DOPPIA PROVA AL LICEO CLASSICO: ESCONO TACITO E PLUTARCO

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Al debutto la “doppia” seconda prova nei banchi di Liceo Classico. I maturandi dovranno tradurre una versione di Tacito e commentare un passaggio di Plutarco di Cheronea. I due brani, oltre ad appartenere alla prosa storiografica, sono legati da un unico filo conduttore: la morte di Galba, il primo dei “Quattro Imperatori” del 69 d.C. In questo articolo traduzione e analisi della prova.

Attenti a quei due! Se in passato gli studenti di Liceo Classico dovevano stare attenti solo al greco o al latino, ora la minaccia è duplice. Ma niente paura: la versione da tradurre rimane solo una, nel caso dei maturandi di quest’anno si tratta del latino. Agli studenti classicisti capita quest’anno Publio Cornelio Tacito, lo storiografo latino per antonomasia: un autore non semplicissimo, anzi considerato forse la bestia nera degli studenti di liceo classico, al pari del suo corrispettivo ellenico Tucidide. Il testo taciteo da tradurre è corredato da una nota introduttiva, un pre-testo e un post-testo. Nella seconda pagina invece, gli studenti hanno trovato un brano di Plutarco di Cheronea, storiografo e biografo vissuto nello stesso periodo di Tacito, con traduzione a fronte, inserito nella prova come termine di confronto critico. I due brani, sia quello da tradurre che quello da commentare e confrontare, sono uniti da un unico filo conduttore: la morte di Servio Sulpicio Galba, il primo dei Quattro Imperatori che si successero nel 69 d.C. Il brano di Tacito è tratto, indubbiamente, dalle Historiae, mentre quello plutarcheo è tratto dalla Vita di Galba, una delle poche biografie (assieme a quella di Otone, Arato e Artaserse) a non far parte delle Vite Parallele. 

Interessante la scelta da parte del Ministero di inserire un autore notoriamente ostico, con uno stile nettamente opposto alla simmetria del periodare, ricca di asindeti e con figure retoriche più tipiche dei testi poetici che della prosa storiografica. Parimenti, desta anche stupore la scelta di valorizzare un tema e un periodo così delicato, ma soprattutto poco affrontato tendenzialmente al liceo, come l’anno dei Quattro Imperatori. I maturandi hanno a disposizione sei ore per tradurre il testo taciteo e per rispondere alle tre domande di comprensione del testo poste nel foglio finale della seconda prova. 

Prima di proporre una nostra traduzione del brano, analizziamo il periodo storico:

L’anno, dicevamo, è il 69 d.C. La Gens Iulio-Claudia è morta assieme a Nerone, il quale, in seguito alle decine di ribellioni e congiure ordite contro di lui, si uccide il 9 giugno 68, nella villa suburbana del liberto Faonte, pugnalandosi alla gola facendosi aiutare dal suo segretario Epafrodito e gridando, secondo la tradizione, “Che artista muore assieme a me!”
Parallelamente alla morte dell’Imperatore, con un plebiscito il Senato eleva alla porpora imperiale Servio Sulpicio Galba, Governatore della Hispania Tarraconensis. Galba, venuto a conoscenza della morte di Nerone e della sua elezione, marciò subito verso Roma e assunse il titolo di Caesar Augustus. Galba rimase al potere per ben otto mesi, nei quali attirò su di sé l’inimicizia dei soldati, ai quali non concesse mai elargizioni o ricompense, del popolo, che cominciava a rimpiangere Nerone, ma soprattutto dei Pretoriani, ai quali invece non diede il donativo che il senato aveva promesso loro dopo la morte di Nerone. Quello che fu fatale a Galba fu la scelta di adottare come successore e coadiutore Lucio Calpurnio Pisone Liciniano invece di Marco Salvio Otone, suo storico alleato. Come un burattinaio che tiene le marionette per i fili, Otone cominciò a cospirare contro Galba, fomentando i Pretoriani e l’esercito contro l’Imperatore, facendo leva sul loro malcontento.

Da queste premesse parte la testimonianza di Tacito, oggi oggetto di traduzione dei maturandi. Nel pre-testo leggiamo:

Nel frattempo Otone, che non poteva sperar nulla dal ristabilimento dell’ordine, anzi, fondava sul disordine ogni suo piano, era assillato da molti stimoli: un fasto che sarebbe stato oneroso anche per un principe, un’indigenza a mala pena tollerabile da un privato, ira contro Galba, invidia contro Pisone; creava timori anche a sé stesso, per eccitare la propria bramosia (…) pensava che bisognava quindi osare ed agire, mentre l’autorità di Galba era debole e quella di Pisone ancora non consolidata. Le mutazioni di governo sono propizie ai grandi tentativi, e non serve temporeggiare là dove l’inazione è più dannosa dell’audacia.

Trad. A. Arici, Torino, UTET, 1970

Il testo da tradurre è invece il seguente:

Octavo decimo kalendas Februarias sacrificanti pro aede Apollinis Galbae haruspex Umbricius tristia exta et instantis insidias ac domesticum hostem praedicit, audiente Othone (nam proximus adstiterat) idque ut laetum e contrario et suis cogitationibus prosperum interpretante. Nec multo post libertus Onomastus nuntiat expectari eum ab architecto et redemptoribus, quae significatio coeuntium iam militum et paratae coniurationis convenerat. Otho, causam digressus requirentibus, cum emi sibi praedia vetustate suspecta eoque prius exploranda finxisset, innixus liberto per Tiberianam domum in Velabrum, inde ad miliarium aureum sub aedem Saturni pergit. Ibi tres et viginti speculatores consalutatum imperatorem ac paucitate salutantium trepidum et sellae festinanter impositum strictis mucronibus rapiunt; totidem ferme milites in itinere adgregantur, alii conscientia, plerique miraculo, pars clamore et gladiis, pars silentio, animum ex eventu sumpturi.

La traduzione che vi propongo io è questa:

Diciotto giorni prima le Calende di Febbraio (il 15 gennaio) l’aruspice Umbricio predice a Galba che sacrificava di fronte al tempio di Apollo presagi (exta = letteralmente “interiora animali”, da cui gli aruspici traevano i loro vaticini) tristi, insidie incombenti e un nemico in casa, mentre Otone (che si era fermato lì vicino) intanto ascoltava e al contrario interpretava ciò come un responso lieto e favorevole per i suoi piani. E non molto dopo il liberto Onomasto annuncia di essere atteso dall’architetto e dagli appaltatori, fatto che era stato convenuto come segnale dei soldati già riuniti e della congiura pronta. Otone avendo inventato a coloro che chiedevano il motivo del (suo) allontanarsi di comprare per sé un vecchio podere, e di dover ispezionare le parti pericolanti in esso, appoggiatosi al liberto avanza attraverso il palazzo di Tiberio nel Velabro, e da lì fino al miliario aureo sotto il Tempio di Saturno. Lì, dopo averlo salutato come imperatore mentre lui (Otone) era preoccupato per l’esiguo numero dei presenti, ventitré guardie del corpo lo fanno salire in fretta sulla lettiga e, con le spade in pugno, lo portano via. Durante il tragitto si aggregano all’incirca altrettanti soldati, alcuni con coscienza, i più per la curiosità, una parte con spade e con grida, una parte in silenzio, pronti a prendere coraggio dall’evolversi degli eventi.

Trad. Michele Porcaro

A seguire, troviamo il seguito del brano, sempre nella traduzione di Arici:

Era di guardia nell’accampamento il tribuno Giulio Marziale. Questi, forse spaventato dalla gravità dell’improvviso attentato o forse temendo che nel campo fosse già troppo diffusa la congiura e che il resistere fosse per lui pericolo mortale, suscitò in molti il sospetto di complicità. Anche gli altri tribuni e centurioni preferivano un presento certo a un avvenire onorevole, ma incerto e tale fu la disposizione degli animi e tanta scelleratezza fu osata da pochi, voluta da molti e subita da tutti. 

Il brano si presenta tutt’altro che semplice, con diversi costrutti piuttosto ostici e macchinosi, ma di certo non improponibile. Sicuramente molto difficile per un diciottenne, la cui preparazione grammaticale e sintattica potrebbe non essere sufficiente per affrontare un “Mostro Sacro” come Publio Cornelio Tacito. La marginalità dell’episodio inoltre, poco considerato nei programmi di storia delle superiori, non è sicuramente d’aiuto agli studenti. Quello di Tacito è uno stile particolare, e già da questa versione emergono i punti salienti della lingua e dello stile dello storico latino. Lontano da una proposizione asciutta e cronachistica degli eventi, lo stile di Tacito è pieno di vigore, tensione e gravità: punto centrale è la varietà della prosa, che rende le sue letture da un lato avvincenti e mai banali, ma d’altro canto di difficile traduzione e interpretazione. La lingua è accuratamente selezionata, esente da termini bassi e volgari. Caratteristica propria dello stile tacitiano è l’impiego della brevitas, che lo storico ottiene attraverso l’ellissi di sostantivi o predicati, molto spesso coniugata all’asindeto. Non a caso una delle tre domande poste agli studenti, oltre alla traduzione, chiede loro proprio di individuare passaggi nel brano da loro tradotto gli elementi che caratterizzano la brevitas tacitiana. Nel brano esempi di brevitas sono nella frase “Otho, causam regressus … pergit” e in “consalutatum … trepidum … impositum” dove la simultaneità di più azioni di più soggetti è condensata in un’unica unità sintattica. La brevitas, ovvero la l’esigenza della concisione, rende lo stile di Tacito più condensato, spezzato, rapido, e, forse proprio per questo, più arduo da tradurre. 

Plutarco di Cheronea, il cui brano è stato proposto agli studenti come confronto, nel complesso concorda con la versione tacitea. Unica differenza sostanziale, come si potrà leggere di seguito, è che, di fronte agli auspici di Umbricio, qui Otone rimane sconcertato, quasi come se non fosse pronto a far partire la congiura. In Tacito, al contrario, Otone interpreta i vaticini dell’aruspice come segni positivi, come se gli dei fossero favorevoli alle sue intenzioni. Vi è inoltre una descrizione fisica e psicologica di Otone: se nel corpo era tutt’altro che valente e robusto, caratterialmente vantava una tempra solida e tenace, che tuttavia vacilla di fronte ai preparativi dell’attentato a Galba. Il testo di Plutarco, proposto agli studenti in greco con la traduzione a fronte, è il seguente:

Quel giorno di buon mattino Galba sacrificava sul Palatino alla presenza di amici e l’aruspice Umbricio, nel prendere in mano le viscere della vittima per esaminarla, non in modo oscuro ma chiaramente disse di vedere segni di un grande scompiglio ed un pericolo di tradimento incombente sul capo dell’imperatore, mentre la divinità quasi gli consegnava in mano Otone. Egli infatti era presente alle spalle di Galba e stava attento a quanto veniva detto e mostrato da Umbricio: poiché era sconvolto e cambiava continuamente colore per la paura, gli si avvicinò il suo liberto Onomasto e gli disse che gli architetti erano arrivati e lo aspettavano a casa. Era questo il segnale del momento in cui Otone doveva andare incontro ai soldati. Dicendo dunque che aveva comprato una vecchia casa e voleva mostrare le parti sospette ai venditori, se ne andò e scendendo attraverso i cosiddetti palazzi tiberiani andò verso la piazza dove si innalza una colonna aurea, alla quale terminano tutte le strade costruite in Italia. Dicono che i primi ad accoglierlo qui e a salutarlo imperatore fossero non più di 23: per questo benchè non fosse debole di animo così come era debole e molle fisicamente, e fosse invece audace e impassibile di fronte ai pericoli, si spaventò. I presenti non permisero che tornasse indietro, ma circondando la sua lettiga con le spade in pugno ordinarono che venisse portato via, mentre lui ripeteva sottovoce che era perduto e incitava i portantini ad affrettarsi. Alcuni sentirono che furono sorpresi più che turbati dalla esiguità del numero di coloro che avevano osato l’impresa. Mentre per questo modo lo portavano attraverso il foro, si presentarono altrettanti soldati e poi altri ancora si unirono in gruppi di tre o quattro… 

Traduzione di Angelo Meriani e Rosa Giannatasio Andria, UTET, Torino 1998

Due interessanti prospettive di uno stesso episodio; due notevoli testimonianze storiche di un affascinante e delicato momento della storia di Roma, raccontato attraverso la prospettiva di uno storiografo romano e di un biografo greco. Un brano non facile da tradurre, ma che sicuramente mette alla prova tutte le nozioni della lingua latina apprese dagli studenti nel corso del quinquennio.

Piccola curiosità

Tacito non ha dovuto pazientare molto prima di essere ripescato come autore di seconda prova: l’ultima volta che gli studenti di Liceo Classico hanno dovuto affrontare, vocabolari alla mano, il temibile Publio Cornelio Tacito è stato nel 2015, quando il Ministero assegnò come seconda prova un brano tratto dagli Annales di Tacito relativo agli ultimi giorni di vita dell’Imperatore Tiberio. 

                              Michele Porcaro 

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