Celestino Spada, a tre mesi quasi dalla morte di una ragazza, Mahsa Amini, in mano della “polizia della sicurezza morale”, invita il governo Italiano a farsi promotore di una campagna a fianco del popolo iraniano per “Liberare Eva!”.
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Le grandi religioni ci parlano. Nel mondo interconnesso fra le nostre mani e sui tanti schermi attorno a noi, nei giochi e nelle chat che nutrono le nostre relazioni con gli altri e sono fin dall’infanzia, da tempo, le prime palestre dei gusti e delle competenze che orientano le nostre scelte, ci sono anche loro: i simboli, le storie, il magistero, gli imperativi più o meno cogenti e condivisi che le sostanziano e che esse propongono da sempre, con il loro seguito nei popoli e fra gli Stati della Terra.
Alle prese con la modernità, cioè con l’autonomia dell’individuo dalla tutela ecclesiastica nei più diversi contesti etnici, nazionali e statuali, con la fine conclamata delle ideologie che hanno segnato in Europa e nel mondo lo sviluppo delle società più avanzate, esse assumono oggi un ruolo maggiore nel reggimento del mondo, anche sulle scelte della pace e della guerra, come si è potuto vedere con l’avvio dell’“operazione militare speciale” della Russia in Ucraina, la guerra benedetta dal Patriarca ortodosso di Mosca.
In un contesto che non può essere ignorato in queste settimane dell’autunno ottobre 2022, a quattro mesi dal tentato assassinio di Salman Rushdie (giustificato ancora con la fatwa lanciata contro di lui nel 1989 dall’Ayatollah Ruhollah Khomeyni) e a tre mesi quasi dalla morte di una ragazza, Mahsa Amini, in mano della “polizia della sicurezza morale”, con il seguito di manifestazioni che stanno scuotendo la Repubblica Islamica dell’Iran, torna alla mente qualche momento del “dialogo interreligioso”, rilanciato dal pontificato di Papa Francesco, sempre più preoccupato per le sorti di un’umanità lasciata a se stessa. In particolare il suo incontro in Iraq con l’Ayatollah Ali Al-Sistani nella città santa dello sciismo mondiale, Najaf, che li vide concordi neanche due anni fa, nel marzo 2021, nell’esortare alla pace e al rispetto per la vita in quella regione e nel mondo e nel ricordare che “gli uomini sono fratelli nella religione, uguali nella creazione”: la versione mediale del loro consenso che di fatto oscurava la lezione del Libro, in cui l’uomo è insieme alla donna nella creazione e nella religione. E, tuttora e sempre, nella vita di tutti i giorni, come anche testimoniano i ragazzi e gli uomini che in Iran scendono in piazza con le ragazze e le donne, un’alleanza naturale che il Libro consacra, trattata oggi dai governanti dell’Iran come un’alleanza di insorti da stroncare con le impiccagioni pubbliche degli uomini, mentre le donne sono schiacciate dal terrore di Stato.
Un dato – quello del Libro e della vita – senza il quale non si capirebbero le perplessità se non l’avversità diffusa nello stesso clero sciita e nella società iraniana circa le regole vestimentarie, matrimoniali e sociali imposte alle donne dalla Rivoluzione del 1979. (Regole seguite poi nel mondo soltanto da quattro Stati della comunità islamica, il più importante dei quali, il Regno dell’Arabia Saudita, sunnita, sta rivedendo negli ultimi anni le scelte adottate in questo campo.)
Senza nulla togliere al rilievo in termini di diritti universali – parità fra uomo e donna, uguaglianza di diritti e di libertà civili – di quanto avviene (e continuerà ad avvenire se le cose non cambiano) in Iran, può essere utile considerare il contesto storico in cui furono imposti gli ulteriori gravami al dono della vita e alla fatica di vivere lì vigenti: la fine degli anni 1970[1], durante i quali – come ci ha ricordato un flusso comunicativo europeo e mondiale avviato nel 2020 e da noi culminato in morte di Raffaella Carrà nel luglio 2021 – sugli schermi televisivi dei più grandi paesi in Europa e nel mondo si è affermata una nuova rappresentazione pubblica della donna, in specie nei programmi del varietà televisivo[2], i più popolari e di successo presso il “grande pubblico” che ne apprezzò e condivise immagini, simboli e valori fin nell’intimità delle famiglie. Un contesto noto all’Ayatollah Khomeyni, che in Francia trovò riparo dalla dittatura dello Scià Mohammad Reza Pahlavi.
Nessuno può sapere se e quanto egli abbia apprezzato in quegli anni “l’affermazione planetaria di un’icona, di un simbolo: dell’immagine della donna, nuova nelle sue canzoni e nella sua presenza scenica connotate da un’attitudine adulta – consapevole e propositiva – verso il ‘far l’amore’”, nella presentazione della Carrà proposta dal Guardian nell’ottobre 2020. Un successo nato e maturato sulla scena televisiva italiana e presso i popoli di altri paesi europei, in specie in Spagna, e del mondo, nel continente latino-americano, nell’ambito di servizi radiotelevisivi saldamente controllati e diretti da esponenti non marginali della cultura e delle classi dirigenti cattoliche, in Italia, in particolare, proprio nello spettacolo e nel varietà televisivo. Rappresentazioni sceniche e processi comunicativi che ebbero la loro parte, in Spagna, nel sentimento popolare e istituzionale di liberazione dai decenni della dittatura franchista e, in Italia e nel mondo, nella modernizzazione dei costumi nutrita dalla libera scelta, di vita e di pratiche culturali di ragazze e ragazzi, di uomini e donne, di ciascuno e di tutti.
Che qualcosa sia andato storto, che qualcosa si sia inceppato si è potuto sospettare già a suo tempo, considerando, insieme al testo dell’intervista, la situazione di disagio, se non di malessere, evidente nell’incontro ravvicinato del 26 settembre 1979 di cui ha dato testimonianza Oriana Fallaci, una delle prime giornaliste ammesse ad avvicinare l’Ayatollah vittorioso. Qualcosa che si era già concretizzato nell’insaccamento per legge in drappi neri delle donne fin da bambine e nel condizionamento delle loro vite che oggi, quarantatré anni dopo – nella canzone Baraye (Per) di Shervin Hajipour, di grande successo nelle manifestazioni e rilanciata da veicoli e dispositivi sonori nelle città e nei villaggi iraniani – “fa desiderare a una ragazza di essere nata ragazzo”.
Noi, che di questo siamo testimoni a distanza di sicurezza nella nostra democrazia, non possiamo evitare di sentirci fratelli e sorelle degli iraniani che rivendicano la loro uguaglianza, e di sperare che un’esortazione efficace raggiunga i governanti della Repubblica Islamica: Liberate Eva! Il governo italiano si faccia promotore di una campagna a fianco del popolo iraniano che scende in piazza per la propria libertà e per la democrazia.
[1] Raymond Williams, Television, Technology and cultural form, New York, HarperCollins,1974, 160 p. Traduzione italiana: Televisione. Tecnologia e forma culturale. Introduzione di Celestino Spada, Bari, De Donato, 1981, 229 p. (si veda in particolare p. 31).
[2] Celestino Spada, “A proposito di Raffaella Carrà e dell’intrattenimento Rai dal gruppo Dirigente democristiano prima della Riforma sino alla Seconda Repubblica”, Democrazia futura, II (5), gennaio-marzo 2022, pp. 385-392.
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