Cop 29 “oltre” Baku ha molta strada da fare per obiettivi più ambiziosi e inclusivi: speranze deluse dopo trattative dure tra “paesi ricchi” e “paesi poveri” su soglie finanziarie degli aiuti e “mercati del carbonio”.
Delusione dei “paesi poveri” – i più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico prodotto prevalentemente dai “paesi ricchi” – che chiedono “compensazioni” proprio per fronteggiare i danni con una “finanza climatica” sostenibile per evitare la “sconfitta di tutti”.
Il primo oggetto del contendere è stato dunque il volume di investimenti atteso che da 100 mil.di/anno è salito a 300 fino al 2035 per convincere i paesi in via di sviluppo che però ne chiedevano 500 e forse si poteva fare di più visti i ritardi con un compromesso più “giusto”.
Un secondo oggetto sul tavolo dei 198 paesi partecipanti a Cop 29 dopo nove anni di trattative, è stata l’approvazione di nuove regole per il “mercato dei crediti di carbonio” con innovazioni (art. 6 Accordi di Parigi) dandogli struttura e trasparenza (registro e tracciabilità) che potrebbero togliere 5 mil.di/tonn di Co2 dall’atmosfera con compensazioni (più alberi). Un terzo oggetto, riguardava i “contribuenti”, ossia l’integrazione di paesi come la Cina e l’India e alcuni produttori di petrolio e gas del Medio Oriente nel sostegno alla finanza climatica.
Un cambiamento significativo rispetto agli accordi pregressi dove solo i paesi sviluppati erano obbligati a contribuire, allargando dinamicamente il campo di un “gioco più giusto” viste le crescenti interdipendenze tra eccedentari e deficitari nelle emissioni ed evitando di strangolare i paesi poveri con “meccanismi di prestito” troppo impegnativi. Tra gli elementi negativi – nonostante l’allargamento dei paesi “donatori” – è l’invarianza della massa complessiva dell’investimento a 1300 mil.di.
Egoismi prevalenti sulla auspicata cooperazione e in particolare sulla partnership pubblico-privato che doveva portare alla cifra attesa come minima dei 300 mil.di/anno pur distante dalla richiesta dei 500 mil.di dei paesi del Global South magari con anticipi (irrealistici?) degli obiettivi al 2030. Inoltre, scarsi i progressi sull’uscita dalle fonti fossili, viste le criticità urgenti di aumento delle temperature globali, delle emissioni di Co2, degli eventi estremi e delle migrazioni climatiche.
Dovuti a resistenze della Cina e dei paesi produttori di petrolio che decelerano l’uscita dal fossile e che un Trump “negazionista” rischia di rinforzare.
Un quadro tanto insoddisfacente da spingere alcune delegazioni a lasciare Baku in anticipo per protesta, mettendo a rischio la maggioranza dei 2/3 di voto dei 198 paesi iscritti per sottoscrivere gli Accordi che i paesi ricchi volevano bloccare alla soglia dei 250 mil.di/anno e che nemmeno un finanziamento aggiuntivo per i paesi più colpiti era riuscito a smuovere verso il consenso ai risultati finali.
Divisioni incrociate per risultati insoddisfacenti secondo molti osservatori. Eppure la chiave è lo sviluppo di incentivi e di regolazione per connettere investimenti pubblici e privati creando un’onda congiunta verso la sostenibilità dello sforzo di investimento per andare “oltre” i combustibili fossili coinvolgendo i paesi più poveri come ha affermato – pragmaticamente – anche il Ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin attorno ad un “compromesso minimo” però utile a spostare in avanti le risorse per sostenere lo “sforzo globale” a cui tutti devono contribuire, perché solo in questo modo potranno essere raggiunti risultati sistemici globali.
Per questi risultati di Baku solo il tempo dirà se sarà stato (appena) sufficiente o no, con una sfida che potrà essere vinta solo superando le divisioni tra ambientalisti e gradualisti (isolando i negazionisti), tra pubblico e privato e ancora una volta tra “paesi ricchi, emergenti e poveri”. Insomma, Cop 29 a Baku ha almeno mostrato la necessità di una “Nuova e Inclusiva Collaborazione Globale” per una sfida che è planetaria e nella quale non ci saranno vinti e vincitori ma solo sconfitti se non assumeremo tutti una superiore responsabilità e consapevolezza sul climate change.
L’Italia in questo impegno dovrà trovare le risorse per mantenere le promesse e contribuire con 4 mil.di di dollari/anno proprio agendo sulla leva congiunta pubblico-privato che potranno moltiplicarsi per 3-4 volte e coprire dunque il fabbisogno del prossimo quinquennio.
Supportando in questo modo i paesi più poveri a darsi condizioni interne utili ad attrarre “investimenti climatici” altrimenti rallenteremo mentre dovremmo accelerare. Questi risultati nei negoziati sul clima riflettono le difficoltà, le tensioni e l’instabilità globale che andranno ridotte per potere avanzare.
Evidente il lavoro da fare per raggiungere obiettivi più ambiziosi e inclusivi, ma certo le sedi di paesi produttori di petrolio forse non portano molta fortuna alle Cop e l’ONU dovrà considerare opportunamente anche altre sedi guardando ai paesi emergenti non produttori da coinvolgere direttamente “oltre” il potente lobbismo dei produttori per dare gambe e impulso agli obiettivi dalla prossima Cop 30 del Brasile per evitare il guado di una transizione incompiuta e ineguale con una Europa a difesa del Green Deal e delle traiettorie di decarbonizzazione nonostante le debolezze politiche.
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