Nonostante gli appelli alla calma dei leader pro-indipendenza, la Nuova Caledonia ha vissuto una seconda notte di violenza tra martedì 15 e mercoledì 16 maggio. Due persone sono state uccise durante gli scontri, a cui si aggiunge un poliziotto morto poche ore fa.
Mercoledì 15 maggio, l’Assemblea Nazionale a Parigi ha adottato il progetto di riforma costituzionale volto ad ampliare l’elettorato eleggibile alle elezioni provinciali della Nuova Caledonia. Dal 1998 e dall’Accordo di Nouméa, l’elettorato era stato congelato, cioè non ci si poteva iscrivere alle liste elettorali anche se ci si trasferiva nell’arcipelago, uno stato di cose considerato antidemocratico dal Governo di Emmanuel Macron.
Nello stesso tempo però c’è il pericolo che la rimanente popolazione indigena, i kanak, vengano diluiti in una maggioranza francofila che non voglia distaccarsi da Parigi.
Il voto arriva in un contesto di altissima tensione nel territorio, segnato da due notti di violenze che hanno causato due morti e “centinaia” di feriti – tra cui un gendarme ucciso da un colpo d’arma da fuoco – secondo il Ministro degli Interni e della Francia d’Oltremare Gérald Darmanin. Emmanuel Macron ha deciso mercoledì 15 maggio di dichiarare lo stato di emergenza. I leader pro-indipendenza avevano già chiesto la calma martedì 14 maggio, ma senza successo. Le principali voci kanak hanno perso la loro influenza? La loro base è al di là della loro autorità? In superficie forse, ma la realtà è più complessa.
Una situazione senza precedenti
Mentre la violenza delle ultime notti ha raggiunto una fase critica, con numerosi arresti e scontri tra giovani e polizia, la rabbia in Nuova Caledonia segue un aumento delle tensioni con il governo centrale. Dal 1998 e dall’Accordo di Nouméa, l’elettorato per le elezioni provinciali era stato congelato e comprendeva “coloro che avevano partecipato o avrebbero potuto partecipare alle elezioni del 1998 e coloro che potevano dimostrare 20 anni di residenza continuativa in Nuova Caledonia alla data della consultazione e al massimo entro il 31 dicembre 2014”.
L’accordo prevedeva anche una maggiore autonomia per la Nuova Caledonia e istituiva un governo, un congresso e un senato consuetudinario. Ha anche portato a tre referendum sull’indipendenza nel 2018, 2020 e 2021, che si sono tutti conclusi con una vittoria del ‘no’. L’ultimo referendum è stato boicottato dai sostenitori dell’indipendenza, che ritenevano che le condizioni sanitarie non permettessero di condurre una campagna equa.
Per Isabelle Merle, direttore di ricerca del CNRS e specialista del Pacifico, la sequenza è “senza precedenti”. “Non avevamo visto manifestazioni di questa portata nemmeno tra il 1984 e il 1988” (il periodo di disordini sullo sfondo delle rivendicazioni pro-indipendenza che ha provocato una ventina di morti), spiega la ricercatrice, che sottolinea l’impressione che il movimento pro-indipendenza abbia “declassato” l’Accordo di Nouméa, e addirittura che sia “giunto al termine”.
“Non hanno più nulla da perdere”
Chi sono dunque questi manifestanti e rivoltosi? La particolarità della violenza delle ultime notti sta nell’età dei partecipanti. In un briefing con la stampa nella mattinata di martedì 14 maggio, l’Alto Commissario francese in Nuova Caledonia, Louis Le Franc, ha parlato di scontri “estremamente violenti” tra la polizia e un centinaio di giovani che erano “fuori controllo”. Ha anche sottolineato “l’uso di armi da fuoco”.
Isabelle Merle dipinge un quadro di rivoltosi “molto giovani”, di età compresa tra i 14 e i 16 anni, “che hanno abbandonato la scuola” e “supervisionati in modo inadeguato con un’offerta educativa insufficiente”. Mentre la ricercatrice sottolinea l’importanza del Régiment de Service Militaire Adapté nella loro integrazione, sottolinea anche la loro mancanza di prospettive: “non hanno nulla da perdere”.
Ignorati gli appelli alla calma
In risposta, diversi media locali hanno riferito che i residenti stanno organizzando milizie di quartiere in diverse aree di Nouméa. In una dichiarazione pubblicata in mattinata, il Front de libération national kanak et socialiste (FLNKS) ha chiesto di “placare gli animi” dopo le violenze, in seguito alle dichiarazioni di importanti personalità pro-indipendenza.
Lunedì 13 maggio, il presidente del gruppo Union Calédonienne (UC) – FLNKS al Congresso, Pierre-Chanel Tutugoro, ha invitato i rivoltosi a “calmarsi”, come riportato da La 1ère, e ha sottolineato le discussioni in corso a livello locale: “È nostra responsabilità affrontare le questioni che riguardano il Paese per evitare che le strade prendano il sopravvento”.
Jean-Pierre Djaïwé, leader del gruppo Union Nationale pour l’Indépendance (UNI) al Congresso, si è rammaricato del fatto che le azioni in corso non mirano più “a raggiungere un risultato politico, ma in definitiva a peggiorare le cose”. Ha ricordato l’appello di Emmanuel Macron per i colloqui a Parigi, vedendo in questo un’opportunità.
Però non sembra che questi partiti indipendentisti tradizionali abbiano più molta presa su giovani che non rispondono più a nessuno e che hanno preso la proposta di allargamento della base elettorale, comunque ancora in discussione, solo come un preptesto per una rivolta.
Nella tarda mattinata di oggi (mercoledì 15 maggio), i gruppi politici della Nuova Caledonia – UC-FLNKS, UNI, Lealisti, Rassemblement ed Éveil océanien – hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si invita la popolazione a “calmarsi e ad essere ragionevole”. Hanno inoltre espresso la convinzione che attraverso il “dialogo” e la “resilienza” sarà possibile “uscire collettivamente da questa situazione”.
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