Fibercop è partita prima delle regole ed era già pienamente attiva due anni prima che si arrivasse all’approvazione degli impegni vincolanti da parte dell’Autorità Antitrust.
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E’ stata dunque una scelta coraggiosa da parte di TIM in quanto esercitante un controllo su Fibercop, perché si è sobbarcata il rischio derivante dall’applicazione delle regole che sarebbero dovute essere immediatamente ribaltate sulla controllata. A ingarbugliare le carte sono state tre vicende distinte e contemporanee: la proposta di separazione legale volontaria della rete secondaria, la creazione di Fibercop e l’avvio del riconoscimento delle attività susseguenti come coinvestimento.
E’ chiaro che aver avviato i cavalli prima del segnale di partenza è stata una forma di “prepotenza” nei confronti del mercato che – a leggere i contributi inviati dagli operatori – non sembra affatto soddisfatto da questa scelta opportunistica dell’operatore incombente. Del resto, in Italia, dove i controlli antitrust guardano di più agli effetti restrittivi piuttosto che alle intese in sé considerate, è possibile che nessuna autorità decida di avviare un processo di indagine con l’intenzione di bloccare un processo industriale, dove intervengono ingenti finanziamenti che altrimenti non avrebbero avuto luogo. Il riferimento in questo caso è all’intervento di KKR (1,8 miliardi per il 37,5% di Fibercop ndr), che ha permesso l’avvio di un processo infrastrutturale di notevole portata.
Approvazione era nell’aria
L’approvazione degli impegni quindi era nell’aria. In parte sono impegni modesti, che impegnano cioè in misura inferiore alle aspettative. Gli impegni peraltro sono molteplici, e non sono solo di Fibercop, sono anche di Tim, Fastweb, KKR e Tiscali. Ciascuno per competenza. La strada è ormai tracciata: con l’avvento del coinvestimento, si procederà solo per accordi ed impegni, ed essendo considerato coinvestimento anche l’acquisto di IRU a 20 anni, probabilmente anche Agcom continuerà ad analizzare solo aspetti regolamentari legati ai processi interni. Il concetto di replicabilità delle offerte retail ad esempio, diventerà sempre più evanescente.
In questo scenario è possibile intuire che qualcuno dei grandi operatori non sia soddisfatto da questo nuovo assetto deregolamentato e potrà decidere di ricorrere al TAR in primis contro gli impegni stessi, oppure contro le prossime delibere dell’autorità di regolazione, proprio come è accaduto in passato in situazioni analoghe. O perfino si cercherà di promuovere attività europee. Sono tutte strade lunghissime ed in salita. Anche se ci sono già le prime avvisaglie di vizi procedurali che permangono nello scetticismo generale del mercato. Qualche passaggio intermedio sembra essere sfuggito.
In questo contesto di cambiamento, è dunque possibile che si innesti un processo di regulation by litigation che ben conosciamo, forse in forma più aspra nella misura in cui i grandi attori del mercato potrebbero non essere completamente soddisfatti dal rinnovato quadro concorrenziale.
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