Gli Usa sui semiconduttori hanno perso la bussola

  ICT, Rassegna Stampa
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Nel giugno del 2021 il Senato Usa ha approvato una legge che destinava più di 50 miliardi di dollari per aumentare la produzione di semiconduttori.

A quell’epoca, si legge in una approfondita analisi di Bloomberg, la carenza di chip per computer dovuta alla pandemia in pieno corso metteva in evidenza la vulnerabilità statunitense e la difficoltà di approvvigionamento di diverse catene di produzione, di pari passo con le crescenti tensioni geopolitiche con la Cina dovute a tensioni e timori per la sicurezza nazionale legata alla tecnologia cinese. Quindi, aumentare e potenziare gli sforzi per raggiungere una sorta di autoproduzione tecnologica sembrava la soluzione migliore su tutto lo spettro politico.

Fondi pubblici per la industry ancora fermi

Ma dopo più di un anno, quei fondi – legati ad un atto ufficiale, la legge denominata Chips Act – non sono stati ancora distribuiti. Il leader della minoranza al Senato, Mitch McConnell, ha detto che non intende votare questa legge a meno che i democratici non abbandonino i loro piani di spesa in materia climatica e su altre questioni. I democratici, la cui agenda è in ogni caso in fase di stallo, stanno preparando una versione più limitata della legge sui chip, e i Repubblicani al Congresso sono pronti a sostenere la nuova versione.

Ma il rischio che al Congresso le cose possano entrare in una fase di stallo non è così peregrino. E comunque Washington ha già dimostrato di non essere in grado di agire tanto prontamente quanto richiederebbe la sua retorica. Le aziende americane non sono contente, visto l’attivismo sul fronte dei chip mostrato in altri paesi del globo.

Microchip, soltanto il 12% prodotto in casa negli Usa

Tanto più che tutta la riorganizzazione della industry americana dei chip si svolge altrove rispetto alla Silicon Valley. Soltanto il 12% del fabbisogno americano di chip viene prodotto a li vello domestico, rispetto al 37% degli anni ’90, e gli Usa non hanno le competenze per produrre in casa le componenti più sofisticate su ampia scala.

Intel cerca di tenere il passo, ma le stelle nascenti dei chip sono asiatiche: Samsung Electronics, che lo scorso anno ha superato proprio Intel come primo produttore di chip per ricavi, e Taiwan Semiconductor Manufacturing (TSM), che supererà Intel nel 2023.

Asia ed Europa più avanti

I Governi di Cina, Giappone e Corea del Sud hanno tutti lanciato una campagna destinata a nazionalizzare il più possibile la produzione di chip, con incentivi del 30% in più rispetto agli Usa sui costi per mettere in piedi uno stabilimento in patria. Queste sovvenzioni hanno contribuito a spostare in Asia la produzione delle componenti più sofisticate. Anche l’Europa sta lavorando ad un nuovo pacchetto di incentivi per i produttori di chip.

La politica americana non è mai stata troppo entusiasta, sicuramente non come quella di diversi paesi asiatici né l’Europa, verso la industry dei chip.

I conservatori americani preferiscono affidarsi alle dinamiche di mercato e non interferire e nemmeno i sindacati sono troppo favorevoli, definendo il Chips act un’estorsione.

Cina più forte

Nel contempo, gli Usa stanno lavorando per incrementare la produzione domestica di chip avanzati, facendo così in modo che la Cina non diventi troppo forte. Per farlo, vieta l’esportazione di componenti verso la rivale, come ha fatto bloccando le esportazioni di componenti a Huawei nel 2019.Nel 2020 gli Usa hanno redatto una lista nera di aziende, fra cui il primo produttore cinese Semiconductor Manufacturing International, e altre 60 aziende, nel novero delle aziende che rappresentano un rischio potenziale per la sicurezza nazionale.  Quindi, nessuna esportazione e nessun accesso a macchinari per la realizzazione di chip sofisticati.

Il blocco delle esportazioni verso la Cina potrebbe però trasformarsi in un boomerang per i produttori Usa. Se la Cina diventerà totalmente autosufficiente sul fronte dei chip, a parte il danno economico per i fornitori americani di componentistica, smetterà alla fine di rivolgersi agli Usa. Il che impoverirà il settore americano dei chip e l’innovazione del paese.

L’unico modo per essere efficace sarebbe quello di convincere anche gli alleati a smettere di fornire componenti ai chip maker cinesi. Ma per ora non è andata così. Ad esempio, l’Olanda continua a fornire i suoi componenti alla Cina.

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