Nel 2026 in Italia “mancheranno 2,1 milioni di lavoratori con le competenze digitali necessarie”. A lanciare l’allarme è l’a.d. di Microsoft Italia, Silvia Candiani, al Forum Ambrosetti, in occasione della presentazione dello studio “Next Generation DigITALY: come promuovere l’integrazione e lo sviluppo di un ecosistema digitale per accelerare l’innovazione e la crescita del Paese”, elaborato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Microsoft Italia presentato oggi, nell’ambito del Forum di The European House – Ambrosetti.
Attualmente, il comparto Ict italiano, evidenzia lo studio, risulta sottodimensionato rispetto ai competitor europei: non tanto nel numero di aziende, dove il Paese è quarto in Europa, ma è soprattutto nel dimensionamento medio delle aziende che l’Italia stenta, in nona posizione in UE.
ICT: le 3 chiavi dello studio
La ricerca ha evidenziato 3 messaggi chiave per il Sistema-Paese. Per promuovere l’integrazione e lo sviluppo di un ecosistema digitale è necessario:
- Accrescere il capitale umano digitale.
- Dotare il Paese di una politica industriale del digitale.
- Avanzare decisi con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Il capitale umano digitale è una delle emergenze del Paese. Non solo lo evidenzia la survey, secondo cui la carenza di competenze digitali è uno dei principali freni alla digitalizzazione, ma emerge anche da numerosi indicatori, tra cui il Digital Economy and Society Index della Commissione Europea, dove l’Italia risulta terzultima in Europa per il capitale umano digitale.
La carenza di competenze rischia di essere un vero e proprio freno alla competitività del Paese: sono circa 2,1 milioni i lavoratori a cui sviluppare skill digitali di base entro il 2026 per stare al passo con le esigenze di mercato, mentre sono addirittura 20 milioni i cittadini a cui l’Italia deve fornire una formazione digitale di base entro il 2030, per centrare l’obiettivo del Decennio Digitale Europeo di raggiungere l’80% della popolazione con skills digitali di base entro il 2030. Il problema del Paese non sono solo le skills digitali di base, ma anche quelle avanzate: l’Italia è ultima in UE per numero di iscritti a corsi di laurea in materia ICT in rapporto alla popolazione: 0,7 ogni mille abitanti, contro i 5,3 della Finlandia, leader in Europa.
La ricerca evidenzia come il Paese deve inoltre dotarsi di una politica industriale specifica per il digitale. Attualmente, il comparto ICT italiano risulta sottodimensionato rispetto ai competitor europei: non tanto nel numero di aziende, dove il Paese è 4 in Europa dietro a Polonia, Francia, Germania; ma è soprattutto nel dimensionamento medio delle aziende che l’Italia stenta, in nona posizione in UE. Il dimensionamento ridotto delle aziende italiane è un fattore di debolezza per crescere sui mercati internazionali e per creare valore e occupazione in tutto il Paese.
Se, infatti, le aziende ICT italiane avessero un fatturato medio pari a quello delle aziende tedesche, l’Italia generebbe 249 miliardi di Euro di PIL in più, pari al 14% del PIL del 2021. Ma non è solo l’industria del digitale ad essere debole: anche l’integrazione delle tecnologie digitale negli altri comparti è uno degli ambiti di miglioramento del Paese, specie tra le aziende di piccole dimensioni, in cui il 44% mostra una totale assenza di utilizzo di tecnologie digitali. Questo nonostante il digitale sia il più potente acceleratore di innovazione: lo evidenzia la survey, in cui le aziende evidenziano come il principale impatto del digitale sia quello di favorire innovazione di prodotto o di processo (73% dei rispondenti) e ricerca e sviluppo (67%).
Infine, la ricerca evidenzia come il Paese deve continuare ad avanzare con decisione sul PNRR, che rappresenta un’opportunità storica per accelerare sulla digitalizzazione del Paese, grazie ai suoi interventi per la digitalizzazione delle PA e per lo sviluppo di infrastrutture digitali moderne e competitive. L’85% delle aziende sondate ha infatti fiducia che il PNRR possa accelerare la digitalizzazione del Paese. Dal PNRR le imprese si aspettano un impatto trasformativo che porti a più banda, meno carta e più competenze: ovvero maggiore connettività, dematerializzazione dei processi e skills digitali.
Le proposte per rilanciare l’occupazione del settore ICT
Lo studio avanza tre proposte per rilanciare l’occupazione:
- Sviluppare il capitale umano digitale, lanciando un’Alleanza per il Lavoro del Futuro. Per farlo, è necessario agire su più canali, formando più professionisti con competenze digitali avanzate all’interno del sistema scolastico, sostenendo l’upskilling e il reskilling della forza lavoro e usando il digitale come leva di inclusione sociale e per colmare i gap territoriali, generazionali e di genere. Lavorare in maniera efficace su questi tre canali richiede uno sforzo di collaborazione pubblico privata, per cui è necessario lanciare una vera e propria Alleanza per il Lavoro del Futuro tra sistema pubblico e sistema privato, che ponga le basi per uno sforzo sinergico per trasformare le competenze digitali da freno ad acceleratore del Paese. Nell’Alleanza per il Lavoro del Futuro, il sistema pubblico si farebbe carico di:
- Aumentare il numero di professionisti ICT formati da Università e ITS del Paese.
- Impegno 80% digital literacy della PA e dei pensionati al 2030; più agevolazione e strumenti per la formazione continua.
- Lanciare e finanziare un piano nazionale di upskilling / reskilling dei NEET e lavoratori con competenze obsolete.
Mentre il sistema privato avrebbe il compito di:
- Amplificare lo sforzo pubblico con competenze, strumenti, infrastrutture e investimenti.
- Impegno 80% digital literacy della forza lavoro al 2030, anche attraverso meccanismi di sostegno pubblico.
- Mettere a disposizione investimenti, competenze, strumenti e infrastrutture per supportare il piano di formazione,
- Dotare il Paese di una politica industriale del digitale. In primo luogo, una politica industriale del digitale in Italia deve necessariamente guardare alle PMI, che sono quelle maggiormente in ritardo nella corsa al digitale. Bisogna quindi favorire un vero e proprio digital rebirth delle PMI, stimolandone l’integrazione del digitale all’interno dei propri processi, affiancando agli strumenti di policy già presenti (es Transizione 4.0 per beni strumentali) con nuovi incentivi strutturali, accessibili e di medio periodo per lo sviluppo di canali digitali (es: e-commerce, post vendita, customer care, etc), lo sviluppo della formazione di competenze e l’adozione di strumenti per la crescita della produttività e la collaboration (anche nella filiera). Inoltre, una nuova politica industriale deve lavorare sulla valorizzazione del capitale pubblico e privato per il digitale, facendo leva sulle risorse finanziare di soggetti pubblici (es. CDP, Fondazione Enea Tech, …) e privati per creare massa critica nel mercato del venture capital e favorire lo sviluppo di campioni nazionali del settore ICT. L’ultima direttrice su cui sviluppare la politica industriale per il digitale è quello dell’open innovation: qui è necessario stimolare gli investimenti corporate in open innovation e rafforzare il ruolo dei Technology Transfer Officer / Centri di Ricerca / Incubatori per rendere più efficace la funzione di trait-d’union tra ecosistema dell’innovazione e sistema economico-finanziario (aziende, venture capitalist, etc..)
- Avanzare con decisione con il PNRR. La ricerca ha evidenziato alcuni elementi migliorativi per assicurare un’implementazione efficacie del PNRR:
- Dettagliare e condividere con i differenti stakeholder milestone ed obiettivi intermedi relativi agli interventi presenti nel «Piano Italia Digitale 2026» relativi alla digitalizzazione della PA e alla realizzazione della banda larga.
- Ampliare lo scope del «Piano Italia Digitale 2026» attraverso la definizione di obiettivi e milestone per la digitalizzazione dell’ecosistema produttivo, prevedendo meccanismi di co-investimento specifici per le PMI per accelerarne la trasformazione digitale.
- Coinvolgere il sistema privato, le associazioni di categoria e i cittadini nell’implementazione del PNRR e nella trasformazione digitale del Paese.
- Semplificare le procedure per l’accesso ai fondi ed ai finanziamenti del PNRR, prevedendo misure ispirate a criteri di certezza e immediatezza per l’erogazione dei fondi
https://www.key4biz.it/ict-in-italia-nel-2026-mancheranno-21-milioni-di-lavoratori-lo-studio/414775/