Donne ed emergenza sanitaria tra statistica e rispetto della privacy

  ICT, Rassegna Stampa
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La stagione emergenziale che stiamo vivendo ha prospettato, in ogni settore della vita, scenari di azione inediti e mai esplorati prima d’ora: dal pubblico al privato, dalle istituzioni al mondo delle imprese, dalla famiglia alle attività produttive.

In un contesto tanto drammatico, diventa essenziale intercettare i nuovi bisogni emergenti dal tessuto produttivo, per un necessario e urgentissimo rilancio dell’economia nazionale, come pure tratteggiare un quadro fedele della società, delle famiglie, della vita dei singoli. L’obiettivo è duplice: garantire la tenuta sociale del Paese che è a forte rischio e, contestualmente, disegnare le linee di sviluppo per il futuro.

Va in questa direzione la previsione contenuta nell’art. 13 del d.l. n. 34/2020 (convertito con modificazioni nella l. n. 77/2020) e finalizzata a consentire all’Istat di effettuare rilevazioni statistiche nel Programma statistico nazionale. L’obiettivo è quello di valutare, tra gli altri, il senso di isolamento degli anziani, l’interruzione delle cure su malattie croniche, la situazione degli individui in stato di detenzione, il benessere delle donne e il contributo da loro reso alla rimodulazione della vita quotidiana delle famiglie.

Si tratta di obiettivi meritevoli e ambiziosi che interessano da vicino specialmente le donne. È soprattutto su di loro che si è riversato, infatti, il peso di gestire, a livello familiare, la fase emergenziale, avendo dovuto esse fronteggiare il carico maggiore di una situazione senza precedenti perché impegnate non solo nel proprio privato, ma anche nell’attività lavorativa-professionale.

È innegabile che il periodo trascorso in isolamento sociale può aver acuito situazioni di vita più difficili, rafforzando sensi di isolamento e di alienazione. Conoscere le esigenze e le problematiche affrontate dalle donne significa, dunque, entrare nel loro mondo, attingere informazioni dalla loro vita quotidiana, infrangere anche la loro sfera di riservatezza.

È intuitivo che condividere con altri la propria esistenza quotidiana, disvelando il proprio “io” attraverso rilevazioni statistiche, può diventare arduo, se chi è chiamato a fornire informazioni non si sente protetto da quelle che sente come invasioni nella propria sfera di vita privata.

In questa prospettiva – non sembri un ossimoro – la privacy può diventare invece la chiave per “aprire” le donne al mondo e rompere l’eventuale isolamento vissuto.

Le garanzie e le tutele previste a livello normativo dalla disciplina sulla protezione dei dati personali possono rappresentare uno strumento, forse addirittura l’unico, che consente di collegare il mondo più intimo di qualunque individuo con quello della rilevazione di informazioni necessarie all’analisi statistica.

La privacy: un concetto dinamico

Partiamo dal presupposto che la privacy è concetto dinamico che si è evoluto nel corso del tempo. Siamo in presenza infatti di un diritto che è stato positivizzato all’indomani del secondo conflitto mondiale a salvaguardia degli individui dalle ingerenze arbitrarie esercitate da Stati autoritari nella loro sfera privata. Non è un caso che il diritto alla riservatezza sia stato per lungo tempo ancorato al tradizionale “right to be let alone”, ovvero il c.d. “diritto a essere lasciati soli”, elaborato dalla dottrina statunitense di fine ‘800 nel celebre saggio di S.D. Warren e L.D. Brandeis dal titolo “The Right to Privacy” (e pubblicato nel 1890 nella Harvard Law Review). Peraltro, come noto, la privacy era all’epoca intesa quale diritto individuale da esercitarsi nei confronti delle intrusioni effettuate dagli organi di stampa, nell’ipotesi in cui questi avessero divulgato fatti strettamente personali di scarso rilievo per l’opinione pubblica, ma la cui conoscenza avrebbe potuto comportare nocumento e imbarazzo per gli interessati.

Essa ha poi trovato “nuova vita” e molteplici applicazioni pratiche a causa sia dell’intensificarsi dei rapporti commerciali tra gli Stati, sia soprattutto in concomitanza col progressivo sviluppo degli strumenti elettronici e informatici. La possibilità di elaborazione dei dati sempre più sofisticata offerta dalla tecnologia ha naturalmente condotto a considerare la privacy come una delle componenti del diritto alla protezione dei dati personali, che ricomprende in sé anche il diritto ad un corretto trattamento dei dati medesimi.

In sintesi, la privacy, intesa come diritto ad essere lasciati soli ha allargato il proprio spazio di operatività trasfondendosi nel più ampio diritto alla protezione dei dati personali. Vale a dire nel diritto a vedere trattati i propri dati personali secondo criteri di liceità e correttezza, sulla base del consenso dell’interessato o di altro presupposto equipollente, quale il perseguimento di un compito di interesse pubblico. Ciò al fine di poter sempre mantenere il controllo sul patrimonio delle informazioni che riguardano e identificano l’individuo medesimo (c.d. autodeterminazione informativa).

Protezione dei dati personali e analisi statistiche. Ipotesi per un percorso che tuteli le donne

Le considerazioni sopra svolte possono in qualche modo aiutare a spiegare perché abbia senso collegare la privacy, intesa come protezione dei dati personali, e l’attività statistica, ma anche, più in generale, il tema delle donne, scienza e diritto secondo quanto abbiamo sopra detto.

Le garanzie derivanti dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali possono infatti spingere le donne a fornire le informazioni che le riguardano, financo negli aspetti più intimi, e che comunque – in un’inedita prospettiva solidaristica che permea la nostra Costituzione – servono a costruire una nuova politica sociale e di sostegno della famiglia, cellula essenziale e primaria della società.

Naturalmente ciò non vuol dire che il giurista si debba trasformare in uno statistico o viceversa: giurista e statistico si muovono in ambiti scientifici diversi e sarebbe impensabile sindacare da parte dell’uno l’attività scientifica dell’altro.  Il giurista può, tuttavia, fornire allo statistico gli strumenti per una rilevazione utile a raggiungere risultati di miglior qualità; lo statistico, a sua volta, può indicare al giurista nuovi orizzonti di conoscenza sulla persona.

Ed allora se grazie alle cautele stabilite in materia di protezione dei dati personali si instaura un proficuo rapporto di fiducia tra interessato e intervistatore, quest’ultimo potrà acquisire ogni informazione necessaria per raggiungere un risultato statistico di qualità. Se l’intervistato sa di essere protetto e che le sue informazioni verranno trattate secondo canoni di liceità e correttezza, sarà ben predisposto a condividere la sua vita con l’intervistatore. Diversamente, se non si instaura un circuito virtuoso e “fiduciario” tra le parti, l’indagine rischierà di essere fondata su dati parziali o produrre, addirittura, risultati falsati.

Solo attraverso la costruzione di processi interattivi di questo tipo, fondati su una leale e trasparente collaborazione, si potranno sciogliere eventuali resistenze all’indagine statistica. Se l’essenza delle donne è a ragione ritenuta volano per un aggiornamento del welfare pubblico, la protezione dati – qualificata come fondamentale diritto di libertà dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – rappresenta a sua volta uno dei pilastri su cui poggiare l’attività statistica, così come è stato per l’attività di protezione civile, di ricerca scientifica, di prevenzione della diffusione dell’epidemia, e per tanto altro ancora.

La protezione dei dati personali: un presidio di garanzia costituzionale nei tempi dell’emergenza

Il diritto costituzionale insegna che le limitazioni dei diritti e delle libertà fondamentali devono essere ragionevolmente circoscritte entro una misura strettamente indispensabile, temporalmente delimitate, e con una revisione costante della loro proporzionalità e necessità.

Certo, ogni contesto emergenziale, per di più drammatico come quello che abbiamo vissuto e prolungato nel tempo, determina torsioni nel normale funzionamento di un sistema liberal-democratico. Ma ciò che va evitato in ogni modo è il sentimento, pericoloso e mortifero, di assuefazione, se non addirittura di indifferenza, che può sorgere rispetto ad una progressiva limitazione di diritti e di libertà.

Nei mesi dell’emergenza (ma anche adesso), non vi è settore disciplinato dal decisore politico che non abbia avuto a che fare, direttamente o indirettamente, con la disciplina della protezione dei dati personali. Si tratta di una materia cangiante, un prisma riflettente, che si evolve con lo sviluppo della tecnologia e accompagna le metamorfosi della società.

Essa ha per così dire “puntellato” efficacemente il “governo dell’emergenza”, sotto il profilo dei diritti, delle libertà e delle garanzie democratiche in un inedito e non sempre facile ruolo di presidio costituzionale. In quanto diritto dall’applicazione versatile e trasversale a ogni ambito della vita – dal lavoro alle relazioni interpersonali, dai rapporti commerciali all’immagine pubblica di sé, ecc. – essa ha costituito un ancoraggio sicuro rispetto ad iniziative che potevano portare con sé il rischio, data anche l’eccezionalità del contesto, di porsi al di fuori della legalità costituzionale.

Un messaggio

La Costituzione è la stella polare che ha segnato fin qui il mio cammino e dalla quale mai dovremmo deflettere; da componente dell’Autorità Garante, che la protezione dei dati personali sarà sempre da me intesa come un “valore” di respiro costituzionale, nel quale peraltro oggi si vengono a coagulare le più straordinarie e delicate sfide legate allo sviluppo tecnologico, di certo non un ostacolo alla ripresa del Paese; da donna, che c’è ancora un bel po’ di strada che dobbiamo fare per ripartire. Meglio se lo faremo insieme.

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