow di novembre, ha chiesto a tutti i Paesi del mondo di accelerare nel processo di transizione ecologica, al fine di rispettare gli impegni presi a Parigi nel 2015 per limitare il riscaldamento globale ad una soglia inferiore ai +2°C, diciamo per rispettare il fatidico obiettivo di non superare i +1,5°C.

Traguardi che secondo molti esperti e studiosi non sono più realizzabili, ormai, a causa di un trend di emissioni di CO2 che purtroppo non cenna a fermarsi e che anzi aumenterà l’indice di concentrazione a causa di un aumento di consumo di combustibili fossili, principalmente carbone da parte di diversi Paesi, tra cui la Cina e diverse nazioni dell’Europa dell’Est.

Di questo si è parlato durante il summit G7 di Londra, con un’intesa di massima per gli investimenti verdi e i piani d’azione per il contrasto ai rischi climatici, soprattutto per le aziende e le corporation, con gli investitori che vogliono più informazioni sui possibili idanni dei cambiamenti climatici a livello economico, ambientale, infrastrutturale e sociale.

Le multinazionali dovranno essere più trasparenti nelle loro strategie di investimento green e sulle politiche ambientali, con particolare attenzione agli impegni nella riduzione delle emissioni di CO2 e per il raggiungimento della neutralità climatica.

Aiutare i Paesi più poveri nella transizione green

In aiuto delle economie in via di sviluppo e più deboli, i ministri delle Finance del G7 hanno preso anche un impegno di massima (tutto da verificare, come gli altri) per mobilitare circa 100 miliardi di dollari all’anno proprio per favorire la transizione ecologica anche in questi territori con capacità economiche minori, ma allo stesso tempo tra i più esposti ai fenomeni meteo più estremi.

Il prossimo tavolo attorno cui siederanno i capi di Stato de G7 e i loro ministri per affrontare gli argomenti più urgenti, in termini di progetti, iniziative e risorse finanziarie da mobilitare contro i cambiamenti del clima e per evitare i danni peggiori, sarà il summit di Carbis Bay, in Cornovaglia, che partirà il prossimo 11 giugno.

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