Democrazia Futura. L’ombra di Gaetano Salvemini nel nuovo mondo di oggi

  ICT, Rassegna Stampa
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Claudio Signorile

Claudio Signorile descrive per Democrazia futura “L’ombra di Gaetano Salvemini nel nuovo mondo di oggi”, sottolineandone come recita l’occhiello “Il primato del programma e il concretismo” nel pensiero e nell’azione. “Il filo di continuità che ritroviamo nella lunga vicenda politica e culturale di Salvemini – scrive Claudio Signorile – è nel primato del programma; nel pragmatismo dell’azione; nell’empirismo della dottrina. Polemico con i socialisti massimalisti, che ignoravano la forza degli obiettivi concreti; ma polemico con i socialisti del riformismo che si accontenta. Critico con l’antifascismo senza programmi; stimolante verso la nuova classe dirigente repubblicana, perché si impegnasse in un piano di dieci anni, da realizzare con pragmatismo e determinazione. Il “concretismo” salveminiano – aggiunge l’ex parlamentare socialista –  è un richiamo ricorrente nel dibattito politico; un riferimento senza incertezze né sconti; che trova attenzione nei settori più responsabili della cultura economica e civile, e nella riflessione progettuale”.

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Erano passati pochi mesi dalla morte di Gaetano Salvemini, quando ebbi modo di visitare La Rufola, la villa di Giuliana Benzoni a Capo di Sorrento, dove Salvemini aveva passato gran parte del periodo finale della sua vita. Nella sua stanza, in ordine, c’erano carte e libri che non mi venne permesso toccare; una coperta da poltrona; altri oggetti di uso personale.

Ma c’era soprattutto l’ombra di Salvemini. Una presenza intensa, intellettuale ed emotiva, partecipata; come se il filo di una conversazione si fosse interrotto, ma potesse riprendere in qualsiasi momento.

Certamente questa suggestione era rafforzata dai racconti che mi erano stati fatti sugli incontri che avvenivano a La Rufola, dove Salvemini era un costante riferimento politico, oltre che culturale e morale.

Frequentavo allora, per l’amicizia con Tristano Codignola, gli ambienti di Unità Popolare; questo mi portava ad avere indirette notizie sui movimenti in corso nell’area terzoforzista; nei processi fondativi del nuovo partito radicale; nelle tensioni e scelte del Mondo di Pannunzio. In tutte queste azioni, Salvemini era un riferimento costante, vitale, critico, propositivo. Nella sua stanza si erano alternate figure impegnate in una nuova politica; erano stati discussi progetti ed alleanze; accettati o respinti suggerimenti e proposte. L’ombra di Salvemini è presente in un passaggio cruciale della politica italiana e delle sue motivazioni strategiche. Minoritario certamente, marginale mai.

Il primato del programma

Il filo di continuità che ritroviamo nella lunga vicenda politica e culturale di Salvemini è nel primato del programma; nel pragmatismo dell’azione; nell’empirismo della dottrina.

Polemico con i socialisti massimalisti, che ignoravano la forza degli obiettivi concreti; ma polemico con i socialisti del riformismo che si accontenta. Critico con l’antifascismo senza programmi; stimolante verso la nuova classe dirigente repubblicana, perché si impegnasse in un piano di dieci anni, da realizzare con pragmatismo e determinazione.

Il “concretismo” salveminiano è un richiamo ricorrente nel dibattito politico; un riferimento senza incertezze né sconti; che trova attenzione nei settori più responsabili della cultura economica e civile, e nella riflessione progettuale. Ma non sfonda nella elaborazione e nella definizione programmatica dei maggiori partiti; e soprattutto non incide nelle scelte organizzative e nei moduli di costruzione del consenso. La politicizzazione della società italiana dopo il fascismo avviene sullo schema contrapposto delle ideologie di riferimento e dei blocchi strategici contrapposti. Non c’è spazio nella coscienza bipolare del mondo, per l’empirismo programmatico di Salvemini e per le sue prediche sulle cose da fare.

Eppure la lunga e costante volontà ripetitiva qualche segno di movimento inizia a determinarlo. Non nelle strutture ossificate dei partiti di massa, ma nelle formazioni minori; o meglio nella vivacità e nel dinamismo delle correnti politiche dentro i partiti che cercano la loro specifica identità nei programmi. Sono proprio le correnti interne ad arricchire di nuovi temi e di diverse prospettive il confronto nella politica italiana, preparando il cambiamento e la svolta degli anni Sessanta e Settanta. Dalla apertura a sinistra alla autonomia socialista; dal dialogo con i cattolici al centrosinistra; sono formule che trovano sostanza nei programmi. Non da dichiarare ma da realizzare. Ed alcuni si realizzano: la nazionalizzazione della energia elettrica; la riforma ospedaliera e sanitaria; la scuola dell’obbligo; lo statuto dei lavoratori; eccetera.

Salvemini, le riforme di struttura e lo sviluppo del Mezzogiorno

Credo sia giusto riconoscere il ruolo determinante di Salvemini nella formazione di una classe dirigente, di governo e di opposizione, che fondava sul programma la sua identità e credibilità, e sulla programmazione un costante metodo di governo. Le riforme di struttura, saranno materia di confronto e di scontro politico negli anni successivi. Molte non verranno compiute; altre deformate; ma resteranno, ancora oggi, come una ferita aperta che deve essere guarita.

 L’ombra di Salvemini è un marchio indelebile nella cultura politica italiana. Ne siamo consapevoli e riconoscenti.

Così come siamo consapevoli della continuità del suo meridionalismo, con le riflessioni, le polemiche, le proposte presenti nel suo impegno civile e politico. Franco Venturi lo ha scritto con grande precisione nella presentazione degli Scritti sulla questione meridionale, libro che avviava la edizione delle Opere di Gaetano Salvemini:

 ‹‹Salvemini non fu il primo a parlare della questione meridionale, ma fu il primo a sviluppare, fino alle ultime conseguenze, il contatto e l’urto fra i problemi meridionali e quelli del movimento operaio, del socialismo, del suffragio universale, della democrazia, cioè dei nostri attuali problemi.

Chi leggerà queste pagine vi ritroverà il punto d’origine di tante posizioni, proposte, persino parole d’ordine che sono entrate nella nostra quotidiana politica, che nutrono la realtà o la speranza. Le ritroverà allo stato nativo, appena sorte dalla lotta, con gli spigoli ancora taglienti, pronte a incidere nel vivo. Ed esse tagliano ancora, dopo 30, 40,50 anni, e serviranno a sgomberare ancora una volta il campo da quelle folte boscaglie che sono sorte dagli esclusivismi, dai monopoli, dai privilegi e dai dogmatismi che Salvemini denunciava fin dalle prime affermazioni dello Stato e dei partiti moderni nel meridione italiano.››

Gaetano Arfé, in una nota esplicativa, sviluppava la riflessione di Venturi:

 ‹‹l’idea era quella di rendere evidente il nesso per certi aspetti ancora politicamente attuale tra l’anti riformismo, come da Salvemini inteso, l’anti giolittismo e il meridionalismo. Con l’urgenza di immettere i motivi della sua polemica nel dibattito apertosi sulla questione meridionale che aveva assunto una dimensione e una importanza mai toccata prima. Il dato politico nuovo era la presenza, per la prima volta nella storia politica del mezzogiorno, di un movimento di massa capillarmente diffuso, attivo anche nelle campagne e nel quale militavano a fianco del proletariato contadino e operaio, giovani intellettuali refrattari alle tentazioni del trasformismo››.

Dunque c’era anche la crescente consapevolezza di cambiamenti profondi avvenuti e in divenire, dentro e fuori il Mezzogiorno.

Proprio questi cambiamenti sui quali a distanza di mezzo secolo bisogna indirizzare una nuova riflessione politica.  Il mezzogiorno da area marginale e a sviluppo ritardato sta diventando Italia mediterranea, parte attiva di un processo di trasformazione e crescita che coinvolge tutto il Mediterraneo, come mare interno a un sistema coordinato ed interdipendente di paesi.

Lo sviluppo del Mezzogiorno non è quindi soltanto una questione interna, politica ed economica, come si ricava da una lettura meramente autarchica dei problemi e delle contraddizioni che ne hanno segnato il declino e la crisi.

Fa parte, invece, di quella visione di ampio respiro, di quella strategia sovranazionale (e quindi soprattutto euro-mediterranea) che comincia a crescere visibilmente nella coscienza attiva del nostro Paese e in Europa, e deve essere approfondita e precisata nei suoi aspetti dinamici e di concreta attuabilità.

Salvemini e le prospettive della questione meridionale oggi

Il Mezzogiorno diventa questione europea e mediterranea, e va affrontato con diversa metodologia e nuovi strumenti culturali. Serviamoci di questo il “concretismo” salveminiano per affrontare oggi in dimensione nuova i problemi e le prospettive della questione meridionale.

A seconda di quale peso il governo attribuisce alla nuova realtà dell’Italia mediterranea, più credibili e realistici diventano gli indirizzi di una politica euro-mediterranea dello Stato italiano. Questo ruolo si afferma attraverso il pieno dispiegarsi delle potenzialità economiche del Mezzogiorno (la piattaforma euro-mediterranea); delle sue capacità progettuali (sistemi produttivi; di innovazione; di coesione); delle sue risorse formative (scuola, università, ricerca); della sua identità culturale, pluralista e tonale.

Le guerre in corso con la ridefinizione degli equilibri tra le potenze non devono modificare il progetto di una piattaforma euro-mediterranea di coesione e di convergenza.

Siamo in presenza di un processo storico che ha provocato spostamenti geo-politici aprendo larghe faglie sociali, rotture di equilibri politici e territoriali, sovrapposizioni di etnie, sradicamenti identitari, immigrazione di massa, integrazioni irrisolte. Il racconto storiografico di civiltà organicamente strutturate, fortemente identitarie, finalistiche nella visione del loro ruolo nel mondo, va ormai iscritto in una fase della storia mondiale che sta esaurendo la sua vitalità e verità. Non è più possibile leggere la vicenda storica delle società umane, attraverso la dialettica di queste civiltà, gerarchicamente rappresentative dei grandi aggregati di coscienze e di interessi; attraverso i loro conflitti e le loro convergenze, le loro energie e le loro egemonie. Tutto questo esiste ancora, ma non più come forma dominante, esauriente a comprendere le dinamiche dell’ultimo secolo, a cavallo dei due millenni.

Sotto l’involucro formale delle civiltà identitarie, sono venute a formarsi ampie realtà sociali e culturali, trasversali; grandi bacini demografici diversi per etnie e condizioni economiche, valori e finalità, ma riconducibili a dimensioni territoriali compatibili e condivise. Possiamo definirli continenti culturali, per l’ampiezza della loro espansione, la visibilità geografica della loro composizione, il pluralismo delle culture ed etnie che vi partecipano, e nello stesso tempo la tonalità riconoscibile dell’appartenenza territoriale. Questi continenti culturali stanno gradualmente trasformando, non annullando, le civiltà vissute, in nuove identità, ancora in fase di assestamento, contribuendo al formarsi di quel nuovo melting pot del quale avvertiamo la vitalità e la crescita, ma anche la pericolosa ambiguità.

Questo processo di deriva dei continenti culturali, è stato accelerato dai crescenti fenomeni di globalizzazione, dallo straordinario sviluppo delle comunicazioni di massa, dalle differenze demografiche, ha riguardato in forme diverse tutto il pianeta.

Il Mediterraneo è stato investito dalle conseguenze di questa deriva dei continenti culturali, diventando, ripetiamo, un mare interno ad un’area ancora in fase di definizione e consolidamento. Il Mezzogiorno è lì, con i suoi problemi e le sue opportunità. Le immigrazioni di massa sono state il fenomeno fisico più visibile che però non ha ancora determinato tutte le conseguenze antropologiche destinate a modificare nel medio periodo l’intera aria coinvolta. Il terrorismo, nelle sue diverse motivazioni, è anche esso un fenomeno di medio periodo e come tale deve essere affrontato, accompagnando l’azione repressiva e preventiva, con una strategia di convergenza e coesione.

La consapevolezza di questo insieme di trasformazioni può favorire quel processo re-identitario dei popoli europei e mediterranei, che gradualmente trovano le ragioni morali dell’unità e della coesione, che aprono la strada alla possibile coesione sociale ed economica.

La pluralità delle culture diventa libertà delle culture nella identità dello Stato.

Le integrazioni irrisolte devono diventare convivenze accettate. Ma questa coesione si costruisce con una strategia complessiva basata sulla concretezza degli obiettivi e la determinazione ad ottenere, a breve, risultati: quindi in primo luogo si deve creare il lavoro. La parte del mondo nella quale viviamo uscirà diversa da questa crisi; certamente saremo cambiati noi, ma soprattutto le nuove generazioni che la stanno vivendo.

Nuovi popoli, nuove società, nuove storie.

Non siamo estranei a un mondo nuovo, e non lo era il meridionalista Salvemini.

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