Nell’intervento a Tor Vergata ha aggiunto: «solo insieme gli Stati europei conteranno nel mondo e Brexit sarà il suicidio degli inglesi». Sull’immigrazione: «assurdo mettere muri tra le persone in un mondo costruito sulla mobilità».
Roma – Venerdì 8 febbraio Enrico Letta ha partecipato, presso l’Università di Roma Tor Vergata, al ciclo di lezioni “Prepararsi al futuro” ideate da Piero Angela. Con la sua profonda esperienza internazionale, con il suo spirito vivace e curioso, con la sua dialettica chiara e avvolgente. Per preparare alle sfide cruciali del futuro prossimo le nuove generazioni di studenti-cittadini consapevoli; a partire da quelle in campo europeo. Le scelte prossime saranno fondamentali: che tipo di società vogliamo essere? Quale Italia, quale Europa?
Ministro e parlamentare, Letta ha portato nel simposio universitario le sue nuove idee, le sue proposte e acute riflessioni, illuminanti. Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014, nel 2015 decise di dimettersi dalla Camera per andare a dirigere la Scuola di Affari internazionali dell’Università Sciences Po di Parigi, che continua a presiedere. Nello stesso anno ha fondato in Italia la Scuola di Politiche e l’Associazione Italia – Asean; dal luglio 2016 è Presidente dell’Istituto “Jacques Delors – NOTRE EUROPE“. Come autore di narrativa e saggistica ha pubblicato il suo ultimo libro, un Instabook (fruibile anche su Instagram), intitolato “Ho Imparato”, sulle sue varie e recenti esperienze di vita per un “viaggio con i giovani sognando un’Italia mondiale”.
L’intervento
«L’Unione Europea è l’unico esperimento di unione di minoranze riuscito oggi nel mondo, ma oggi tutti ci chiediamo: perché dobbiamo stare insieme, uniti? Io penso perché il modello di vita europeo sia il migliore che c’è. Questo modello significa rispetto della persona (la parità di genere, i diritti del lavoratore, il no alla pena di morte) e rispetto dell’ambiente (tutte le norme di protezione dell’ambiente che abbiamo nei nostri paesi provengono dall’Unione): vorrei che i miei figli vivessero in un mondo così, e regolato dalle norme ambientali europee. Significa una grande varietà e profondità di storie, capacità e di valori e tolleranza.
Solo insieme il vecchio continente può essere rilevante e influente in un mondo che nel 2050 sarà composto da 10 miliardi di persone, concentrate in altre zone geografiche, soprattutto nel sud-est. Dobbiamo tutti difendere l’importanza fondamentale dell’Europa per rapportarci al globo intero, quando molti politici invece ci dicono che tutti i mali provengono da Bruxelles.
Le riflessioni delle nostre debolezze vanno poste su altri temi, su verità e onestà di analisi storiche, politiche e sociali da cui i vari Salvini, Orban e i pro Brexit si nascondono. La Brexit sarà un suicidio per l’Inghilterra, verso un isolamento gravissimo. E in Italia mancano le voci che dicano a chi si nasconde dietro le frasi “è colpa dell’UE o dei migranti” che sono falsità. Oggi manca al popolo questo essere critici, perché nessuno lo insegna più.
La grande modernità degli europei è proprio l’essere tante cose, in una grande mescolanza di ricchezze, e allora non possiamo nemmeno negare nuove contaminazioni, nel rispetto dei diritti che noi abbiamo fondato e su cui siamo fondati: in una contemporaneità basata sullo scambio e la mobilità (di mezzi, di denaro) è assurdo mettere limiti alle identità. Per questo vorrei realizzare il progetto dell’Erasmus Teens per le scuole secondarie coinvolgendo milioni di ragazzi, aprendo ancora i confini, le scuole, le identità, le menti, le opportunità.
Poi certo, dobbiamo trovare l’equilibrio tra sicurezza e obblighi umanitari. Bisogna aprire vie legali di accesso all’Europa, distinguendo migranti economici e richiedenti asilo. Una proposta per la crisi migratoria in Europa potrebbe essere anche un signor migranti in commissione. Dobbiamo recuperare il ruolo centrale italiano nel Mediterraneo, puntare sulla mobilità e circolarità dei migranti economici, sulla creazione di un mercato del lavoro regionale africano da collegare a quello europeo. Ma si respingono barconi e si alzano muri.
Trump in questo senso è un altro problema: la filosofia del me First esclude gli altri, minaccia un mondo aperto con vantaggi per tutti. E il rischio è che Trump diventi un modello, sta creando altri nemici come la Cina in una escalation pericolosa che non possiamo permetterci.
Noi l’Europa bisogna farla: tra decenni piccoli stati come i nostri non avranno forza e peso nel mondo. Le opportunità del cambiamento ci sono ma la classe politica, in Italia soprattutto, è vecchia, novecentesca, come può vedere il cambiamento? Le trasformazioni della società hanno aumentato la spinta alla partecipazione alla vita pubblica ma i partiti non hanno favorito l’ingresso delle nuove generazioni, per primo il PD. Non c’è più una formazione della classe dirigente e io credo che il politico deve fondarsi sull’equilibrio tra competenza e rappresentanza.
Mi chiedo: ci sarà la democrazia rappresentativa nel 2050? La democrazia opera con tempi ormai troppo lunghi, dovremmo portare le legislature da 5 a 3 anni. Le risposte alla società devono essere più veloci, la politica deve seguire la vita vera, oggi più smart.
Oggi l’impossibile sta diventando possibile, siamo qui a parlarne perché dobbiamo pensare all’impensabile e prepararci al futuro.
Devo ammettere che la fine della mia vita politica è diventata un’opportunità di lezioni di vita; non smettete mai di imparare, che è la cosa più bella che c’è al mondo».
L’intervista
“Prepararsi al futuro” è un ciclo di lezioni pensato per i giovani studenti meritevoli; proprio in tema di meritocrazia l’Italia è spiacevolmente ritenuta e divenuta luogo comune dell’esatto contrario. In base alla sua esperienza nazionale e internazionale, qual è la nostra situazione riguardo la meritocrazia?
Secondo me la meritocrazia è oggi uno dei concetti più in difficoltà nel nostro paese perché è passata, passa l’idea, che studiare, impegnarsi non sia poi così importante, perché tanto non è la fatica dello studio che ti fa raggiungere i risultati. I messaggi che vanno nella direzione di disincentivare la fatica, lo studio, sono sempre di più e questo secondo me è molto negativo. Anche perché è in controtendenza con quello che capita nel resto d’Europa, dove ad esempio la spinta semmai è all’opposto.
Mi chiedo perché sia cambiato e stia cambiando questo: è quella che io chiamo la logica della scorciatoia, la logica della pigrizia, con la quale tanto le risposte alle domande che io ho, su Google e Wikipedia, le trovo, quindi perché faticare?! Bisogna combattere questa moda, questa pigrizia che sta prendendo piede nel nostro paese, incentivando percorsi che consentono risultati positivi e soprattutto opportunità.
Io sono per spingere i ragazzi a fare esperienza all’estero, in cui si formano, capiscono come funzionano le cose, prendono sfide. Questo vale per l’Erasmus, e io sono anche per l’estensione dell’Erasmus al Liceo: è una delle proposte che faccio alla quale credo moltissimo. Fare un pezzo di un percorso scolastico all’estero, a 16 anni, ti cambia la vita e bisogna dare a tutti i ragazzi l’opportunità di farlo.
Come si vede da qui a 5 anni? Se in Italia, se in ambito universitario o politico…
Ho smesso, ho smesso da tempo di fare previsioni sul mio futuro. Se mi avessero detto 10 anno fa quello che sto facendo oggi, cioè lavorare coi giovani fuori dalla politica non so se ci avrei creduto. Tra 5 anni chissà, non lo so.
Sente il logorio dell’assenza di potere?
No, assolutamente no. Facciamo vite nelle quali l’imprevedibile diventa molto normale, e quindi sono aperto veramente a cogliere occasioni e opportunità. Sono curioso della vita, curioso del mondo, mi piace continuare a dare una mano ai giovani italiani. L’esperienza che ho lanciato della Scuola di Politiche, questa esperienza formativa per 100 ragazzi italiani all’anno gratuita, è una cosa che sicuramente continuerò, va avanti da 3 anni ed è un grande successo. Quella so che sicuramente per 5 anni sarò ancora lì a seguirla.
Nel suo libro appena uscito (“Ho imparato”) ha scritto che l’Unione Europea non è nata su un calcolo di utilità, ma su ideali nobili. Però oggi non sappiamo più riconoscerli e capire perché è stata fatta l’Europa. Cosa possiamo fare da cittadini per l’Europa e per l’idea di Unione?
Secondo me bisogna ripartire dai valori e dal fatto che non è un calcolo opportunistico, ma un calcolo molto più di lungo respiro, più importante, un’idea di valori che ci accomunano. Sono tanti, su tanti temi, dai temi dell’ambiente a quelli della protezione dei dati personali, dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori, della laicità della Stato, della parità tra uomo e donna. Posso fare un lungo elenco: il no alla pena di morte, l’indipendenza della magistratura. Non ci sono paesi e continenti al mondo come l’Europa dove tutti questi valori sono applicati. Siccome da noi sono tutti li diamo per scontati, quindi pensiamo di poter anche distruggerla questa Europa, tranquillamente. È un errore, uno sbaglio grosso, perché non ci sono altri posti dov’è così. E io penso che dobbiamo ripartire da questi valori.
La prima cosa che ha imparato è stata che la fine della sua vita politica è diventata un’opportunità straordinaria di lezioni di vita; adesso che ha imparato può esporre nuove idee e nuove riflessioni. Ci voleva Renzi per questo? Non si può imparare prima, per svolgere un impegno politico ancora migliore? È possibile che i politici smettano di essere persone normali dentro la realtà delle cose e dei problemi che tutti hanno?
È una bella domanda, ha assolutamente ragione. Questa cosa l’ho imparata ex-post, ed è questo il motivo per cui parlo con gli studenti, coi giovani, passo la mia vita con loro per cercare di trasmettere proprio questo concetto. Ci credo molto, per me è stato una grande scoperta positiva.
Emanuele Forlivesi
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