Come finisce con Autostrade? Serve sicurezza, competenza sul settore, rispetto dei consumatori

  ICT, Rassegna Stampa
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Si è aperto qualche giorno fa un nuovo capitolo nella vicenda Autostrade. Un capitolo nuovo che chiude, almeno temporaneamente, il conflitto generato dal crollo del Ponte Morandi, con i suoi 43 morti ed uno scontro politico-giudiziario che è ben lungi dall’essere concluso, nonostante le apparenze. Un dossier complesso giunto alla cessione della quota di Atlantia in Aspi al consorzio (HRA – Holding Reti Autostradali) costituito da Cassa Depositi e Prestiti (CDP, al 51%) e da due fondi extraeuropei, l’americano Blackstone e l’australiano Macquarie, ambedue al 24,5%.

E allora partita conclusa, si potrebbe dire, dopo oltre 22 anni di privatizzazione della infrastruttura e 11 mesi di guerra finanziaria legata alla uscita del gruppo Benetton? Non è ancora detto, perché, a ben vedere, la partita sembra rimanere ancora aperta, nonostante le operazioni di signing tra le parti, che calendarizza la cessione delle quote ai primi mesi del 2022.

Autostrade: fuori i Benetton

Veniamo ai fatti. Innanzitutto fuori i Benetton e gran rientro dello Stato e dei fondi internazionali. Il Comunicato Stampa n.56 del 14 luglio 2020 della Presidenza del Consiglio, relativamente ai punti relativi all’assetto societario auspicato, parla di “…cessione diretta di azioni ASPI a investitori istituzionali di gradimento di CDP, con l’impegno da parte di Atlantia a non destinare in alcun modo tali risorse alla distribuzione di dividendi…”.

Purtroppo, nonostante si tratti di vicende che riguardano società quotate in Borsa e scelte pubbliche che avrebbero bisogno di maggior trasparenza, nessuno sa chi abbia scelto i due fondi extraeuropei in questione, che affiancano CDP, né si sa quali siano stati i criteri adottati in tale scelta.

Ciò che appare vistoso è la sincronica ricorrenza della presenza del fondo australiano Macquarie anche in un altro dossier tra i più rilevanti, quello relativo ad Open Fiber, dove CDP si ritrova ancora una volta, e nello stesso lasso di tempo, fianco a fianco con lo stesso partner.

L’operazione, va ricordato, è stata quindi costruita nei dettagli dal precedente vertice di CDP. E il tutto è stato chiuso appena pochi giorni prima della scadenza del precedente mandato alla guida di Cassa, con decisioni sulle quali a metter la firma di suggello e ad assumersi ogni responsabilità sarà però il nuovo vertice aziendale di CDP che è subentrato appena pochi giorni fa, dopo l’uscita di scena del precedente AD.

Ma quali sono i veri numeri della partita?

Sull’intera vicenda pesano le cifre che contraddittoriamente vengono tirate in ballo, tra costi reali e costi futuri, tra cifre di risarcimento e necessità di investimenti per evitare nuove tragedie come quelle del Ponte Morandi. Si tratta di numeri che Francesco De Leo, proprio sulle pagine di questo giornale, ha indicato con valori del tutto differenti da quelli espressi dalla narrativa corrente, con una ricostruzione precisa e numeri che lasciano interdetti (vai a “Nodo Infrastrutture. F. De Leo: I veri numeri su Atlantia-Aspi? È una partita di oltre 40 Mld di euro”).

Autostrade: Stato sconfitto?

Il quadro che emerge non è quello di una soluzione del tutto a svantaggio dello Stato, che ne esce sconfitto per una serie di ragioni: sconta la mancata vigilanza da parte delle rappresentanze dei ministeri dei Trasporti e dell’Economia nel CdA di Atlantia e Aspi, la prassi dei rinvii di manutenzioni, l’allentamento dei vincoli sanzionatori, dovrà farsi inoltre carico dei risarcimenti il cui ammontare è ancora ignoto nelle sue cifre finali, dovrà registrare nei prossimi mesi un sensibile rincaro dei pedaggi a carico dei consumatori. E tutto questo con una cordata a controllo pubblico ce vede la presenza di due fondi internazionali che sono nella condizione di lasciare la partita in qualunque momento, indipendentemente dalle presunte volontà di operare come investitori di lungo periodo.

E per il futuro?

Un’ultima considerazione riguarda il futuro. I principali obiettivi, stando a quello che riportano i media, sono quelli di “contribuire alla realizzazione di un vasto piano di investimenti in tutta la rete autostradale…”, per “…agevolare la digitalizzazione e l’innovazione…” e “…e migliorare l’efficienza dei programmi di manutenzione dell’infrastruttura per garantire i massimi livelli di prestazione e sicurezza…”, secondo Andrea Valeri, presidente di Blackstone Italy. Mentre per Jiri Zrust, senior Managing Director di Macquarie “…è necessario un significativo aumento degli investimenti…”.

E da questo punto di vista non c’è da stare allegri, perché i rappresentanti sembrano guardare allegramente al futuro (forse alla Gronda di Genova o al Passante di Bologna), senza avere consapevolezza dello stato attuale della rete infrastrutturale delle autostrade e delle incredibili carenze manutentive che pongono un drammatico fattore di rischio sull’intero settore.

Ponti e viadotti in che stato sono?

Lo scorso 20 maggio vi è stata una desolante audizione dell’ing. Placido Migliorino, responsabile delle attività ispettive del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile (MIMS), resa alle Commissioni parlamentari riunite Trasporti e tlc, Lavori pubblici e Ambiente, per buona parte centrata sui sopralluoghi a campione di circa 200 viadotti ispezionati sulla rete autostradale.

Il 5% di essi è risultato oggetto di interdizione totale al traffico, mentre l’89% è risultato destinatario di misure di mitigazione del rischio, con interdizione dei mezzi pesanti oltre le 3,5 tonnellate, che vuol dire sostanzialmente l’intero parco viaggiante di mezzi pesanti, infine con un solo 6% dei casi per i quali non è stato necessario adottare alcun provvedimento. che pertanto, per dirla con le parole dell’ing. Placido Migliorino: “…si può dire che è presente un generale stato di degrado che, in alcuni casi come detto, ha reso necessaria l’attuazione di immediati interventi di mitigazione del rischio con restrizioni all’uso, nelle more di…progetti di ripristino e adeguamento definitivi, ovvero di demolizioni e ricostruzioni dei viadotti…”.

Una testimonianza che focalizza l’attenzione non solo sulla ingente quantità di risorse necessarie per il ripristino della rete, il che richiederà interventi per non meno di 3-4 anni, ma anche sul rischio concreto di nuove sciagure e crolli di ponti o viadotti che potrebbero verificarsi.

Resta da chiedersi se, per le ragioni sopra addotte, non ci possa essere un ripensamento.

Fermare le procedure in corso? Non si può ignorare l’opinione pubblica

Può darsi anche che ricorrano le condizioni per una immediata sospensione delle procedure di acquisizione, ovvero per una revisione dei termini di contratto in essere, reclamando le condizioni previste dalle procedure MAC (Material Adverse Change), dal momento che le dichiarazioni del capo del settore ispezioni del MIMS indicano l’esposizione di CDP al rischio di nuove drammatiche tragedie dovute alla scarsa manutenzione delle infrastrutture oltre ogni più fosca immaginazione.

E tutto ciò cade in un contesto segnato dalle dichiarazioni dell’associazione delle vittime del Ponte Morandi, in questi giorni mobilitati assieme ai rappresentanti politici genovesi di tutti i partiti, ma anche emotivamente scosso dalle recenti vicende della funivia del Mottarone, che è un ulteriore esempio di tragedia derivata da mancate manutenzioni, che nel caso delle autostrade vedono il rischio moltiplicato per effetto dell’elevato chilometraggio della rete e dell’altrettanto elevato numero di viadotti, ponti e gallerie.

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