Democrazia Futura. Un risultato scontato. Uno scontro finto. Ora Giorgia Meloni convinca le Cancellerie europee

  ICT, Rassegna Stampa
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Bruno Somalvico

Nate da un colpo di mano di palazzo con l’incauto comportamento grillino che ha consentito al centrodestra di governo di scaricare il Presidente del Consiglio Mario Draghi molti mesi prima della scadenza della legislatura, le elezioni politiche del 25 settembre 2022 passeranno alla storia come quelle con il record delle astensioni. La partecipazione è risultata infatti di poco inferiore al 64 per cento con una perdita di nove punti percentuali rispetto alle elezioni politiche precedenti.

Sin dal momento della composizione delle liste il risultato finale come abbiamo scritto dieci giorni prima della consultazione è apparso del tutto scontato. Tutti i sondaggi o quasi prevedevano una massiccia vittoria della coalizione di centrodestra con al suo interno una grande affermazione di Fratelli d’Italia, un probabile ridimensionamento della Lega e una tenuta di Forza Italia. Il risultato appariva scontato soprattutto dopo la decisione di Carlo Calenda di correre separato dalla coalizione di centrosinistra dando vita al Terzo Polo insieme a Matteo Renzi, e al sensibile ridimensionamento del Movimento 5Stelle, sebbene dato in risalita.

Queste elezioni sono state forse le più noiose della storia dell’Italia repubblicana prive di autentici confronti diretti fra i leader delle principali forze politiche e/o delle coalizioni in nome dell’applicazione delle norme ingessate previste in televisione dalla par condicio risalenti a tre decenni fa, quando ormai i rischi di inquinamento della campagna elettorale passano quasi tutti attraverso i social network.

Con queste premesse, in assenza di programmi politici chiari, e soprattutto di quantificazioni dei costi delle misure annunciate dai principali leader, le elezioni per la Diciannovesima Legislatura potrebbero in ogni caso segnare uno spartiacque e l’avvia di un processo Costituente teso a definire nuove regole del gioco a 75 anni dall’approvazione della nostra Costituzione.

Democrazia futura aveva invitato i cittadini ad andare comunque a votare perché disertare le urne non fa che aggravare la crisi della nostra democrazia. Al limite votando scheda bianca ma recandosi alle urne.

Il calo sensibile dei partecipanti si è fermato tuttavia per fortuna al di sopra della soglia simbolica del 60 percento, al di sotto della quale – scrivevamo nel nostro Vademecum – avremmo dovuto parlare di “vulnus per la democrazia” se non addirittura di “grave ferita al sistema democratico e alla credibilità dei partiti”.

Per quanto riguarda  l’entità della vittoria della coalizione di centrodestra e dei rapporti di forza al suo interno, nonché il risultato di tutte le altre liste e coalizioni, non possiamo parlare di tendenza alla polarizzazione del voto verso un nuovo bipolarismo, quanto di una tendenza ad un’ulteriore frammentazione del quadro politico. In effetti, sebbene più che dimezzati, i pentastellati  manterranno un proprio peso oltre lo zoccolo duro dei propri militanti, mentre il cosiddetto Terzo Polo liberaldemocratico costituito intorno a Calenda e a Renzi, non raggiunge l’obiettivo prefissato, ma ottiene un risultato più che lusinghiero che lo pone come quarto polo alternativo ai primi tre.

La campagna elettorale: uno scontro finto fra coalizioni ognuna con obiettivi diversi

Il Centro destra con un risultato intorno al 44 per cento (poco meno alla Camera poco più al Senato) ottiene una buona affermazione, guadagnando sette punti percentuali rispetto al 2018 ma non sfonda, disturbato da liste minori quale Italexit e altre ancora.

Solo qualora avesse ottenuto un risultato al di sopra del 45 per cento avemmo potuto parlare di grande successo per il centrodestra in quanto abbiamo sostanzialmente assistito ad un forte travaso di voti all’interno della coalizione dalla Lega a Fratelli d’Italia e solo in parte da Forza Italia.

Al suo interno invece possiamo definire travolgente il successo della destra sovranista rappresentata da Fratelli Italia a scapito delle altre forze siano esse populiste, europeiste o moderate con una Lega che perde fra otto e nove punti percentuali, Forza Italia che perde oltre 6 punti percentuali e un calo dei centristi moderati che questa volta rimangono al di sotto dell’1 per cento dei suffragi.

Fratelli d’Italia, l’unico partito strutturato in modalità che ricordano quelle della prima repubblica, nonostante la demonizzazione lanciata contro questa formazione tacciata di essere l’erede diretta di formazioni che si richiamavano al fascismo, anzi probabilmente beneficiando della credibilità acquisita dalla propria leader presso gli elettori ex democristiani provenienti dalla Lega nel Nord Est, grazie alle chiare prese di posizioni a fianco dell’Ucraina nel conflitto che la vede impegnata contro le truppe di invasione russe, da poco più del 4,3 per cento ottiene un risultato al di sopra del 26 per cento, ponendosi nettamente come la prima forza politica sia alla Camera e al Senato, candidando legittimamente Giorgia Meloni alla guida del prossimo governo. Rimane del tutto prematuro tentare di prevedere quali saranno le caratteristiche e le scelte politiche di questo nuovo del tutto inedito esecutivo a guida sovranista, probabilmente il più a destra degli ultimi sessant’anni.

Nella fattispecie occorrerà capire se l’azione della Meloni ricalcherà gli obiettivi “patriottici” delle destre radicali ponendosi in forte contrasto con l’attuale leadership dell’Unione Europea, o se, aòl contrario, la giovane leader traghetterà definitivamente la sua formazione di origine “post fascista” (come la definiscono ancora tecnicamente certi politologi) nell’alveo della tradizione delle grandi formazioni conservatrici  europee eredi di personalità come Winston Churchill, Margareth Thatcher, Konrad Adenauer, Helmuth Kohl, o Georges Pompidou e Jacques Chirac.

Sotto questo profilo, molto importante sarà non solo la composizione interna del primo Governo Meloni ma anche la scelta della sua prima visita ufficiale all’estero. Un viaggio a Bruxelles rivestirebbe un significato preciso. Del tutto diverso sarebbe un viaggio a Washington.

Per la Lega si tratta invece di una sconfitta pesante che rischia di favorire una implosione fra le due anime del Carroccio: quella di lotta con tutto suo retroterra populista e sovente razzista che con Salvini ne facevano l’interlocutore principale di tutte le forze reazionarie, antieuropee e filo-putiniane insieme al Rassemblement National di Marine Le Pen, e quella di governo con i vari Giorgetti e Garavaglia a sostegno del governo Draghi e i suoi Governatori nelle principali regioni dell’Italia settentrionale, per non parlare dei suoi sindaci in tanti comuni soprattutto medio piccoli. La Lega vede praticamente dimezzati i suoi voti, scendendo dal 17,35 per cento nel 2018 all’8,80 per cento di oggi, mentre il suo leader Matteo Salvini, dopo essere stato stimato a lungo in testa nei sondaggi, sentendosi minacciato dalla Meloni dichiarava ancora poche settimane fa, di puntare alla conquista di almeno il 20 per cento per la propria formazione.

Quanto a Forza Italia, pur calando dal 14 per cento a poco più dell’8 per cento, ottiene una discreta se non buona affermazione, smentendo le previsioni di chi, dopo la fuoriuscita di alcuni esponenti di spicco della sua ala centrista ed ex socialista, prevedeva una sua rapida implosione. Grazie ad un mix di populismo e filoputinismo frammisto a rassicurazioni e atti di fede atlantisti ed europeistici, Silvio Berlusconi, a differenza di Salvini, da un lato frena la fuoriuscita del suo elettorato verso la destra sovranista, dall’altro riesce ad impedire lo spostamento dell’elettorato che gli è rimesto, verso formazioni liberal socialiste e cattolico democratiche come Azione e Italia Viva.

Deludente invece come già etto il risultato della quarta gamba del centro destra con Noi Moderati.  

La brutta sconfitta del centro sinistra

Il Centro sinistra, attestandosi intorno al 26 per cento, è certamente la coalizione maggiormente sconfitta di questa tornata elettorale confermando le difficoltà che aveva conosciuto nel 2018 quando Liberi e Uguali si presentava al di fuori della coalizione.

Il Partito democratico aveva il 18,76 per cento nel 2018 e non guadagna se non qualche decimale. Non paga la scelta di far proprio l’obiettivo di non avere nessun nemico alla propria sinistra e di imbarcare anche l’opposizione al governo Draghi di Sinistra italiana, che riesce, invece, a salvarsi superando la soglia di sbarramento del 3 per cento grazie all’alleanza con i Verdi di Bonelli, il che costituisce un indubbio successo per i due partner consentendo loro di entrare in parlamento a differenza di altre liste minori come l’Unione Popolare di De Magistris e l’Italia Sovrana e Popolare del comunista Rizzo.

Il Partito Democratico non riesce insomma a realizzare quello che avrebbe dovuto essere il primo obiettivo in questa campagna elettorale ovvero mobilitare l’elettorato indeciso che – dopo la fuoriuscita di Calenda – capisce che soprattutto negli scontri nei singoli collegi la sconfitta è ormai inevitabile

Non paga nemmeno la campagna di demonizzazione del centro destra né il tentativo mutuato dai pentastellati di promuovere una coalizione “pigliatutti”. Il PD non aiuta + Europa a costituire un blocco più forte alla sua destra dopo la fine dell’intesa con Azione, impedendo alla formazione di Emma Bonino di superare la soglia di sbarramento per entrare in Parlamento, né riesce a recuperare se non in misura minima gli elettori ex democratici che cinque anni fa avevano spostato il proprio voto verso il Movimento 5Stelle.

In definitiva quel che resta della coalizione di centrosinistra viene probabilmente anch’essa penalizzata dalla crescita sensibile dell’astensionismo fra i suoi elettori provenienti dai ceti più bassi qualificandosi sempre più come coalizione fra partiti rappresentanti dei ceti medi nei grandi centri urbani, pur subendo su quest’ultimo fronte questa volta gli effetti della concorrenza del cosiddetto terzo polo di Calenda e Renzi.

Bene ha fatto Enrico Letta ad annunciare di fronte ad una così netta sconfitta la propria intenzione di rassegnare le proprie dimissioni da segretario dopo aver traghettato il partito sino al prossimo congresso.

L’insperato recupero grillino dopo la sterzata a sinistra impressa dall’avvocato del popolo

Quanto al Movimento 5Stelle come Forza Italia, pur vedendo dimezzati i propri consensi (nel 2018 raccoglieva ben il 32,68 per cento) e nonostante la scissione di Impegno Civico di Luigi Di Maio che subisce uno smacco non andando oltre lo 0,6 per cento per la sua neoformazione Impegno Civico coalizzatasi con il centro-sinistra,  sotto la guida dell’avvocato del Popolo Giuseppe Conte, ottiene nelle condizioni attuali un grande successo elettorale, in particolare diventando la principale forza di opposizione nei grandi centri urbani dell’Italia meridionale.

Da partito pigliatutti un po’ dappertutto a difensore dei ceti popolari nel meridione e nuovo punto di riferimento del cattolicesimo ultrapacifista. questo nuovo grillismo assume sempre di più le sembianze di un ircocervo che ricorda da un lato il peronismo, e dall’altro in politica estera le solite posizioni anti atlantiste mascherate da nobili argomentazioni per la pace.

La buona affermazione del Quarto polo di Calenda e Renzi

Per parte sua la coalizione fra Carlo Calenda e Matteo Renzi andando oltre il 7,5 per cento ottiene una buona affermazione pur mancando l’obiettivo che si era dato di andare oltre il 10 per cento e di riuscire come Macron in Francia a acquisire una consistente fascia di elettorato proveniente dal centro destra. Quello che voleva essere Terzo Polo, concorre all’insuccesso del PD e al mancato superamento della voglia del 3 percento per + Europa, sottraendo sostanzialmente voti alla coalizione di centrosinistra. 

Per il futuro di questa alleanza decisive saranno le scelte che riuscirà a fare all’opposizione. Riprendendo il dialogo con il centrosinistra e cercando di impedire a sua volta in questo modo la ripresa del dialogo fra il Partito Democratico e i neopopulisti di sinistra, ovvero quello che è diventato il verso nuovo terzo polo intorno i grillini sotto la guida di Giuseppe Conte. In ogni caso non può rimanere alla finestra ad osservare gli altri isolandosi ed pontificando dall’alto da una montagna come il profeta Zarathustra su quello che sarà l’evoluzione di questo Paese.

Conclusioni

Per ora Giorgia Meloni può stare tranquilla. Non sarà certo da un’opposizione divisa in tre tronconi molto diversi che dovrà proteggersi. Quanto dai rischi provenienti dall’interno della propria formazione politica dove un successo così netto potrebbe crearle le maggiori difficoltà. Si protegga invece soprattutto dal desiderio di rivincita del proprio “alleato” Salvini o dalle richieste di un posto nell’Olimpo che potrebbero provenire da Forza Italia.

Ma soprattutto la prossima inquilina di Palazzo Chigi dovrà evitare di fare passi falsi a Bruxelles. Le principali Cancellerie europee sono pronte con il fucile in mano a sparare contro sue eventuali sparate  verbali come quelle profferite al comizio di Vox. Si faccia aiutare da Draghi e dalla sua esperienza nelle istituzioni internazionali, impari davvero a muoversi con cautela. Solo così l’Italia potrà continuare a farsi valere a Bruxelles e nel resto del mondo come avvenuto in questi ultimi 18 mesi al nostro Premier uscente.

Riesca la nostra prima premier donna della storia d’Italia a scegliersi come le ha suggerito Draghi come partner principali  i due paesi guida dell’Unione europea, ovvero la Francia e la Germania. Potrà così pesare di più e sciogliere tutti i dubbi espressi in queste ore dalle Cancellerie europee. Ovvero farsi rispettare evitando alcuni tristi episodi di un passato neppure così tanto lontano   

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