Dopo aver scritto nei due numeri precedenti per Visti da Vicino due ritratti di Rossana Rossanda e Giorgio Manganelli, Licia Conte ricorda in questo numero la figura di “Enzo Forcella, un grande maestro del giornalismo”, che è stato il suo direttore negli anni in cui era a capo di Radio Tre, fondatore nel 1976 di rubriche che persistono ancora sulla terza rete radiofonica della Rai a cominciare dalla lettura quotidiana dei giornali e dal successivo filo diretto con gli ascoltatori di “Prima Pagina”. Per Licia Conte è anche l’occasione come recita l’occhiello per rievocare “L’esperienza a Radio Tre prima della mia epurazione a Televideo”. “Che cosa disse il nostro nuovo direttore? All’incirca questo: noi siamo Radio 3, finora noto come Terzo Programma, siamo perciò la Rete della cultura. Ma dobbiamo capire che cosa oggi è la cultura e soprattutto qual è la nuova cultura. Ebbene, oggi noi siamo chiamati a dar conto delle nuove culture presenti nella società: la cultura delle donne e quella dei giovani. Faremo perciò una rete che al mattino si occuperà di donne, nel pomeriggio di giovani e alla sera daremo spazio a settori più tradizionali del mondo della produzione intellettuale. Nelle primissime ore del mattino si alterneranno a turno giornalisti per leggerci i quotidiani”. Licia Conte rievoca l’apertura al mondo giovanile “Facemmo un programma di giovani (e non per i giovani) e lo chiamammo Un certo discorso. Enzo, come ormai lo chiamavamo familiarmente, non faceva alcuna pressione, non esercitava nessuna censura preventiva. Il programma ebbe un successo enorme, quando ero di guardia al telefono facevo fatica a spiegare agli ascoltatori che no, non eravamo una radio libera, che eravamo proprio la radio di Stato. Forcella chiese poi alla giovane redattrice, rimasta urtata da un attacco subito sul Corriere della Sera da Enzo Biagi, di disegnare un programma ad hoc per le donne: “mi misi a pensare e a preparare un programma quotidiano che riuscisse a dar conto della nuova cultura delle donne, le quali del resto da qualche anno riempivano strade e piazze a Roma e nelle altre città italiane. Portai il progetto a Forcella. Lo approvò, ma mi chiese di fare un ultimo sacrificio: dovevo avviarlo, poi sarei stata libera di andarmene, magari aiutandolo prima a trovare una che mi sostituisse. Invece, Noi, voi, loro. Donna fu subito successo e io ne rimasi abbagliata. Rimasi a Radio 3, il direttore fu arcicontento”. Il programma restò a lungo sulla cresta dell’onda nonostante quella che Licia Conte chiama “l’attenzione dei partiti”. Qualche anno dopo nel 1982 Licia Conte fu costretta a lasciare la rete e venne trasferita al nascente Televideo: Ma portai via con me due cose importantissime. Una buona conoscenza della migliore cultura femminista, italiana e non solo. Portai via con me lezioni e lezioni di buon giornalismo. Ogni tanto qualcuno mi chiedeva, e qualcuno me lo chiede ancora, con quali criteri venivano da noi scelti ospiti e collaboratori. Mi stupivo e rispondevo: i migliori su piazza. Qualcuno mi chiede ancora come Forcella sceglieva i giornalisti di Prima Pagina. “I più bravi”, rispondo. E su questo non c’è discussione. Ma proprio questo non credo sia del tutto piaciuto alla nomenclatura dei partiti, che apparentemente punivano me, ma miravano a lui”.
Autorevoli governanti e politici mettono donne e giovani al centro dell’azione politica e qualcuno ancora oggi se ne stupisce o cerca di non prenderne atto. Siamo nel 2021, vero? Bene. Se eravate già nati, tornate con la mente al 1976.
Siamo in Rai e da un anno una legge ha sottratto il Servizio Pubblico radiotelevisivo al governo portandolo sotto il controllo (così si diceva) del Parlamento. Io lavoravo in Radio e in quel periodo mi occupavo di varie e bellissime cose, tipo riduzioni da opere letterarie, recensioni sceneggiate e altro. La Radio da una che era venne divisa in tre Reti. Mi fece piacere. Volevo infatti togliere al direttore l’arma con cui mi minacciava: “Guardi che se questo programma me lo fa arrampicato sul cervello, glielo sbatto sul Terzo!”.
Poverini gli intellettuali innamorati del celebre Terzo (di Gadda, si diceva con orgoglio). Poverini, loro che ne sapevano che era il canale censore degli altri due?
Ero contenta e feci di tutto, insieme ad altri che ancora potevano chiamarsi giovani, per farmi assegnare a Radio 3.
Il piano editoriale per Radio Tre: giovani e donne
Ci esplose in testa Enzo Forcella, che subito appena nominato ci convocò nella sala riunioni per raccontarci il suo piano editoriale. Non ricordo se ci chiese di votarlo. Ma certo se ce lo chiese, lo votammo con entusiasmo.
Che cosa disse il nostro nuovo direttore? All’incirca questo: noi siamo Radio 3, finora noto come Terzo Programma, siamo perciò la Rete della cultura. Ma dobbiamo capire che cosa oggi è la cultura e soprattutto qual è la nuova cultura. Ebbene, oggi noi siamo chiamati a dar conto delle nuove culture presenti nella società: la cultura delle donne e quella dei giovani. Faremo perciò una rete che al mattino si occuperà di donne, nel pomeriggio di giovani e alla sera daremo spazio a settori più tradizionali del mondo della produzione intellettuale. Nelle primissime ore del mattino si alterneranno a turno giornalisti per leggerci i quotidiani.
Facemmo la ‘ola’, ci piacque moltissimo quel che il direttore ci aveva detto. Eravamo giovani. Non credo, invece, che i quadri più anziani di noi furono del tutto contenti.
E appena il direttore cominciò a realizzare il suo piano furono gli intellettuali, ascoltatori abituali dei brani loro e dei loro amici, a manifestare disagio e scontentezza. Uno, o una, di questi arrivò a dire che mentre studiava o scriveva voleva sentire musica e non chiacchiere. Suggerimmo al signore, o alla signora non so più, di comprarsi grammofono e dischi.
Oggi, penso con commozione a Enzo Forcella. UN GRANDE.
Oggi – lo dicevo – 45 anni dopo, insigni uomini di governo affermano che è venuto il momento delle donne e dei giovani. Ah, se lo avessero capito allora, se avessero ascoltato il mio direttore quanto diverso sarebbe stato il destino del nostro Paese…
Forcella aprì i microfoni suggerendo ad alcuni di noi di partecipare in voce ai programmi forse un po’ ingenui che cominciammo a produrre.
A me capitò così un fatto increscioso: parlai al mattino in non so più quale programma e, giuro, non ricordo di che cosa parlai. L’indomani andai al bar per un caffè e mi vidi circondata da occhiate e risatine. Qualcuno mi spiegò che Enzo Biagi mi aveva criticato sulla prima pagina del Corriere della Sera.
Scesi rapidamente dal settimo al secondo piano e, senza bussare, feci irruzione nella stanza del direttore e piangendo gli dissi: “Tutta colpa tua”: E lui, con la sua eterna pipa nell’angolo della bocca, uscendo dalla scrivania, mi venne incontro, dicendo con la sua erre strana: “Mia cara, altre pagherebbero per essere attaccate da Biagi sul Corriere della Sera”.
Me ne andai urtata.
L’apertura al mondo giovanile. Il successo di Noi, voi, loro. Donna.
Facemmo un programma di giovani (e non per i giovani) e lo chiamammo Un certo discorso. Enzo, come ormai lo chiamavamo familiarmente, non faceva alcuna pressione, non esercitava nessuna censura preventiva. Il programma ebbe un successo enorme, quando ero di guardia al telefono facevo fatica a spiegare agli ascoltatori che no, non eravamo una radio libera, che eravamo proprio la radio di Stato.
Mi rispondevano: ”Boom!” e non ci credevano. Facemmo anche cose pregevoli, facemmo venire una volta dalla Sicilia Leonardo Sciascia a parlare in radio con un giovane e sconosciuto magistrato: Luciano Violante.
Erano anni particolari, il mondo giovanile era in subbuglio e noi lo rispecchiavamo fedelmente, ahimè. In una riunione di redazione, un giovanotto annunciò che avrebbe fatto un servizio sull’esproprio proletario dal punto di vista del proletariato. Gli risposi: va bene, purché poi tu mi faccia anche un servizio sul furto dal punto di vista del ladro.
Ma io ero spaventata e mi dimisi da quel programma, che del resto dopo una perquisizione della Digos fu chiuso dal Consiglio di amministrazione.
Sentivo aria di bruciato e cominciai a cercarmi un’altra collocazione fuori da Radio 3. Ma il direttore proprio non voleva che me andassi.
Perché? Perché dopo che mi ero bruciata le dita con i giovani , voleva che me le bruciassi anche con le donne. Io avevo nel frattempo raggiunto un accordo con Angelo Guglielmi, che all’epoca dirigeva un ufficio burocratico. Io – pur di allontanarmi velocemente dal pericolo – accettai di andare a fare un lavoro semi amministrativo.
Ma fui presa in contropiede dal mio direttore, che aveva bloccato il trasferimento. Mi disse sostanzialmente: io metto nel mio cassetto la lettera con la quale acconsento al trasferimento e tu mi metti su un programma di donne per le donne, poi te ne vai. Fu così che mi misi a pensare e a preparare un programma quotidiano che riuscisse a dar conto della nuova cultura delle donne, le quali del resto da qualche anno riempivano strade e piazze a Roma e nelle altre città italiane. Portai il progetto a Forcella. Lo approvò, ma mi chiese di fare un ultimo sacrificio: dovevo avviarlo, poi sarei stata libera di andarmene, magari aiutandolo prima a trovare una che mi sostituisse.
Invece, Noi, voi, loro. Donna fu subito successo e io ne rimasi abbagliata.
Rimasi a Radio 3, il direttore fu arcicontento. Ormai ogni giorno dopo la trasmissione passavo dalla sua stanza e lui con la penna in mano, mi diceva dove avevo reagito bene, dove avrei dovuto dire cose differenti. Furono per me straordinarie lezioni di giornalismo, che in seguito mi tornarono assai utili. Aveva ragione lui, quando anni dopo mi trovai in una redazione giornalistica ad affrontare gli esami, “Licia, ti ho fatto io giornalista, non i burocrati che stai affrontando ora”.
Ma torniamo a Radio 3. Ogni tanto si faceva da me invitare in studio con qualche pretesto. Una di quelle volte, mentre eravamo già in studio, vide la scaletta che avevo appoggiato sul tavolo e me la strappò, dicendomi sempre con quella sua erre strana: “Tu devi parlare a braccio come il tuo direttore”.
Una sera, si era nel 1981, passai a salutarlo prima di andare a casa. Mi disse: “che hai preparato per domani? hai pensato che sarà l’anniversario del terremoto di Napoli e dell’Irpinia?” E io: “no”: “Bene, mi rispose, hai tutta la notte per pensarci, perché di questo parlerai domattina”.
Ormai la nostra trasmissione era consolidata: l’ascolto era quello di Prima Pagina. Le case editrici si accorsero di noi e da quel programma uscirono ben 5 libri.
Sulla cresta dell’onda nonostante l’”attenzione” dei partiti
Si accorsero di noi anche i partiti. Adriana Seroni, allora responsabile donne[1] del PCI, partito al quale ero iscritta, mi fece sapere che voleva parlarmi. Non ci andai. Anzi, fui contrariata ed esterrefatta: durante l’esperienza della radio bernabeiana anche nei momenti più critici (mostrai una volta dalla finestra un pugno chiuso mentre sotto viale Mazzini scorreva il corteo dei metalmeccanici) sono stata punita anche severamente, ma mai da qualcuno che non fosse un mio capo diretto. Raccontai al direttore di aver declinato quell’invito imperioso. Lui mi capì e solidarizzò con me.
Potrei raccontare molte cose di quel periodo. Eravamo sulla cresta dell’onda, giornali e salotti più o meno radical chic a Roma come a Milano si occupavano di noi, tutti volevano venire a lavorare con noi, persino qualche giornalista d’oltralpe mi telefonò, una ragazza inglese mi chiese come mai la radio italiana ospitasse un programma femminista e quella inglese no.
Non seppi rispondere. Il direttore era contento, ormai lavoravo molto con lui a viale Mazzini, ma anche dovunque anche a casa sua o nella sua casa di Fregene, dove mi/ci ospitava sua moglie Anna, molto interessata al femminismo. Sì, Forcella era contento, ma credo mirasse al Giornale Radio. Me ne accorsi perché ogni tanto ero invitata ad ascoltarlo con lui. Non ascoltava però il Gr3, nemmeno per sogno, e neppure il Gr1 di Sergio Zavoli. No, Lui ascoltava Il Gr2 da noi detto radio-belva, il Gr di Gustavo Selva. Mi diceva: lo faremo con altri contenuti, ma quando andremo a fare il giornale radio, noi lo faremo così.
L’epurazione a Televideo, ma con un grande bagaglio di lezioni di buon giornalismo
Noi eravamo contenti, ma i partiti non lo erano neppure un po’, e soprattutto non lo erano i due più importanti. Sicché, arrivò il giorno in cui decisero di farla finita.
Fu d’estate, forse nel 1982, a una festa dell’Unità. Ero invitata a un dibattito. Finii presto e mi avviai verso il luogo dove si stava svolgendo un dibattito più importante con mezza direzione del PCI: ospite Forcella. Avevano finito pure loro e li trovai per strada. Ricordo soltanto Enzo Forcella, Adriana Seroni e Aldo Tortorella, ma c’erano anche altri. La Seroni mi inchiodò con il suo accento toscano: “Vieni qua, cocchina, il tu’ direttore mi dice che c’hai tu tutto in mano (?). Allora, io ti accuso di politica anticomunista”. Fiat voluntas tua, pensai.
Finì così ingloriosamente la mia scalata al piccolo successo e mi trovai dopo qualche tempo a Televideo a scrivere notizie di poche righe.
Ma portai via con me due cose importantissime. Una buona conoscenza della migliore cultura femminista, italiana e non solo. Portai via con me lezioni e lezioni di buon giornalismo. Ogni tanto qualcuno mi chiedeva, e qualcuno me lo chiede ancora, con quali criteri venivano da noi scelti ospiti e collaboratori. Mi stupivo e rispondevo: i migliori su piazza. Qualcuno mi chiede ancora come Forcella sceglieva i giornalisti di Prima Pagina. “I più bravi”, rispondo.
E su questo non c’è discussione. Ma proprio questo non credo sia del tutto piaciuto alla nomenclatura dei partiti, che apparentemente punivano me, ma miravano a lui.
Infine, caro direttore, grazie, mi hai dato la cosa più importante: ero una ribelle, hai fatto di me una persona più libera.
Ufficialmente Responsabile della Sezione Centrale Femminile del PCI [ndr].
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