Celestino Spada affronta per Democrazia futura il delicato tema delle ragioni della scarsa attenzione dell’opinione pubblica e in particolare dei media alla drammatica crescita delle morti sul lavoro in Italia. Nell’articolo “6 febbraio 2024. Una data da non dimenticare. La morte di Luigi Coclite e l’onore d’Italia nel crollo di Firenze” si chiede: “Quanto pesano, quanto valgono cinque operai morti in Italia? […] rispondendo: “Poco o nulla in termini mediatici, considerati i giorni nei quali informazioni e commenti, dalle prime pagine dei quotidiani e dai titoli dei tg italiani, sono scivolati in quelle interne e spariti dai radar della nostra stretta attualità. Ma abbastanza, nel merito, per consigliare di superare la soglia abituale che ci fa replicanti della comunicazione mediale e cogliere che cosa e quanto dello stato reale del nostro Paese, della nostra Italia, è venuto in primo piano con quei corpi sotto le macerie”.
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Quanto pesano, quanto valgono cinque operai morti in Italia?… mentre da due anni si combatte nell’Ucraina invasa dalla Russia di Putin, quando da cinque mesi non si spegne l’orrore per la macelleria a sangue freddo e il rapimento di cittadini israeliani da parte dei palestinesi di Hamas accanto alla Striscia di Gaza e, da cinque mesi, più che una catastrofe umanitaria viene inflitta scientemente alla popolazione palestinese dai bombardamenti e dalle incursioni israeliane sulle città della stessa Striscia? Quanto valgono, quanto pesano i cinque corpi recuperati avventurosamente dopo il crollo a Firenze, il 16 febbraio 2024, di una trave appena installata nella costruzione di un supermercato, mentre va in scena nelle più varie campagne elettorali delle regioni e delle città italiane l’incessante competizione interna alla maggioranza e all’opposizione? E che cosa conta il fatto che fra i cinque morti – con il tunisino Mohamed Toukabri, 54 anni, e i marocchini Mohamed El Farhane, 24 anni, Taoufik Haidar, 43 anni, Bouzekri Rahimi, 56 anni – ci sia un italiano: Luigi Coclite, 59 anni?
Poco o nulla in termini mediatici, considerati i giorni nei quali informazioni e commenti, dalle prime pagine dei quotidiani e dai titoli dei tg italiani, sono scivolati in quelle interne e spariti dai radar della nostra stretta attualità. Ma abbastanza, nel merito, per consigliare di superare la soglia abituale che ci fa replicanti della comunicazione mediale e cogliere che cosa e quanto dello stato reale del nostro Paese, della nostra Italia, è venuto in primo piano con quei corpi sotto le macerie.
Non fosse per quanto sta cercando di definire e mettere insieme la Ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone in termini di azione pubblica, le vite di quei cinque sventurati – subito archiviate nelle statistiche dei morti sul lavoro (oltre mille all’anno e quest’anno, mentre scriviamo, già 145[1]) e affidate, per quel che ora valgono, alle indagini della magistratura – queste vite resterebbero confuse fra quelle di quanti
“da varie province toscane ma anche dalla Lombardia, dal Veneto, dall’Emilia, dalla Campania, dalla Puglia, dall’Abruzzo, da mezza Italia” sono arrivati nel cantiere fiorentino (anche quella stessa mattina), lì organizzati in “un nugolo di imprese: più di sessanta ditte in subappalto, 35 quelle che si occupano di edilizia – società con qualche decina di dipendenti, ma anche molte ditte individuali, la metà, con un lavoro specifico da fare”[2].
La carta stampata, che ha fornito queste informazioni, non ha particolarmente commentato il castello di ditte messo su per costruire un manufatto tutto sommato non eccezionale. Un “oliatissimo meccanismo” (così è stato presentato) con tutti i problemi di coordinamento e organizzazione delle forniture e del lavoro che esso comporta (il crollo, sembra, si è verificato proprio a questo snodo: la trave era arrivata quella mattina, qualcuna delle ditte, con i suoi operai, era lì da pochi giorni).
La domanda è: quanto è “normale”, indicativa, “rappresentativa” delle attività di costruzione edilizia del nostro Paese la realtà di impresa che ci propone il crollo di Firenze? Qui siamo nel privato: è ragionevole che il privato si organizzi così in questo settore? e se, quanto a razionalità, c’è qualche deficit già in partenza (se non altro per le relative probabilità di incidenti), qual è la ragione (quali sono le ragioni) per cui ai soggetti interessati – e soprattutto alla “capofila”, all’impresa/titolare dei ‘lavori in corso’ – “conviene” (è scelta e pratica diffusa, non un’eccezione, a quanto pare) una tale “divisione del lavoro” fra le ditte più varie, e poi gestirla? Con le “imprese individuali” che costituiscono una “incognita”: nelle parole di Marco Carletti segretario provinciale a Firenze della Fillea, sindacato dei lavoratori edili, ce ne sono
“che si costituiscono il giorno prima dell’apertura del cantiere e chiudono due mesi dopo”,
fanno offerte al ribasso e “concorrenza sleale a quelle più serie”.
Ma forse la ragion d’essere di un tale assetto va oltre la convenienza dei costi più bassi, precede “l’economico” e il “gestionale” che di fatto risultano funzioni derivate e sovrastate dal “sociale”: dalla realtà plurima e composita delle più varie ditte messe insieme – società di capitali? di persone? cooperative? – con le figure professionali e di mestiere – “colletti bianchi” e “colletti blu” – da e in esse organizzate e i relativi titolari e referenti in loco e anche oltre Firenze, la sua provincia, la sua regione. Anche senza elencarli: “ceti medi” – come avrebbe osservato a suo tempo Paolo Sylos Labini – con l’aggiunta forse di una quota di “economia sommersa” con i relativi protagonisti (lo accerterà la magistratura) e comprese – veniamo a sapere – “realtà legate ai partiti”, già nel 2021 destinatari di somme “iscritte regolarmente a bilancio” dell’Aep – Attività Edilizie Pavesi,
“l’appaltatrice alla quale l’Immobiliare Villata del gruppo Esselunga ha affidato l’esecuzione dei lavori: la Villata, presieduta dall’ex-ministro Angelino Alfano”.
I media non si sono particolarmente soffermati su questi aspetti, tanto più (si è venuti a sapere) che il nuovo ‘Codice degli appalti pubblici’, appena varato dal Ministero e approvato dal Governo presieduto da Giorgia Meloni, prevede anche nel pubblico “il subappalto a cascata senza limiti”[3]. In assenza di illeciti penali nell’attività pregressa dell’impresa titolare dei lavori a Firenze, ci è stato risparmiato in queste settimane lo scatenamento del circo mediatico-giudiziario a cui da almeno trent’anni (prima di ogni sentenza) è affidata la tutela della legalità, e lo stigma della pubblica immoralità, in particolare nelle attività che vedono protagonisti o che hanno rapporti più o meno frequenti, più o meno diretti e stabili, con esponenti di partito e di movimenti politici. Nel caso del crollo di Firenze, quell’impasto di imprese e ruoli professionali nell’attività di costruzione e di ruoli e responsabilità di soggetti privati e politici nei Consigli d’Amministrazione e per li rami delle relative imprese non ha destato particolari reazioni: è stato, è – evidentemente – considerato normale anche dai nostri “giustizialisti”.
Il 26 febbraio 2024, appena dieci giorni dopo il crollo, la ministra Calderone ha presentato in Consiglio dei Ministri “il pacchetto sicurezza sul lavoro”, un atto pubblico “formale”, accompagnandolo con una “informativa” di grande interesse anche mediale:
“Diamo attuazione al piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso 2023-2025, con un approccio delle tre C: controllo, contrasto e compliance”.
Esso introduce ‘novità’ (come la “patente a punti per le imprese e per i lavoratori autonomi”) che in realtà erano già previste dal Testo Unico sulla sicurezza del lavoro del 2008 e mai attuate da allora:
‘La introduciamo dopo 16 anni e la svilupperemo con le parti sociali e le organizzazioni di categoria dell’edilizia’”.
C’è nel “pacchetto”, nel “piano”,
“una misura che reintroduce il reato di interposizione illecita di manodopera con il ritorno delle sanzioni penali (tolte nel 2016) per chi non rispetta le regole nei subappalti e per tutti coloro che entrano nella catena degli appalti senza avere le qualifiche previste dalla legge” [4].
Sono bastati pochi giorni nel gennaio 2024 alla ministra (?), agli uffici del ministero (?) per venire a sapere una cosa non da poco: che norme specifiche vigenti da sedici anni in materia di sicurezza del lavoro – raccolte in un Testo Unico dal D.Lgs. n. 81/2008 – risultano “mai attuate da allora” e che le sanzioni penali da esse previste circa le regole degli appalti e dei sub-appalti (la fattispecie del castello di imprese che il crollo di Firenze ha portato alla ribalta), sono state “tolte nel 2016” (otto anni fa).
Anche questa notizia, e le relative informazioni, non hanno avuto molto rilievo, non hanno suscitato commenti particolari sui media a stampa e audiovisivi, né particolare attenzione sui social.
Eppure, anche chi segua saltuariamente e senza grande interesse la cronaca italiana potrebbe stupirsi di questa continuità dell’azione pubblica nel “non attuare” norme di legge, ciò che per lo meno non esclude distrazione e inattività al centro e carenza di continuità, quando non assenza o insufficienza di controlli nei cantieri e sulle imprese da parte degli uffici regionali e provinciali del lavoro[5]. Tanto più in un quindicennio e oltre in cui “l’adeguamento delle strutture di Governo ai compiti ad esso assegnati dalle leggi” – come recita la voce di Wikipedia – è stato oggetto di continua attenzione dal 2008 (Governo Berlusconi IV) al 2015 (cosiddetto “Jobs Act”, Governo Renzi), fino ad oggi. Un’attenzione cui si deve, evidentemente, anche l’eliminazione da parte del Parlamento, nel 2016, delle sanzioni penali, fino ad allora previste in materia di “somministrazione illecita di manodopera” (si può dire meglio?), che il crollo di Firenze, con i suoi morti e feriti accertati e con le sue incognite, affidate oggi agli inquirenti, ha riportato d’attualità.
Quattro Parlamenti, tutti eletti all’insegna dell’“O di qua! O di là!” – dal 1994 lo slogan fondativo della “seconda repubblica” nell’opinione condivisa e nelle scelte di voto degli italiani – e tutti funzionanti in misura crescente in termini di “posizionamenti” reciproci all’interno e all’esterno delle loro componenti … Nove Governi espressi e sostenuti dalle più varie maggioranze parlamentari (la famosa “alternanza”) in un periodo in cui alla frana elettorale dei pilastri e degli schieramenti di centrodestra e di centrosinistra hanno corrisposto l’affermazione nelle urne di un “non-partito” antisistema, da oltre dieci anni ormai integrato nelle prassi parlamentari e nei ruoli di governo, e insieme la crescita verticale dell’astensione dalle urne nazionali e regionali… E ora, a seguito del crollo e dei morti e feriti sul lavoro a Firenze, si constata – e ne siamo oggi informati ufficialmente – una tale continuità nella non-applicazione della legge e perfino la rimozione delle sanzioni penali in un comparto che qualifica la responsabilità immediata e diretta dell’azione di governo e delle scelte parlamentari verso la comunità nazionale e verso la vita e l’incolumità di chi lavora in Italia. Con le conseguenze registrate dai dati raccolti dall’Inail, che dal 2010 evidenziano un deciso incremento degli incidenti e dei morti sul lavoro, con il picco di 1.695 morti nel 2020.
Fonte: Rielaborazione Pagella Politica su dati Inail , https://pagellapolitica.it/articoli/landini-morti-lavoro
I media – soprattutto la stampa, le radio e televisioni locali e i notiziari regionali della Rai – hanno dato voce nel corso degli anni alla percezione collettiva di questa che si può definire una deviazione strutturale, sociale prim’ancora che economica e gestionale, della nostra vita collettiva. Una percezione espressa nelle purtroppo numerose occasioni da sindacalisti, giornalisti, studiosi e anche dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che sugli incidenti e i morti sul lavoro nei suoi nove anni di mandato ha richiamato più volte l’attenzione della politica. E una deviazione che invece – come si è potuto constatare anche in questa circostanza – non è particolarmente commentata (è considerata “normale”?) anche quando esponenti più o meno autorevoli, più o meno integrati o “contigui”, più o meno ex- o “vicini” o “di riferimento” di segmenti di partiti o formazioni politiche non solo non sono lontani né estranei, ma hanno un ruolo di responsabilità nelle imprese di costruzioni edilizie. Sicché da noi è normale che alle competenze e alla concorrenza sui progetti, alle capacità gestionali e all’efficienza economica, si aggiungano per i privati quelle per assicurarsi l’aiuto e il sostegno della politica come condizione-base di parità fra le imprese e della loro “capacità di stare sul mercato”. Con la duplice e connessa conseguenza: che si è affermata, nell’esperienza della seconda repubblica, e oggi è vigente, sul versante della politica, una “partitocrazia senza partiti”[6] che vive dei, e premia i, “posizionamenti” rispetto ad essa delle persone e degli enti privati – un orizzonte mentale e un comportamento sociale largamente condiviso in tutta Italia dall’elettorato e dall’opinione “O di qua! O di là!” – mentre si impone, sul versante dell’economia e della società, l’apprendimento e lo sviluppo di capacità di relazioni e di “saper fare” particolari, premiate, se di successo, nei ruoli professionali e nelle remunerazioni delle imprese. Dovendosi per di più constatare – per completare questa rapida ricostruzione dell’habitat socio-culturale ed economico in cui si svolgono oggi in Italia le attività lavorative in questo settore – che negli ultimi decenni le Procure distrettuali antimafia nelle loro relazioni annuali hanno segnalato la diffusione in tutta Italia di imprese “riconducibili” alle nostre tradizionali organizzazioni criminali, che nelle costruzioni e manutenzioni di edifici e strade sono da tempo diffuse, accreditate e attive ben oltre le province e regioni dei loro storici insediamenti[7].
Per concludere, una realtà debordante che propone e impone di considerare aspetti della nostra vita nazionale per lo meno trascurati, per usare un eufemismo. Prima del crollo di Firenze, lo scorso 9 gennaio, Lorenzo Garbarino segnalava che, “oltre all’Osservatorio di Bologna, un campanello di allarme è stato acceso dall’Osservatorio sicurezza sul lavoro e ambiente Vega Engineering di Mestre con un dato che riguarda i lavoratori stranieri, esposti al doppio dei pericoli rispetto agli italiani: tra gennaio e novembre 2023, su 745 denunce di infortunio mortale, 142 sono state sporte da stranieri. Nel corso dell’anno si è registrato un rapporto di circa 59 morti ogni milione di occupati contro le 29 italiane”[8].
La motivazione principale di questa differenza consiste nel fatto che di solito i lavoratori provenienti dall’estero sono occupati in settori maggiormente soggetti a pericoli, come l’edilizia e l’agricoltura.
“Chi lavora nei campi o nella costruzione di edifici spesso e volentieri è manodopera non specializzata, a cui il datore di lavoro non offre una corretta formazione all’infortunistica e gli strumenti necessari alla prevenzione. Un’ingiustizia spesso provocata dalla condizione giuridica dei lavoratori. Spesso infatti chi è impiegato in questi settori non è provvisto di permesso di soggiorno o vive sulla pelle la condizione di irregolare nel territorio italiano: condizione che lo espone a ricatti da parte del datore di lavoro, inasprita anche da una difficoltà legata a una precaria comprensione della lingua e dei diritti professionali” [9].
Sicché oggi, a fronte di due stranieri morti sul lavoro, c’è un solo italiano in attività alle quali verosimilmente la domanda di lavoro degli italiani non si rivolge in misura adeguata, e dove sono gli immigrati, regolarizzati o clandestini che siano, a costruire le nostre case e le nostre strade, assicurando il funzionamento e le esigenze del settore. Anche per questo non possiamo evitare di riconoscere, ancora una volta nella nostra storia, a un Coclite Luigi nella circostanza:
“un lavoratore, morto da innocente mentre faceva il suo dovere”,
come ha scritto il cronista de La Nazione presente ai suoi funerali[10] – il merito di aver salvato, nel crollo di Firenze, l’onore d’Italia.
[1] Dati dell’Osservatorio Nazionale morti sul lavoro di Bologna “che tiene il conteggio di tutte le vittime. Solo nel 2023 il dato complessivo parla di 1485 morti, più di 4 ogni giorno. E da inizio 2024 il contatore non ha di sicuro smesso di girare: il crollo del cantiere Esselunga di Firenze ha portato per ora il numero dei lavoratori morti in Italia già a quota 145 che salgono a 181 considerando quelli scomparsi in itinere, solo conteggiando i lavoratori regolari e in meno di cinquanta giorni”, Famiglia Cristiana, 17 febbraio 2024.
[2] Dove non indicato, quanto riportato fra virgolette è tratto dagli articoli in Il Corriere della sera, 19 febbraio 2024, p. 8.
[3] Valentina Conte, “La sicurezza negata. 6 illeciti penali su 10 nei cantieri edilizi”, La Repubblica 23 febbraio 2024, p. 10.
[4] Corriere della sera, 27 febbraio 2024, p. 23.
[5] Una rapida ricerca alla voce Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di Wikipedia consente di apprendere che le strutture ministeriali più vicine al “territorio” nazionale, le Direzioni Interregionali del Lavoro (DIL) e le Direzioni Territoriali del Lavoro (DTL) – con sede le prime in quattro capoluoghi regionali e le seconde in 74 Province – da cui “dipendevano gli ispettori del Lavoro”, sono state sostituite con Decreto Ministeriale 31 luglio 1997 “nelle funzioni di controllo dal Comando carabinieri per la tutela del lavoro – che dipende funzionalmente dal Ministero – con una presenza capillare in tutte le Direzioni regionali e territoriali del lavoro, ed esattamente 101 Nuclei ispettorato del lavoro presso le Direzioni territoriali del lavoro – Servizio Ispezione del Lavoro, in ogni capoluogo di provincia”.
[6] Mauro Calise, Dopo la partitocrazia, Torino, Einaudi, 1997; Paolo Mancini, “La lottizzazione, carattere dell’identità nazionale”, Il Mulino, LVVII (442), marzo-aprile 2009; Celestino Spada, “Partiti, media, mercato. Il dire e il fare”, Mondoperaio, (7-8) luglio-agosto 2014; Oreste Massari, “Dal partito di massa alla partitocrazia senza partiti”, Nomos. Le attualità del diritto, (3), luglio-settembre 2018.
[7] Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino, Procuratore e vice-Procuratore della Repubblica a Roma per quasi un decennio e fino al 2020, hanno dedicato un libro – Modelli criminali. Mafie di ieri e di oggi, Roma, Laterza, 2019 – alle varietà autoctone e migrate cresciute nell’habitat romano e scoperte, dalle indagini di polizia giudiziaria e delle altre forze dell’ordine, per lo spessore e le ramificazioni sociali e d’impresa del loro insediamento autoctono o di rappresentanza in loco (in particolare, p. 115). Un’analisi e un’informazione, circa una vicenda romana, cui gli autori ritengono opportuno aggiungere una costatazione: “Non ci sembra che tale condizionamento da parte di una organizzazione criminale, mafiosa o non mafiosa che fosse, e la gravità dei fenomeni di corruzione emersi dalle indagini abbiano suscitato un particolare interesse nel dibattito cittadino” (p. 120). Cf. Celestino Spada, “Roma capitale. L’Opera dei pupi”, Mondoperaio, (11) novembre 2020.
[8] Lorenzo Garbaino “«Morti bianche», in Italia una strage silenziosa”, Chiesa di Milano, 14 marzo 2024.
https://www.chiesadimilano.it/news/attualita/morti-lavoro-italia-osservatorio-bologna-2709541.html.
[9] “«Morti bianche»: in Italia una strage silenziosa”, 9 gennaio 2024.
Cf. https://www.chiesadimilano.it/news/attualita/morti-lavoro-italia-osservatorio-bologna-2709541.html.
[10] La Nazione 24 febbraio 2024.
https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-morte-di-luigi-coclite-e-lonore-ditalia-nel-crollo-di-firenze/483519/