L’arrivo del mese di giugno per i ragazzi è un chiaro segno che sta per finire l’anno scolastico e, insieme al desiderio delle vacanze, fa crescere in loro qualche ansia per le ultime interrogazioni, l’attesa dei voti e le speranze di promozione. La fine del ciclo scolastico annuale può essere anche un’utile occasione per riflettere su argomenti e temi che interessano il mondo della scuola e soprattutto i giovani e il loro futuro prossimo. Tra le tante questioni che la nostra scuola vive e che la complessità della didattica pone, quella dell’educazione alle tecnologie digitali assume ogni giorno di più maggiore importanza e, allo stesso tempo, non è sufficientemente presente nelle aule scolastiche.
I sistemi digitali, siano essi computer, smartphone, social media, wi-fi, app, video streaming e molto altro, entrano continuamente nella vita quotidiana delle persone e in particolare in quella dei giovani, riempiendo la loro vita di connessioni, informazioni e disinformazioni, di relazioni a distanza, di facilitazioni e di minacce. Il digitale ormai “penetra” continuamente tutti noi, insieme alle cose che fanno parte del nostro quotidiano e riempie la nostra vita di procedure codificate, di pixel, di calcoli e di dati. Viviamo un inconsueto destino che unisce oggetti digitali e persone che ogni giorno di più si condizionano a vicenda. Gli elementi realizzati dall’industria digitale vivono con noi, permeano le nostre giornate, riempiono le nostre ore. Siamo attraversati da enormi flussi di bit, sequenze continue di messaggi in mille forme capaci di raggiungere tutti dovunque e nel tempo di qualche decimo di secondo.
I ragazzi, addirittura i bambini, usando i dispositivi “smart” sono conquistati dai loro flussi e vengono continuamente “trafitti” dalle schegge digitali che li raggiungono e li avvolgono, condizionando nel bene e nel male le loro scelte tramite l’enorme quantità di “cose immateriali” che l’informatica ha saputo produrre. È importante ricordare che i giovani, pur essendo più pronti ad accogliere e usare le innovazioni, sono meno capaci degli adulti nel difendersi da esse. Hanno maggiori difficoltà di sviluppare capacità di filtraggio e di critica, pur avendo menti più plastiche che permettono loro di abituarsi facilmente a usare l’hardware e il software degli oggetti digitali che posseggono. Nonostante questa loro esposizione, sono in pochi quelli che si preoccupano di difenderli, di schermarli e anche la scuola non mette in campo tutte le attività formative e informative necessarie per farlo, venendo così meno a una parte dei suoi compiti.
Sono ormai tantissimi gli adolescenti, insieme a tanti adulti, che non osservano più il mondo attraverso i loro occhi. Lo fanno attraverso la videocamera del loro cellulare e interagiscono con i loro amici usando messaggi testuali, brevi video, meme ed emoticon e non tramite le relazioni fisiche dei gesti, della voce, degli sguardi. Le emozioni e le paure per quasi tutti i ragazzi sono ormai in gran parte espresse nelle forme concesse dai dispositivi informatici che mediano il loro rapporto con la realtà. Per comprendere i loro rapporti è necessario quindi indagare sempre più la loro prossemica digitale che definisce le loro percezioni spaziali e temporali e così aiutarli a capire cosa accade loro di fronte agli strumenti digitali.
Da uno studio condotto prima della pandemia da COVID-19 dall’associazione no profit Social Warning (i dati sono stati ottenuti tramite un questionario distribuito ad alunni di scuole medie e superiori di età compresa tra i 12 e i 16 anni) è emerso che il 92% degli adolescenti, quindi più di 9 su 10, naviga in internet senza il controllo dei genitori e che il 41% di essi rimane connesso alla rete anche dopo le 11 di sera. Da quel sondaggio risulta anche una scarsa attenzione dei genitori all’educazione dei propri figli a una conoscenza corretta del digitale e della rete. Il 31% dei ragazzi ha dichiarato di essere un autodidatta nell’uso del web e dei social contro il 25% che invece afferma di essere stato introdotto a internet dai genitori. Soltanto il 9% ha ricevuto informazioni dagli insegnanti o da altri formatori professionali. Il 52,4% dei ragazzi intervistati ha ammesso di non aver nessun limite, controllo o regole da parte della famiglia sull’uso della rete.
Nello scorso febbraio sono stati resi noti i dati i dati dell’indagine sul tema “Cyber-risk e pandemia” condotta dall’Istituto Piepoli per il Movimento Italiano Genitori. Il primo dato emerso dalla ricerca, relativo all’utilizzo del digitale da parte dei minori durante il periodo dell’emergenza COVID, è che nei due anni della pandemia il tempo trascorso dai ragazzi davanti ai device digitali (escludendo l’impegno per la DAD) è aumentato del 67% (+ 48% nel nord ovest, + 71% nel nord est, + 71% al centro e + 74% al sud). Risulta che i due terzi dei ragazzi ogni giorno passano da 2 a oltre 3 ore davanti a uno smartphone. Un altro dato indicativo dell’indagine è quello legato alle conseguenze dovute all’aumento del ricorso al digitale sui rapporti sociali tra i bambini e gli adolescenti. L’87% dei genitori ha riscontrato effetti negativi sui propri figli, il 52% ha segnalato la perdita del contatto fisico con gli altri. Il 77% dei genitori ha riconosciuto che l’uso dei dispositivi elettronici ha compensato la mancanza di relazioni aiutando i figli ad affrontare la chiusura forzata e a mantenere così le relazioni sociali. Il digitale ha quindi utilmente compensato la mancanza di rapporti fisici nella fase grave della pandemia, ma rischia di mantenere questo ruolo di intermediario anche in futuro, rubando così spazio e importanza all’empatia umana e alla maturazione dei ragazzi.
I sistemi digitali offrono certamente grandi opportunità, ma la loro produzione bulimica e il commercio cresciuto attorno a essi rischiano di farli diventare un surrogato del nostro cervello, dei rapporti umani di cui dobbiamo nutrirci. Con sempre maggiore forza, gli strumenti digitali inondano e talvolta logorano le giovani vite, le piegano alle loro logiche, le deformano plasmandole verso un futuro distopico e non consapevolmente innovativo. I nati nei primi anni del nuovo millennio e quelli delle prossime generazioni coabiteranno con i robot e dovranno sviluppare comportamenti e attitudini per gestire l’interazione con il mondo cyborg e con l’intelligenza artificiale. Potranno essere i soggetti primari di questa inedita interazione o semplicemente oggetti della intelligenza tecnologica delle macchine digitali. Questo timore non è infondato se pensiamo a come già oggi molti adolescenti siano vittime manipolate dall’uso distorto della tecnologia. In prospettiva correranno il rischio di diventare una specie secondaria. Dovranno infatti convivere con il rischio di finire col preferire i robot agli umani perché un androide si può programmare per essere ubbidiente, affettuoso, sempre gentile, mentre il rapporto con gli altri umani può essere più complesso, meno diretto e fonte anche di disaccordi e di dispiaceri. In sintesi, esiste il rischio che sia più comodo scegliere un robot come amico invece di una persona. Quel rischio potrebbe aumentare se il nostro amico robot sarà più bravo di noi, sarà capace di farsi ammirare, di condizionarci.
Il tentativo recente di alcuni tecno-entusiasti di introdurre nelle scuole elementi di realtà virtuale tramite il metaverso, stante la poca competenza digitale dei docenti, potrebbe costituire una scelta rovinosa dal punto di vista educativo. Fortunatamente in alcuni casi nelle scuole vengono organizzati iniziative, discussioni, seminari con i ragazzi per informarli delle opportunità e dei rischi del nuovo mondo digitale nel quale sono immersi. Momenti certamente lodevoli e utili, ma non sufficienti. Servono programmi di insegnamento dalle scuole elementari alle scuole secondarie superiori per spiegare cosa sono le tecnologie digitali, come funzionano, quali usi fare, quali possono essere gli effetti globali di una banale pressione del dito sul touchscreen dello smartphone. In sintesi, come diventare protagonisti delle trasformazioni dell’informatica e non essere travolti da esse.
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