Rubrica settimanale SosTech, frutto della collaborazione tra Key4biz e SosTariffe. Per consultare gli articoli precedenti, clicca qui..
Alzi la mano chi si aspettava di vedere tata Francesca invocare la Rivoluzione (non una qualsiasi: proprio quella francese). Di certo Fran Drescher, l’indimenticata nanny dell’omonimo telefilm degli anni Novanta, sei stagioni trasmesse e replicate a volontà dalle reti Mediaset, ora non pare nutrire più la stessa passione verso i produttori del personaggio che l’ha resa famosa, Fran Fine (da noi la “ciociara” Francesca Cacace), perdutamente innamorata dell’elegante e solitario vedovo Maxwell Sheffield, ricchissimo impresario di Broadway con figli a carico. Ora quegli stessi produttori sono stati definiti “dalla parte sbagliata della storia” e Fran Drescher in un discorso particolarmente incendiario ha auspicato addirittura la caduta dei cancelli di Versailles: tutto questo perché dal settembre 2021 è la presidente della SAG-AFTRA, il sindacato degli attori di Hollywood che riunisce più di 150.000 professionisti e che si da pochi giorni è unito nella protesta alla WGA, la Writers Guild of America, ossia gli sceneggiatori che dal 2 maggio sono in sciopero contro l’associazione dei produttori statunitensi, l’AMPTP.
27 dollari per 50 puntate
I motivi del contendere sono tanti, ma non è un segreto che l’idea dello sceneggiatore di successo con annessa vita da nababbo, alla Aaron Sorkin o David Koepp, diventi sempre più il ricordo di un passato non tanto prossimo: oggi, nel mondo della concorrenza brutale dello streaming, essere nella writing room di una serie su Netflix non solo non garantisce il benessere, ma in più di un caso neppure la sopravvivenza. In particolare a essere crollati con lo streaming sono i residuals, cioè le royalty a cui hanno diritto attori, registi, sceneggiatori in caso di repliche o ridistribuzione di un contenuto, ad esempio quando una serie già trasmessa in tv in chiaro arriva in streaming: questa quota è stata via via spolpata dalle case di produzione nell’ultima decade, e non sono inusuali situazioni come quella di Kimiko Glenn, Brook Soso in Orange is the new black, che per essere apparsa in un ruolo non marginale in una cinquantina di episodi della serie oggi guadagna qualcosa come ventisette dollari all’anno. Lo stesso concetto di “replica”, in effetti, è difficile da declinare nel 2023, quando buona parte dei contenuti sulle piattaforme rimane fruibile per anni interi.
La paura si chiama ChatGPT e deepfake
L’evidente distacco tra gli stipendi degli sceneggiatori e quelli, ricchissimi, dei grandi produttori – su tutti Bob Iger, il CEO di Disney, come ha ricordato la Drescher pagato 78.000 dollari al giorno, cifre che corrispondono a un’annualità della maggior parte dei dipendenti – non basta a spiegare la particolare intensità di questo sciopero che si avvia a superare, in quanto a durata, anche quello del 2007-2008, che bloccò Hollywood e le nuove produzioni per mesi. Perché, certo, questa volta ci sono pure gli attori, ma soprattutto perché c’è uno spettro che si aggira tra le palme e le spiagge di Los Angeles: l’intelligenza artificiale. ChatGPT è il grande spauracchio per gli sceneggiatori: qualcuno, con una buona dose di cinismo, ritiene che il chatbot di OpenAI sia più che sufficiente per scrivere i soggetti e le sceneggiature di un film o di una serie. Magari non ne uscirà un lavoro d’autore, ma con la concorrenza spietata che oggi vede sfidarsi i giganti dello streaming per conquistare uno zerovirgola di spettatori (a proposito: su SOStariffe.it si possono confrontare le offerte migliori per i diversi servizi) in molti hanno deciso di puntare sulla quantità invece che sulla qualità. E gli attori? L’intelligenza artificiale sarebbe pronta a sostituire pure loro: l’AMPTP ha infatti illustrato la proposta di effettuare una scansione delle comparse, pagarle per un giorno di lavoro e diventare proprietari della scansione e dei suoi usi futuri, in modo da poterla adoperare in futuro senza consenso e senza compenso al “proprietario”. Ormai da anni, d’altronde, si mormora di un nuovo film di guerra in cui il protagonista sarebbe nientemeno che James Dean, morto da settant’anni ma pronto a essere ricreato digitalmente: e visti i miglioramenti nella tecnologia dei deepfake, francamente ci sarebbe poco di cui stupirsi.
Netflix risparmia, ma gli spettatori si stuferanno
Per lo spettatore, il più evidente risultato dello sciopero è che nei prossimi mesi i nuovi contenuti saranno sempre di meno: addio a intere stagioni di serie già programmate da tempo, e cancellazioni a raffica di progetti destinati a non prendere mai il volo. Al momento, l’intera linea produttiva è ferma: niente nuovi episodi di una cosuccia come Grey’s Anatomy a settembre, per cominciare, ma anche altri nomi di primi piano come Stranger Things (fiore all’occhiello di Netflix, e di cui è attesa l’ultima stagione), la sempre più popolare Yellowstone e la premiatissima Severance hanno dovuto chiudere i battenti, almeno per il momento. Se non altro, sarà un bene per la liquidità delle aziende: Netflix ha già detto che avrà un flusso di cassa aggiuntivo di 1,5 miliardi di dollari quest’anno a causa degli scioperi, denaro che altrimenti sarebbe stato speso per nuovi ordini di serie e produzioni per serie TV. Bene, ma che succederà quando la gente comincerà a stufarsi di guardare sempre le stesse cose e premerà il pulsante “Cancella l’abbonamento”? Come si può uscire da questo loop senza tagliare gli stipendi a chi lavora e senza rinunciare a un po’ di intrattenimento di qualità, magari a ritmi meno serrati?
Troppi contenuti: Disney fa autocritica?
Intanto proprio Bob Iger si è espresso di recente sul periodo non facile che stanno attraversando le piattaforme di streaming, non ultima la sua Disney+, a causa dell’affollamento di nuovi contenuti – non sempre di altissima qualità, per usare un eufemismo, ma è inevitabile quando deve uscire un titolo al giorno – che hanno provocato un’indigestione tra gli spettatori, boccheggianti tra titoli ed episodi mentre Netflix fa la guerra ad Amazon, che la fa a Paramount, che si rifà su Apple+ eccetera. Commentando i flop più recenti (tra cui Ant-man: Quantumania, piaciuto molto poco sia a pubblico che a critica), Iger ha detto che «ci sarebbe piaciuto che alcune delle nostre produzioni più recenti avessero prestazioni migliori. Non è un problema dal punto di vista del personale, ma penso che lo zelo eccessivo nel far crescere sostanzialmente i nostri contenuti per lo streaming abbia finito per creare un’offerta troppo abbondante per il pubblico, diluendone l’attenzione e la concentrazione». La domanda è lecita: riflessione autocritica o pretattica per i prossimi mesi di silenzio?
Fonti:
https://www.semafor.com/article/05/02/2023/hollywood-writers-strike-charts
https://www.nytimes.com/2023/07/24/business/media/tv-strikes-series-delays.html
https://www.dailydot.com/unclick/kimiko-glenn-orange-is-the-new-black-residuals/
https://www.vanityfair.it/article/sciopero-attori-hollywood-tutto-quello-che-ce-da-sapere
https://www.key4biz.it/hollywood-in-sciopero-sara-un-2024-senza-contenuti/456276/