Crisi di identità digitali: alla ricerca di un IO perduto

  ICT, Rassegna Stampa
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Oggi, il concetto di identità digitale è rientrato nell’esperienza quotidiana. Eppure, c’è un dilemma fondamentale: fino a che punto è – o dovrebbe essere – tutelata come diritto assoluto e indisponibile? Tutto sta nel definirla: prodotto riflesso o parte fondamentale dell’Io della persona?

Identità digitale: la frontiera di un nuovo “Io”?

“Chi sei tu? – disse il Bruco. Non era un bel principio di conversazione. Alice rispose con qualche timidezza. Davvero non te lo saprei dire ora. So dirti chi fossi, quando mi son levata questa mattina, ma d’allora credo di essere stata cambiata parecchie volte.”.

Al di fuori del Paese delle Meraviglie, sono innumerevoli i cambiamenti che subisce il riflesso del nostro Io quando si trova, vive e agisce all’interno del contesto digitale.  Ma se è chiaro che l’identità digitale proviene dalla persona, poco chiaro è, invece, il concetto in sé, di cosa rappresenterebbe.

Parlando dei diritti del sé, non ritroviamo una previsione normativa espressa che definisca cos’è – e se esista – questo diritto all’identità. È vero, tuttavia, che l’ordinamento giuridico non può e non deve normare ogni campo dell’esistenza dei singoli consociati, ma solo quelli necessari ad una corretta convivenza tra gli stessi. Ne consegue che uno Stato che volesse normare il concetto di sé, non permettendone la libera identificazione ed espressione al singolo, sarebbe un abominio concettuale. Una struttura terza, eterocostituita, desiderosa di normare e definire l’anima.

Tuttavia, al fine di tutelare l’individuo nelle proprie molteplici sfaccettature, è necessario, quanto meno e per sommi capi, definire il concetto di “identità” e, in questa sede, declinarlo  in rapporto alle  “briciole digitali di personalità” che ogni soggetto dissemina all’interno delle proprie attività sul web. E sono proprio quelle “briciole” che formano il nostro “Io digitale” o, come ama dire qualcuno, quel “gemello digitale” che nasce inevitabilmente dal dispiegamento della personalità del soggetto per il tramite della rete internet.  Ciò comporta che violare l’identità digitale – in quanto riflesso e riverbero dell’identità personale e ad essa intimamente legata – può portare a conseguenze profonde, persistenti e potenzialmente irreversibili.

La persona è dunque fulcro, fonte, causa e conseguenza dell’Io digitale. E quindi: fino a che punto può dirsi distaccato o distaccabile dall’Io considerato tout court? Ben poco, invero, quanto più la società evolve tecnologicamente e richiede sempre più frequenti interazioni mediate da strumenti digitali. Se al contrario si volesse ritenere possibile un distacco dell’Io digitale, ci si troverebbe innanzi al dilemma circa la tutela dell’integrità personale del soggetto cui tale Io fa riferimento. E ovviamente bisognerebbe collocare il punto fino a cui è possibile svolgere tale operazione di atomizzazione.

In entrambi i casi l’Io digitale è riflesso ed emanazione della persona umana. E con la persona interagisce.

Genesi giuridica dell’Io digitale

Il concetto di Io digitale non ha legislativamente una definizione. Essa si può ricavare, in via interpretativa, nell’alveo dei diritti della personalità; il diritto all’identità personale viene fondato sulla base dei diritti di libertà costituzionali che implicherebbero la pretesa di ciascun soggetto di essere rappresentato con la propria vera identità e di non vedere alterato, contestato o mistificato il proprio patrimonio intellettuale, nelle varie forme in cui esso può estrinsecarsi. Tale tutela, avrebbe il suo fondamento nell’art. 2 Cost.

Sul tema, la giurisprudenza ha individuato 3 aspetti fondamentali dell’identità personale:

  1. la sua natura omnicomprensiva della personalità del soggetto, ovverosia rappresentativa del suo patrimonio culturale, politico, morale ecc.;
  2. la sua oggettività, nel senso di corrispondenza fra comportamenti esterni al soggetto rilevabili e la rappresentazione della personalità; in altre parole, l’identità personale tutela quel che il soggetto risulta essere e non ciò che crede di essere;
  3. la sua esteriorità, in quanto l’idea caratterizza il soggetto all’interno di una comunità; la lesione può avvenire con un mezzo di comunicazione che alteri nei consociati la loro percezione della persona.

L’incontro dell’Io analogico con il mondo digitale, tuttavia, ne provoca inevitabilmente una frammentazione e parcellizzazione, che divide l’unitarietà in differenti sé espressi in diversi ambiti, sia a causa delle rappresentazioni che gli stessi individui propongono – come nella vita analogica – migliorate o declinate in base all’umore, al gruppo di riferimento o al trend espresso nella filter bubble, sia a causa delle raccolte di dati personali sempre più ampie, pervasive e specializzate, dalle molteplici finalità e ad opera di soggetti più vari. Si produce quindi una cristallizzazione della frammentazione dell’Io e un suo spossessamento: il frammento dell’Io analogico, rectius digitale, diventa – di fatto – una proprietà di un non identificato terzo che la userà per altrettanti non identificati scopi.

L’individuo quindi, di fatto, perde non solo il suo diritto all’unitarietà dell’Io ma anche all’unitarietà della rappresentazione dell’Io digitale; questo, infatti, risulta essere un’immagine, non solo parziale e non rappresentativa della persona nel suo complesso ma anche imprecisa, magari non aggiornata, oppure costruita sulla base di decisioni algoritmiche condizionate dalla finalità della raccolta o dai bias degli algoritmi stessi. Piace ricordare che l‘art. 9 – Diritto all’identità – della Dichiarazione dei Diritti di internet[1] infatti, esordisce chiarendo che “ogni persona ha diritto alla rappresentazione integrale ed aggiornata delle proprie identità in rete” e continua dichiarando che “l’uso di algoritmi e di tecniche probabilistiche deve essere portato a conoscenza degli interessati, che in ogni caso possono opporsi alla costruzione e alla diffusione dei profili che li riguardano”.

Modellazione dell’Io digitale

L’evoluzione dell’Io digitale avviene per effetto non solo di un’azione volontaria di costruzione o “ritocco” inteso in senso lato e fino alle più estreme conseguenze dell’esercizio effettivo del right to be forgotten, ma anche dalla mera partecipazione ad alcuni ecosistemi digitali. Luoghi che sono presidiati da regole di funzionamento dei software che li compongono e che influenzano non solo le scelte, ma anche l’apparenza delle stesse e il riverbero che producono a livello individuale. Insomma: se la realtà digitale può essere oggetto di modellazione, così lo è anche il soggetto in conseguenza dei suoi comportamenti che si riflettono all’interno di tali ambiti. A controllare le scelte e lo sviluppo del pensiero dell’individuo non è solo il luogo di funzionamento del software, ma anche i soggetti che governano quei sistemi in cui è inserita la stessa persona. Ne consegue che – come testimoniato dai vari casi di cronaca, uno fra tutti, quello relativo all’ affair Cambridge Analytica – le scelte del soggetto e del suo io analogico, possono venire influenzate da quelle dell’Io digitale e con esse viene dunque influenzata la realtà.

Arricchire o depauperare un Io digitale comporta conseguenze impattanti sulla vita personale che spaziano in più ambiti, fra cui ad esempio: attività economica, capacità cognitiva, libertà individuale, espressione di sé. E dunque la scelta di sistema incontra un bivio: lasciare che tutto venga autolimitato, e quindi il più delle volte l’azione di regolamentazione si pone in una linea temprale successiva a distorsioni e lesioni, oppure, prevedere un quadro generale di matrice preventiva, declinando principi e diritti già esistenti e adeguandoli al nuovo contesto. Ma ciò è possibile solo se si riconosce che dal vincolo di interazione fra Io analogico e digitale derivi una non separabilità degli stessi nell’ottica di garanzie e tutele.

Manipolazioni più o meno automatizzate sono, di fatto, delle interferenze nell’evoluzione della persona. Per quanto riguarda l’Io digitale è chiaro che alcune sono effetto intrinseco della partecipazione ad alcuni ecosistemi digitali fra cui rientrano ad esempio i social network. La ricerca di tutele in tal senso avviene con il rafforzamento delle garanzie di trasparenza, la previsione di poteri di intervento e controllo sui propri dati personali e la responsabilizzazione dei soggetti gestori che possono impostare e dare attuazione a funzioni e regole.

Un ambito da attenzionare particolarmente riguarda l’Io digitale dei soggetti vulnerabili, fra cui emblematicamente rientrano i minori. Elemento peculiare dei minori così come di altre categorie soggette all’altrui controllo e responsabilità è la precostituzione di un Io digitale ad opera di altri, soprattutto mediante sovraesposizione da social network. E dunque quanto va previsto e attuato deve essere un rafforzamento delle tutele non solo di carattere rimediale, nel momento in cui viene raggiunta la maggiore età, ma soprattutto di carattere preventivo nella limitazione di determinate azioni cui i minori sono soggetti, come, ad esempio, diventare protagonisti – più o meno volontari – dei canali social (e spesso, commercialmente sfruttati) da parte dei genitori.

Scenari futuri

Possiamo dunque sostenere che sia in corso una diffusa crisi di identità? Risalendo le radici etimologiche del termine κρίσις si ritrova il significato di separazione e scelta. E forse così è, poiché il ritrovamento di quell’Io che più che perduto si ritrova disperso nelle innumerevoli forme che può assumere attraverso gli specchi liquidi del digitale può avvenire solo con una scelta sistematica e di metodo. Avere innanzitutto consapevolezza del cambiamento in corso porta alla percezione di un’esigenza di riadeguare – o meglio: declinare – le tutele che l’ordinamento già prevede per i nuovi e futuri contesti che si profilano. Badando che la persona umana sia sempre il centro nevralgico di imputazione di diritti efficaci e mai assuma caratteristiche assimilabili in tutto o in parte a quelle di un prodotto. Educare ai rischi diventa così altrettanto fondamentale, in modo tale che le pretese dei singoli su diritti inviolabili possano avere dignità e trovino riscontri innanzitutto da parte dei decisori politici e di conseguenza dagli operatori di mercato che veicolano l’offerta dei servizi del web 3.0.

Affinché, la ricerca e tutela della propria dignità personale non diventi nel futuro, anch’esso, un diritto as a service.


[1] Si tratta di una Dichiarazione, elaborata dalla Commissione per i diritti e i doveri relativi ad internet a seguito di consultazione pubblica, audizioni e riunione della stessa Commissione del 14 luglio 2015

https://www.key4biz.it/crisi-di-identita-digitali-alla-ricerca-di-un-io-perduto/428108/